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Stylus Phantasticus. The Sound diffused by venetian Organs

Forse, la sezione più bella della 67esima edizione del Festival Internazionale di Musica Contemporanea della Biennale di Venezia (puntata 2 – Fine)

Kali Malone ph. Victoria Loeb

Come si legge nel saggio analitico del musicologo Paolo Da Col, bibliotecario del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia, inserito nel catalogo del Festival Micro-Music, l’architetto Francesco Sansovino nel 1581 censì a Venezia 143 organi. Di essi e di quelli costruiti nel secolo seguente, in città non c’è più traccia. Vennero eliminati nei secoli successivi per lasciar posto a nuovi strumenti che rappresentavano il nuovo, mutato, gusto per le sonorità.

Lucia Ronchetti ha approntato un programma di cinque concerti ispirati al repertorio cinquecentesco della Scuola di San Marco e alla definizione di Stylus Phantasticus, coniata da Johann Mattheson (Amburgo, 1681 – 1764), (teorico musicale, critico e compositore tedesco, ndr.) per descrivere la complessità della scrittura polifonica organistica.

I primi due, che hanno utilizzato gli organi delle chiese di San Trovaso e San Salvador, avevano un programma musicale di Maestri compositori dell’epoca.

Protagonista del primo appuntamento, il Direttore, organista e clavicembalista trevigiano (6 febbraio 1963) Andrea Marcon, diplomatosi in organo, clavicembalo e musica antica presso la Schola Cantorum Basiliensis nel 1987, specialista riconosciuto a livello internazionale del repertorio Barocco.

Nel suo Recital, intitolato “Stampe veneziane di Fiori musicali e Selva di varie compositioni”, si sono ascoltate pagine di “Fiori Musicali, op.12” (1635), del ferrarese Girolamo Frescobaldi (1583 – 1643), organista della Basilica di San Pietro a Roma e la “Selva di varie compositioni d’intavolatura per cimbalo et organo”(1664) di Bernardino Storace, di cui nulla si conosce se non che fosse Vicemaestro di cappella del Senato della città di Messina, all’epoca della pubblicazione della Selva. Partiture diverse, pensate rispettivamente per il contesto sacro e per quello profano, i lavori di Frescobaldi e Storace esaltano il suono dell’organo, attraverso invenzioni contrappuntistiche, sperimentazioni armoniche e variazioni capaci di esaltare il virtuosismo strumentale.

Va sottolineato che i Fiori sono state una delle raccolte più influenti nella storia della musica europea, ammirati e studiati da Henry Purcell e Johann Sebastian Bach.

Il merito principale della Selva di Storace, invece, è la ricerca sulla forma della variazione, concentrata principalmente sulle quattro grandi passacaglie basate sul tradizionale tetracordo discendente.

Marcon, non superando i 50 minuti, ha saputo estrarre una varietà di ricche sonorità dall’organo, realizzato nel 1765 da Gaetano Callido per la chiesa di San Trovaso.

Avevo ascoltato spesso la voce di quest’organo, ma non ho mai provato una così felice sensazione di pienezza nella diffusione dei suoni.

L’anconetano Luca Scandali (1965), diplomatosi in organo e composizione organistica nel Conservatorio Gioacchino Rossini di Pesaro e cresciuto alla scuola di Ton Koopman, Andrea Marcon, Luigi Fernando Tagliavini e Liuwe Tamminga, ha impaginato nella chiesa di San Salvador un programma che ha messo in luce le connessioni tra autori e musicisti attraverso la letteratura organistica veneziana.

Il concerto ha percorso le principali forme della musica organistica italiana del Rinascimento, esaltando i legami tra i suoi compositori, Andrea Gabrieli (1533 – 1585), Claudio Merulo (1533 – 1604) e Giovanni Gabrieli (1557 - 1612), che appaiono di fatto influenzarsi e informarsi a vicenda in un processo di condivisione.

L’organo della chiesa è la riproposta contemporanea (2010) di uno schema fonico cinquecentesco degli organari tedeschi Jurgen e Hendrik Ahrend.

