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Sul Parlamento "fuorilegge" e la "continuità dello Stato"

Metto le mani avanti e lo dico subito: non sogno un rinnovamento “a tutti i costi”, ma non mi rassegno all’idea che nulla possa cambiare perché alla fine “sono tutti eguali” e se gli metti un cappello da caporale, gli uomini diventano tutti generali”. Più semplicemente, senza immaginare proclami rivoluzionari, prendo atto di quello che accade e non sto a guardare.

C’è chi crede che una nullità come Renzi e la sua banda di voltagabbana e oche giulive siano i “grandi” ostacoli che stanno di traverso sulla via del cambiamento possibile e delle speranze di chi paga i costi di una crisi di valori ben più devastante di quella economica. 

Io non credo che il problema siano Renzi e il pattume pittoresco che lo accompagna; lascio a Grillo e ai suoi soci questa concezione moralistica della tragedia che viviamo. A me, che di storia un po’ mi intendo, non sfugge che Croce, proprio come i parlamentari pentastellati, dopo il golpe regio del luglio 1943, si disgustava molto per la sopravvivenza del “lurido” Senato regio, che era un covo di fascisti, ma fingeva di non ricordare che per il capo di quel marciume aveva chiesto e votato la fiducia nel 1925, dopo l’assassinio di Matteotti. Né, poi, dal regio Senato s’era dimesso. 

Sono ormai due anni che la vita politica italiana è paralizzata da un impasse che ricorda anni di grandi speranze e atroci delusioni. il Parlamento, di fatto, è fuorilegge, quanto e forse più del “lurido” Senato di Croce nell’estate del 1943. Lo sanno tutti: è stata la Consulta a sancirlo senza appello e con inconsueta baldanza. 

Subito dopo, però – ed ecco l’impasse –impaurita dal suo coraggio, la Corte Costituzionale è rientrata nei ranghi e, fedele a una storia in cui trova posto persino Azzariti, il capo del fascistissimo Tribunale della razza, ha spiegato che sì, c’è stata una inaccettabile violazione della sovranità popolare, ma non ci si può far nulla, perché più della colpa gravissima, conta il principio inviolabile della “continuità dello Stato”.

Senza scomodare Toqueville, sarebbe facile dimostrare che storicamente, quando un sistema di potere, per garantire se stesso e gli interessi che rappresenta, ha usato violenza alle regole che si era dato, la continuità non si è potuta imporre in forza di un ragionamento teorico tra giuristi, ma ha dovuto fare i conti con la forza della risposta di chi rappresentava gli interessi colpiti e i diritti negati.

In casi come questi molti parlano enfaticamente di “crisi rivoluzionaria”, ma non è detto che la rivoluzione sia lo sbocco obbligato. La sola certezza è che l’esito del conflitto tra interessi contrapposti non può nascere dal Parlamento e sarà determinata soprattutto dalla necessità degli elementi di discontinuità, dalla volontà effettiva di rottura e dalla capacità di aggregare consensi fuori dalle Istituzioni violate che dimostreranno le forze del cambiamento.
La storia non è un processo rettilineo verso il “progresso” e non a torto Vico ne leggeva il cammino, individuando avanzate verso la crescita civile e ritorni al passato più oscuro. Sbagliava, però, quando affidava alla Provvidenza la regia dei “corsi” e dei “ricorsi”.

La Provvidenza siamo noi, donne e uomini colpiti barbaramente da una reazione di classe che ha tutti i caratteri della regressione, di una operazione di “repressione preventiva” e di “eversione dall’alto”. In questo contesto, Renzi è solo un uomo di paglia sostituibile. I nemici veri sono il passato che Renzi incarna, la reazione che torna, gli sta dietro e lo sostiene. Per continuare a massacrare i diritti, potranno tenerlo in piedi, sostituirlo e, in ultima analisi, imporci gli effetti della “continuità dello Stato”, solo se lo slancio necessario alla lotta non troverà dalla sua l’impeto delle immense forze che possono esprimere gli sfruttati. La vittoria sul passato è in mano nostra.

In questo senso, la lezione della guerra di Liberazione e la nascita di una repubblica zoppa, figlia dell’antifascismo, ma più fascista che mai, può essere preziosa. Fare i conti col passato per liquidarlo non significa solo batterlo militarmente. Sui monti la partita era vinta, ma non bastò. Dove andò a finire, allora, il sogno di un mondo migliore, cosa spense quella sensazione di libertà, quella visione del futuro a cui fece da presidio una visione del mondo, che Calvino descrisse con parole immortali? Il “senso della vita come qualcosa che può ricominciare da capo” fu spento da un errore che non va ripetuto: credere che si possa costruire il futuro, riconoscendo dignità di interlocutori agli uomini che rappresentano il passato.

Qui non si tratta di fare il processo alla “continuità” in quanto tale, che è caratteristica naturale della vita politica, finché non si giunge a un disastro. Il fatto è che la catastrofe c’è e i ceti dominanti lo sanno così bene, che ancora una volta intendono dare alla continuità i connotati dell’eversione dall’alto, ancora una volta trasformano in reazione ciò che per decenni è stata “conservazione”. Quando questo accade, la rottura è nei fatti. Nel dopoguerra mancò il coraggio di andare a uno scontro che non doveva essere a tutti i costi rivoluzione e il fascismo cambiò semplicemente camicia.

L’Italia vera, quella che non vota più per delusione, che non lotta perché non vede uomini nuovi e onesti e non ascolta più parole d’ordine mobilitanti, questa Italia non sogna l’impossibile, ma non intende patire nuove delusioni. Nessuno resterebbe a casa tra gli sfruttati e tutti sentirebbero il bisogno di scendere in piazza e lottare fino alla fine, se finalmente qualcuno chiamasse alla lotta, affermando un principio sacrosanto: questo Parlamento peggiore di quello fascista, questo governo di passacarte per conto d’altri, questo Presidente della Repubblica che non scioglie le Camere illegali che lo hanno eletto, non hanno più alcuna legittimità politica e morale. Noi non daremo più, perciò, né soldi, né rispetto, né obbedienza a gente che occupa abusivamente ruoli a cui nessuno li ha designati, finché elezioni politiche legali non ci restituiranno una vita politica costituzionalmente corretta.

Di qui occorre partire per ricominciare e su questo preambolo va costruito un programma di totale autonomia. Ciò che accadrà dopo dipenderà dai padroni di Renzi, ma non può impedire la rottura. Perciò, cominciamo.

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