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Stop alla distruzione di Lhasa. Un appello a William Hague e Kishore Rao

L’iniziativa di Pete Speller per fermare il genocidio culturale che il governo cinese sta attuando in Tibet

Lhasa, capitale del Tibet, svetta sulla celeste cupola del tetto del mondo da circa 1500 anni. Oggi, quella che per i tibetani rappresenta il “tetto di Dio“, rischia seriamente la devastazione. Dietro a tutto ciò prende corpo il brutale progetto, concepito dai funzionari occupanti di Pechino, di edificare una “città turistica”.

Vaste aree della parte più antica di Lhasa, risalenti al settimo secolo, saranno distrutte e ricostruite sull’impronta di un parco tematico per i turisti. Tra le aree a rischio c’è anche Barkhor, la località dove numerosi pellegrini si ritrovano abitualmente per i ritiri spirituali attorno al tempio Jokhang.

Ma la città di Lhasa non rappresenta soltanto un sito religioso. Come altre località, essa è il simbolo della resistenza contro l’occupazione cinese.

Un oltraggio culturale nei confronti del buddhismo tibetano e della comunità internazionale è stato già messo in pratica dai talebani. Difficile dimenticare le immagini delle esplosioni che nel 2001, in Afghanistan, frantumarono le statue dei Buddha di Bamiyan, distrutte in quanto emblemi di monumenti “non islamici”. Le statue erano state scolpite nell’arco di due secoli (III°-V° sec d. c.) dalla prosperosa civiltà buddista che viveva in quel suggestivo tratto della via della seta incorniciato nella Valle di Bamiyan, che deve proprio l’origine del nome alle enormi statue oggi scomparse. Ora non possiamo permettere che un altro sito di tale importanza storica e culturale venga distrutto.

L’iniziativa, partita dal giornalista e attivista britannico Pete Speller, è rivolta al ministro degli Esteri del Regno Unito William Hague e al direttore del Centro Patrimonio Mondiale dell’UNESCO Kishore Rao. È possibile sostenere la petizione accedendo al Portale Change.org

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