Dotato di tecnica e buon gusto, Scandali ha riscosso il consenso del numeroso pubblico, al quale ha riproposto come bis la Toccata del secondo Tono C. 236 (1593) di Giovanni Gabrieli.

Gli ultimi tre concerti proponevano composizioni originali degli stessi strumentisti, due delle quali appositamente commissionate dalla Biennale Musica.

La prima commissione ha avuto come esito Trinity Form, un nuovo lavoro di Kali Malone, musicista statunitense (Colorado, 1994), trasferitasi nel 2012 a Stoccolma.

E’ stato pensato appositamente per la Basilica di San Pietro di Castello, dove l’organo fu costruito nel 1754 da Pietro Nacchini. Restaurato e modificato nel 1898 da Giacomo Bazzani, fu resturato e riportato alla disposizione fonica originale da Vincenzo Masciai nel 1975. Infine, si rese necessario un risanamento, mediante un intervento di manutenzione straordinaria nei mesi di luglio e agosto 2020, da parte della ditta F.Ruffati di Padova.

Trinity Form è un brano che è al contempo studio compositivo e ricerca musicale, poiché mescola le sonorità dell’organo a quelle del violoncello di Lucy Railtone, della chitarra acustica con archetto elettrico di Stephen O’Malley.

Kali Malone ha usato le seguenti parole per commentare il suo lavoro :

Ho voluto creare un ambiente immersivo, così che quando il concerto è finito, non sai davvero quanto tempo è passato. Durato 48 minuti, dopo 32 il brano si è affievolito quanto a volume sonoro, ripartendo con un suono dell’organo più vicino a quello che conosciamo.

Forse l’autrice ha cercato di indirizzare o predisporre la platea, alla meditazione. A conferma di ciò, certi fraseggi hanno fatto pensare al ruolo di bordone che svolge il tampura, lo strumento a corde pizzicate della tradizione indiana.

Lunghi applausi, accanto a sporadici UHH…

I due concerti che concludevano la sezione, sempre pomeridiani con inizio alle 17, si sono svolti al Benedetto Marcello.

Il primo, Requiem for a beautiful Dream, commissionato dalla Biennale con il sostegno di Ernst von Siemens Music Foundation, è il frutto della creatività di Wolfgang Mitterer (Lienz, Tirolo orientale, 1958), ammirato organista con una passione per Bach e fra i maggiori compositori austriaci. E’ anche un grande innovatore che con la sua attività abbraccia musica elettroacustica, per organo e orchestra, da camera, opera, colonne sonore per cinema e teatro.

Il Requiem nasce per l’organo del Conservatorio, che risale agli anni ‘70 e è uno dei più grandi della città. E’ come una doppia macchina, costituita da un organo di destra e un organo di sinistra, collegati tra loro da trasmissioni meccaniche che corrono sotto il pavimento.

L’organo, che consente di inserire manualmente i registri, si presta a sperimentare tecniche strumentali estese e a giocare con la pressione dell’aria, generando suoni di varia dinamica cui Mitterer poi aggiunge la macchina elettronica.

La musica che in 51 minuti si diffonde nella grande sala concerti è a tratti angosciante. Non fa pensare all’horror, però certamente non rilassa, oppure ricorda quei miscugli sonori che si sentono in A day in the life dei Beatles (epoca Sgt.Pepper).

Un’ultima annotazione : il musicista, prima di mettersi all’opera, si è tolto le scarpe.

Attesissimo, il gran finale di questa sezione, che ha visto la presenza di molti appassionati di Jazz. Protagonista, il musicista creativo per eccellenza, John Zorn (New York, 2 settembre 1953), conosciuto largamente come altosassofonista.

Ha eseguito, in prima nazionale, uno dei suoi molti progetti, The hermetic Organ. Si tratta di un’improvvisazione per organo che prosegue e rinnova il ciclo di concerti iniziato nel 2011 alla St.Paul’s Chapel della Columbia University. Zorn ha suonato organi di ogni epoca e provenienza e negli spazi più improbabili e inaspettati, sempre sotto il segno dell’improvvisazione e della creatività.

