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Sparlando 3

Non è certo la prima volta che le tematiche gay si affacciano a Sanremo. “Oh mamma non capisci / come è falsa la morale / la maschera di fango / bagnata nell’argento. / Sono un diverso mamma / un omosessuale”. Era Sulla Porta, di Federico Salvatore; correva l’anno 1996. L’anno scorso è stata la volta di Anna Tatangelo con Il mio amico, e i suoi bravi luoghi comuni: l’amico gay di Anna “non dorme mai di notte” e “con il viso stanco e ancora un po’ / di trucco lascia / i sogni chiusi dentro ad un cuscino”.

È toccato a Povia, e alla tanto discussa Luca era Gay, tenere quest’anno alto lo stendardo dei soliti cliché sull’omosessualità, nel pieno rispetto di una veneranda, radicatissima tradizione. Gli stereotipi, stavolta, insistono sull’ambiente malsano da cui origina la “malattia” di Luca: una madre soffocante e possessiva, gelosa in un modo morboso delle amiche del figlio, che alla fine si separa dal marito; un padre smidollato e continuamente assente per lavoro, che dopo la separazione prende a bere; un uomo più grande di lui che lo inizia al sesso omosessuale, ma che gli fa anche “tremare il cuore”; quattro anni vissuti in una relazione gay funestata (ovviamente) da inganni e tradimenti. Infine la redentrice salvezza fra braccia femminili che lo traghettano verso la giusta sponda, consegnandolo alla vera, tanto attesa felicità: “adesso sono padre e sono innamorato / dell’unica donna che io abbia mai amato”. Morale della favola: “Luca era gay e adesso sta con lei”. È clinicamente guarito, pur senza aver mai chiesto aiuto a “psicologi, psichiatri preti o scienziati”, e definitivamente convertito a un sano rapporto eterosessuale.
 
Peccato sia stata esclusa dalle nuove proposte sanremesi Perfetti, la canzone presentata da Niccolò Agliardi. Il cantautore milanese avrebbe dovuto cantarla con un misterioso big che, data la materia “scabrosa”, gli avrebbe però opposto il gran rifiuto. Parla di omosessuali “normali”, che immaginiamo con la ventiquattrore e in giacca e cravatta. Nulla a che fare con Dancing Queen (Abba) o Macho Man (Village People), Free, Gay and Happy (Coming Out Crew) o Sweet Transvestite (Tim Curry); niente lustrini né voci in falsetto, trucco pesante o vertiginosi tacchi a spillo, niente moine o ancheggiamenti, sguardi languidi o sopracciglia inarcate, niente ipermascolinismo o esibizioni narcisistiche di fisici oliatissimi e palestratissimi.
 
“Siamo stati perfetti, mio amore. / E nessuno lo sa. / Senza mai compromettere un grammo della normalità. / Siamo stati spiati da quelli del supermercato. / Che sabato è spesa, è moglie è bambini e gelato... / Siamo scesi mezz’ora all’inferno / per capire, guardando da lì, / quanto avrebbe brillato, nel mondo, una storia così”. Avrebbe brillato poco, non sarebbe durata (le relazioni omosessuali, da che mondo è mondo, non durano…). Ma, chissà, fosse stato un ambiente diverso: ”Siamo stati perfetti, ragazzo, / disperati e con mille pensieri, / se due uomini possono arrendersi / e sembrare due uomini veri. / E potevo anche chiederti aiuto, / ma eravamo nel posto sbagliato”.

Non sarebbe certo diventato l’inno ufficiale italiano dei gay, la canzone di Agliano, non avrebbe potuto minimamente reggere il confronto con Over the Rainbow di Judy Garland o I Will Survive di Gloria Gaynor. Sarebbe stata però una boccata d’ossigeno, avrebbe comunque rappresentato qualcosa per chi della frivolezza, o delle piume di struzzo, non ha mai voluto o saputo fare la propria bandiera.

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