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Sport e transgender

Con la nuova normativa del CIO in vigore a partire da Rio 2016 transgender e intersessuali con chi gareggiano?

di Enrico Bergianti 

Durante i campionati mondiali di atletica leggera di Berlino 2009 si scatenò un grande dibattito intorno all’atleta sudafricana Castor Semenya, che vinse gli 800 metri femminili in 1’55’’45. La stampa e anche alcune rivali misero in dubbio la sessualità di Semenya, accusandola di essere un uomo. Dopo una serie di analisi fu stabilito che Semenya, pur presentando tratti maschili, poteva regolarmente gareggiare fra le donne, tant’è che anche a Rio 2016 Semenya ha partecipato e vinto gli 800 metri femminili, migliorando di 17 centesimi di secondo la prestazione del 2009.

Questi casi hanno portato il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) a riconsiderare i regolamenti che riguardano alteti intersex e transgender. Lo conferma a OggiScienza il professor Antonio Spataro, Direttore dell’Istituto di Scienze dello Sport del CONI di Roma, per cui “a generare dubbi sulla categoria di appartenenza di alcuni atleti e a far cambiare i regolamenti sono stati proprio i casi di iperandrogenismo di Caster Semenya e, poco tempo dopo, dell’indiana Dutee Chand”. 

Transgender o intersessuali con chi gareggiano? “Le linee guida del CIO risalenti al 2003 prevedevano che prima di gareggiare nelle categorie femminili o maschili l’atleta transgender dovesse sottoporsi a un intervento chirurgico e ad almeno due anni di terapia ormonale. Oggi non è più così. Persone con caratteristiche sessuali femminili ma con identità di genere maschile possono gareggiare senza alcuna limitazione con gli uomini”, spiega Spataro. Un po’ diverso il discorso per la transizione da uomo a donna: “Con la nuova normativa del CIO in vigore a partire da Rio 2016 a fare da ago della bilancia è il livello di testosterone nel sangue. L’operazione chirurgica non è più necessaria, tuttavia per gareggiare con le donne i livelli di testosterone nel sangue devono essere inferiori ai 10 nanogrammi per litro e questo valore deve essere raggiunto e mantenuto almeno per l’anno precedente alla competizione a cui si vuole partecipare. Per i transgender da donna a uomo, come detto, non c’è nessun limite da rispettare”.

Queste nuove linee guida hanno riempito un vuoto normativo e si sono allineate alle più moderne normative giuridiche che definiscono l’identità di genere non solo in ambito sportivo. Il medico Arne Ljungqvist, che fu uno dei consulenti del CIO per la redazione delle nuove regole, disse ad Associated Press che il mondo dello sport “non poteva continuare a imporre interventi chirurgici agli atleti, ignorando i miglioramenti giuridici e l’urgenza sociale della questione”.

La transizione, inoltre, può richiedere l’uso di terapie ormonali che, nel caso di sportivi, potrebbero alterare i test antidoping. L’atleta che assume ormoni per la transizione viola i regolamenti antidoping? Risponde Spataro: “La terapia ormonale non ha carattere prettamente terapeutico di necessità, come l’insulina per i diabetici ad esempio, ma favorisce l’identità sessuale desiderata. L’endocrinologo dovrà certificare alla commissione antidoping l’uso di testosterone – nel caso di transizione da donna a uomo – o di altri farmaci prescritti per favorire la transizione a scopo terapeutico e non dopante. Oltre a questo, come già accennato, il livello di testosterone plasmatico deve essere costantemente inferiore a 10 nanogrammi per litro per tutto l’anno precedente alla competizione”.

di Giulia Rocco (@giulirockoe di Enrico Bergianti (@enricobergianti)

Leggi anche: Il calcio alla prova della VAR, la moviola in campo

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.

Crediti immagine: Pixabay

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