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Stati Arabi: sotto accusa l’armamento nucleare di Israele

Una risoluzione sarebbe in fase di elaborazione in seno alla Lega Araba. L'obiettivo? Quello di isolare Israele a causa dei pesanti armamenti nucleari di cui dispone. Arsenali che ad oggi nessuno all'interno della comunità internazionale ha osato contestare. 

Le proposte - si sa - in ambito diplomatico sono di gran lunga più pericolose delle minacce di scatenare una guerra. Lo sapeva Breznev, quando nel 1975 gli venne proposta una serie di accordi sul rispetto dei diritti umani (gli Accordi di Helsinki), che avrebbe aperto una crisi nell'Unione Sovietica, ma anche permesso l'accesso di capitali e beni dei quali essa aveva grande bisogno.

Ora ad Israele, invece, viene proposto di aprire un tavolo per avviare la riduzione dei propri armamenti nucleari, finora mai toccati e - soprattutto - mai criticati da alcuno, all'interno di una comunità internazionale. 

Israele, assieme ad India e Pakistan rimane uno dei tre stati che non hanno aderito al Trattato di non-proliferazione del 1968. Un trattato che oltretutto serviva allora solo ad evitare che altre potenze entrassero nel "club" dei possessori dell'atomica, ed è quindi uno strumento rozzo rispetto ai veri trattati di riduzione degli armamenti degli anni '90.

E se Israele non ha sottoscritto il Trattato, è molto improbabile che oggi pensi alla riduzione del suo armamentario nucleare. Sono 80 le testate presenti nel paese, e lì rimangono, perché significano potere. E Israele lo sa.

(In basso a sinistra il reattore di Dimona).

È per questa ragione che - con un'abile mossa diplomatica - gli stati arabi hanno in questi giorni optato per la via di una vera e propria risoluzione, da applicare nell'ambito dell'AIEA, l'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica dell'Onu. La decisione giunge infatti dopo un anno passato in attesa della convocazione di una conferenza atta a bandire la presenza di armi atomiche nella regione. Convocazione ad oggi non ancora pervenuta.

Ma - va detto - il decisionismo si ferma qui: la risoluzione per la quale sembrano orientati i paesi arabi sembra essere di tipo non vincolante. Una semplice dichiarazione unificata, la cui efficacia sta più nella mossa di chiedere ufficialmente la firma dei trattati di non-proliferazione, piuttosto che nella minaccia di ritorsioni in caso contrario. Anche per non urtare gli Stati Uniti, che rimangono un collante fondamentale tra Israele e la Lega Araba, ad oggi, assieme all'Opec (l'organizzazione dei produttori di petrolio) una delle maggiori istituzioni regionali dell'area.

È forse per non toccare gli americani che alcune delle più pressanti questioni diplomatiche del momento stanno passando per un canale diverso. A discutere con la Lega Araba riguardo la Siria non è infatti il Segretario di Stato americano John Kerry, quanto il segretario degli affari esteri britannico William Hague. Possiamo ipotizzare di conseguenza che sia attraverso la Gran Bretagna che passerà un eventuale accordo, anche come contropartita per il favore ottenuto nel momento in cui la Lega Araba (capitanata da un amico come il Qatar) ha pensato bene di richiedere l'intervento militare in Siria. Favori del genere li si ottiene di rado, considerando che l'ultimo scontro di vasta portata in medioriente, quello dello Yom Kippur del 1973, ha causato lo shock petrolifero, ossia l'innalzamento vertiginoso del prezzo del petrolio. Allora infatti l'Opec volle dare il segnale della propria contrarietà a quella guerra, ma anche un segno del proprio potere.

Oggi invece la Lega Araba e l'Opec tacciono. Forse la riduzione della potenza atomica israeliana potrebbe essere la contropartita tanto attesa.

Foto: Estonian Foreign Ministry/Flickr e GlobalSecurity/Wikimedia
 

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