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"Stand by Me – Ricordo di un’estate": un’avventura verso l’età adulta (1986-2016)

In occasione del trentesimo anniversario dall'uscita, AgoraVox propone ai lettori la recensione di Stand by Me - Ricordo di un'estate, uno dei film simbolo degli anni Ottanta, diretto da Rob Reiner e tratto dal racconto breve di Stephen King Il corpo.

 

 

Jean-Luc Godard, in una delle sue più belle massime, afferma che «[…] il cinema ha sempre creato dei ricordi». Se davvero è così, che il cinema possiede questo enorme potenziale di creare, di dar vita a ricordi, categoricamente per ogni appassionato, per ciascun singolo cinefilo o amante della Settima arte, c’è sempre un film che – con il trascorrere degli anni – non viene dimenticato né accantonato nei meandri della memoria. Possono passare mesi, anni, decenni eppure i ricordi cinematografici rimangono attaccati, come una seconda pelle, su ognuno di noi. Si può fare confusione, ricordare male una battuta oppure una scena; tuttavia, quando alcuni film restano impressi nell’anima dello spettatore, è davvero difficile incorrere nel lapsus o nella dimenticanza. Esempio di tale affermazione è uno dei cult cinematografici degli anni ’80, quel Stand by Me – Ricordo di un’estate (Stand by Me, 1986) che, nonostante i trent’anni di età, mantiene immutata la freschezza, tutto il suo splendore di opera filmica e, parimenti, di memento cinefilo.

Diretto da Rob Reiner, regista di altri cult movie come La storia fantastica (1987), Harry ti presento Sally (1989), Misery non deve morire (1990), Stand by Me è l’adattamento per il grande schermo del racconto di Stephen King Il corpo (The Body) contenuto all’interno della raccolta Stagioni diverse (Different Seasons, 1982); un racconto e poi un film che, per una volta, abbandonano i binari dell’orrore metafisico e paranormale, per calarsi nella vita reale e quotidiana. La vicenda narrata è quella di quatto amici: Gordon “Gordie” Lachance (Wil Wheaton), Chris Chambers (River Phoenix), Teddy Duchamp (Corey Feldman) e Vern Tessio (Jerry O’Connell) che, sul finire dell’estate del 1959, decidono di avventurarsi tra i boschi intorno a Castle Rock, alla ricerca del corpo di Ray Brower, un ragazzino dodicenne scomparso e dichiarato morto dalle autorità. Partiti per questo viaggio di ricerca, i quattro ragazzini avranno modo di conoscere le proprie debolezze, rafforzare se stessi e prendersi una rivincita nei confronti di Ace “Asso” Merrill (Kiefer Sutherland) e della sua banda di bulli.

Dietro l’aspetto apparentemente di semplice film di avventura, Stand by Me – Ricordo di un’estate, dimostra di avere un’anima ben più profonda e complessa di quello che sembra. Se da una parte il plot può essere considerato dei più tradizionalisti, dall’altra grazie alla maestria di King – che rende originale la storia ed i suoi personaggi del racconto prima – e della capacità di Rob Reiner e degli sceneggiatori Raynold Gideon e Bruce A. Evans di rappresentare sul grande schermo – in modo fedele ed inalterato le ambientazioni kinghiane dopo – Stand by Me riesce a mettere in mostra i temi (come l’amicizia, la lealtà, il rispetto) su cui l’intero racconto/film si basa.

Accompagnato da una soundtrack anni ’50 (con brani famosi come Everyday di Buddy Holly, Lollipop delle Chordettes e Stand by Me [da qui l’omonimo titolo del film] di Ben E. King) e da sequenze da antologia (come la camminata lungo i binari e la sfida a scansare il treno in arrivo), il viaggio avventuroso tra i boschi diventa la metafora che raccoglie la complessità di un’opera letteraria/cinematografica ben più spessa del normale. Ognuno dei quattro protagonisti è segnato da un trauma, da una difficoltà del vivere nella vita quotidiana: che sia il distacco dei genitori nei confronti del figlio minore, dopo la morte dell’amato figlio maggiore e la mancata elaborazione del lutto (Gordie), l’avere una famiglia allo sbando (Chris), un padre reduce di guerra violento con il proprio figlio (Teddy), le angherie dei bulli e le paure adolescenziali (Vern), rappresentano il background psicologico ed esistenziale del gruppo di amici. Paure e traumi che sono svelati, uno ad uno, durante la ricerca del coetaneo scomparso e che vengono superati nel momento in cui, a contatto con la realtà della morte, quest’ultima spezza per sempre l’idillio adolescenziale portando i ragazzini a varcare – definitivamente – la soglia che separa l’età dell’adolescenza dall’età adulta, dalla fase in cui tutto sembra essere eterno ed indistruttibile a quella in cui, di colpo, ci si rende conto di cosa sia veramente la vita ed il mondo.

La grandiosità di un film come Stand by Me – Ricordo di un’estate risiede proprio in questo: affrontare, in maniera diretta e senza patetismi di sorta, il “crollo delle illusioni” legato all’adolescenza stessa, come la ferma convinzione di rimanere per sempre il solido ed inattaccabile gruppo di amici, nonostante si sia ben coscienti del fatto che, una volta entrati nel mondo degli adulti, niente è più come prima e che ognuno – prima o poi – percorrerà la propria strada (emblematico, a proposito, il finale).

Tra le più importanti e fondamentali opere cinematografiche degli anni Ottanta, capace di far ridere e commuovere allo stesso momento, intrattenere lo spettatore e, contemporaneamente, farlo riflettere sul senso dell’esistenza stessa, Stand by Me – Ricordo di un’estate è uno dei più nostalgici film sull’amicizia, sulla crescita e sull’importanza di vivere un evento indimenticabile, da custodire gelosamente nella memoria e ricordarlo ogniqualvolta in cui si vuole tornare ragazzini per un attimo. Il lungometraggio di Rob Reiner ha mantenuto intatta la sua valenza, rimanendo ancora oggi uno di quei capolavori insostituibili, da rivedere ogni volta in procinto della fine dell’estate e da far conoscere – assolutamente – alle nuove generazioni, così da poter fare capire cosa significhi vivere un’avventura verso l’età adulta.

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