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Sorveglianza digitale made in Italy. Un software per spiare attivisti e dissidenti

Un click sbagliato, e un software entra totalmente in possesso della tua vita online. Accendendo la tua webcam e il tuo microfono, impossessandosi di documenti sul tuo hard disk, registrando tutto ciò che scrivi sulla tastiera. Così che anche cambiando password le tue mail e i tuoi messaggi – Skype incluso – sono sempre sotto controllo. Il tutto per «intercettazioni legali» (lawful interception), a scopi di cyber-intelligence e sicurezza.

Ma ci sono indizi sia già accaduto, secondo Slate, in Marocco, anche per sorvegliare le mosse di un gruppo di citizen journalist in difesa della libertà di espressione chiamato Mamfakinch. La notizia, contenuta in un rapporto appena pubblicato dal Citizen Lab dell’Università di Toronto, è che lo stesso software sarebbe stato utilizzato anche per spiare l’attivista per i diritti umani di stanza a Dubai, Ahmed Mansour. In entrambi i casi, questo il risultato delle analisi tecniche, le tracce porterebbero al prodotto dell’italiana Hacking Team (qui un’intervista di Federico Mello sul Fatto), chiamato Remote Control System. Impiegato dunque non per contrastare criminalità e terrorismo, ma per monitorare dissidenti politici.

Il co-fondatore, David Vincenzetti, ha detto a Slate che l’azienda, a partire dal 2004, ha venduto i suoi prodotti a «circa 50 clienti in 30 paesi diversi su tutti e cinque i continenti». Ma non si sa con esattezza quali, come ha scritto Giovanna Loccatelli sull’Espresso. Hacking Team non ha risposto alle richieste di chiarimenti né di Slate, per il caso marocchino, né di Bloomberg, per quello di Mansour. Sono in attesa di sapere se la mia richiesta via mail avrà più fortuna.

L’azienda era già stata inclusa tra gli SpyFiles di WikiLeaks, e fa parte di quel complesso mercato degli strumenti di sorveglianza digitale prodotti in Occidente e poi venduti (legalmente) ai regimi autoritari per cui diverse organizzazioni per la tutela della privacy e dei diritti umani – da Privacy International (in particolare con il progetto Big Brother Inc.) all’Electronic Frontier Foundation – chiedono una diversa e migliore regolamentazione. Un punto di partenza sarebbe senza dubbio una maggiore trasparenza sulle transazioni effettuate. Nel frattempo, è bene che gli attivisti prestino la massima attenzione a ciò che cliccano. E magari seguano le raccomandazioni del Citizen Lab per difendersi da minacce di questo tipo.

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