All’arrivo nella sala, Zorn si inchina ai due organi, quello a tre tastiere a destra (rispetto al pubblico) e quello ad una soltanto, a sinistra.

Si toglie le scarpe, inizia suonando i pedali e seleziona i registri, cambiando spesso e offrendo una gustosa tavolozza di suoni.

Indossa una felpa con cappuccio, che si toglierà solo a 2/3 dall’inizio. Appoggia di quando un quando un oggetto rettangolare su una delle tastiere dell’organo di destra.

Dopo 25 minuti si sposta su quello a sinistra e da quel momento andrà ora da uno ora dall’altro, col risultato che si moltiplicano i suoni dei registri ( c’è anche quello di una cornamusa), finché dopo 43 minuti la musica cessa.

C’è il tempo per un bis, dopo che il solista si è inchinato verso gli organi, applaudendoli.

E’un “piccolo” bis di sette minuti, che riceverà ulteriori scroscianti applausi da parte di uno stuolo di ammiratori, alcuni dei quali avevano portato con loro alcune copie di LP’s, sperando di poterseli far autografare.

Per la cronaca, nei due giorni successivi, Zorn è stato il protagonista di una due giorni organizzata da Angelica (centro di ricerca musicale di Bologna) con i Festival l’Altro suono di Modena e Aperto di Reggio Emilia : John Zorn@70, per celebrare il suo 70esimo genetliaco.

Nella sezione Sound Studies, in due week end, come ogni anno il musicista e musicologo Giovanni Bietti, ha tenuto quattro Lezioni di Musica, diffuse in diretta su RAI RADIO 3.

Ho seguito le ultime due, interessanti approfondimenti su La musica per organo della Scuola veneziana del Cinquecento.

Lo spettacolo più affascinante, godibilissimo, è stato, per chi scrive, nella sezione Sound Microscopies, Songs & Voices, al Teatro Piccolo Arsenale, di Francesca Verunelli (1979), che oltre 10 anni or sono, conquistò il Leone d’Argento.

Il nuovo lavoro, in prima esecuzione assoluta, commissionata , oltre che dalla Biennale, da una copiosa lista di Istituzioni, è un viaggio tra i due estremi della presenza e dell’assenza in cui la compositrice affronta in una prospettiva paradossale la nozione stessa di canto.

Ispirato ad un breve racconto di Franza Kafka, Il silenzio delle sirene, è un lavoro per sei cantanti, 10 strumentisti e un direttore, che vede la collaborazione con l’Ensemble C Barré e i Neue Vocalsolisten Stuttgart.

Sono riusciti ad ipnotizzare una platea educata, che non ha mai gettato la benchè minima occhiata all’orologio, né è stata tentata a sfogliare lo Smartphone. Questo, per la bravura e la spigliatezza dei protagonisti, e la caratura strumentale, dalle percussioni all’arpa, dagli archi agli ottoni e ai fiati.

Un plauso particolare, al sassofono baritono e soprano, e al clarinetto basso, che ha emesso dei potenti, significativi ruggiti.

La delusione : “La notte di Battiti”, lo storico programma notturno di RAI RADIO 3, trasportato al Teatro alle Tese nella sezione Club Micro-Music, che forse, nelle intenzioni della Ronchetti, era stata ideata per attrarre il pubblico giovane. Banalità, ripetizioni insensate, suoni così forti, che nemmeno l’ausilio dei tappi per le orecchie erano in grado di attutire. Ma poi, se vado ad ascoltare musica, devo portare con me dei tappi?

Soddisfazione nelle alte sfere, comunque, perché il Festival ha quasi raddoppiato il numero di spettatori (19mila), rispetto all’anno precedente, ha ottenuto buone recensioni dalla stampa italiana – Corsera, Manifesto, Giornale – ed europea – Die Zeit, RSI - , e è stato seguito da numerose testate anche al di fuori del nostro continente.

Immagine: Kali Malone ph. Victoria Loeb 

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