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Squola o squali? Pubblica e privata

Polemiche, e non di poco conto, sono venute fuori di recente durante una trasmissione radiofonica, su "Salvadanaio", dedicata alle problematiche sociali ed economiche della scuola nel nostro Paese. Raccogliendo le opinioni che si sono succedute assieme a quelle postate sulla pagina fb del programma condotto da Debora Rosciani, su Radio24, crediamo che sia opportuno approfondire la questione rivolgendoci direttamente ai fruitori primi e più importanti dell'istruzione pubblica: "gli studenti".

Vorremmo, per un solo momento, rubare attimi preziosi a chi avrà voglia di ripensare o pensare alle esperienze vissute e che hanno colpito la loro sensibilità civica. Quanto sia interessante la lezione di una professoressa, piuttosto che una noiosa, reverenziale disquisizione e sfoggio di nozionismi. Quanto conti veramente e influisca sui giudizi finali le prese di posizione di un dirigente scolastico, divenuto più un manager che la figura autorevole del "vecchio preside bacchettone". Malauguratamente, per tanto tempo, la mentalità per cui i licei sono scuole di "serie A" mentre gli istituti tecnici e professionali sono scuole di "serie B" ha imperato alla grande. Non corrisponde alla realtà dei fatti che una scuola professionale sia più semplice di un "nobile liceo"; forse è il contrario, se si pensa che l'indirizzo di uno studio tecnico professionale comporti una attribuzione di capacità specifiche nei confronti di un'altra scuola "nobile", nella quale c'è molta più teoria.

L'impressione è che il corpo docente non determini più la predisposizione dei ragazzi, al contrario li prendono come numeri da mettere sulla via dove servono. Ancora, c'è da dire dell'esperienza insufficiente sulla propensione peculiare della scuola sull'indirizzamento specialistico. Ci si basa su medie matematiche asettiche di un quadrimestre, ma non sulla consapevolezza e sul potenziale culturale che gli insegnanti dovrebbero avere nei confronti dei propri alunni. "L'orientamento dettato da un manager, ex preside" potrebbe inficiare la percezione di se stessi di una giovane vita agli albori di un tempo futuro in cui passerà la maggior parte della sua vita.

Indicare una scuola professionale con indirizzo "tal dei quali", giusto per togliersi dalle "scatole" uno che studia poco è più semplice che correggere le lacune che provengono da storie e vicissitudini personali e familiari, le quali attendono di essere risarcite da un vero servizio pubblico. La coordinatrice di classe non dice che quel ragazzino non ha le potenzialità per frequentare il "Classico"; ma lì, si sa, bisogna studiare tanto. Come se l'attitudine allo studio possa essere una cosa acquisita già a tredici anni. Tante storie di "ordinaria follia" attraversano la nostra vita. Delusioni, amarezze e gioie. Quante volte ci è stata fatta una "offerta alla quale non si poteva dire di no?"

Quante volte ci si è sentiti umiliati, con una frase: "Tu, è meglio che cambi scuola!"

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Francesco Finucci (---.---.---.48) 22 ottobre 2012 17:27
    Francesco Finucci

    Io metterei in conto anche che sono gli stessi studenti degli istituti tecnici (non tutti ovviamente) a dire che "vado lì così non studio". E’ anche in risposta a questo (non solo, ovviamente) che la selezione dei professori degli istituti latita, e vi finiscono elementi che più che in una scuola dovrebbero stare in un manicomio. Bisogna un attimo riequilibrare, e vedere quanti dei bei figli di papà poi devastano gli istituti, cosa che non succede, almeno fino a quel punto, nel classico (parlo, ovviamente, per mia esclusiva esperienza). Sinceramente la differenza di ambiente c’è e si vede. Poi che molti concorrano a questo (studenti, professori, famiglie) è un altro conto. Dovremmo scegliere meglio i professori, molto meglio di come si fa. Dovremmo anche un attimo pensare alle nostre colpe...

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