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Somalia: la guerra dimenticata dai grandi della Terra

L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) ha lanciato l’allarme: migliaia di civili in fuga dai combattimenti in Somalia si sono riversati nella città costiera di Bosaso, in attesa che i trafficanti di esseri umani possano portarli in Yemen. In questa situazione drammatica, l’Unione europea attende, gli Usa si dicono vigili rispetto alla situazione, l’Unione africana manda truppe di pace ma è divisa al suo interno.
 
Mentre i grandi della Terra sono impegnati con passerelle costosissime per il mondo (l’ultima a L’Aquila) e i media sono interessati agli esodi estivi o alla pandemia, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite lancia un disperato appello affinché forniscano immediato sostegno al governo della Somalia, un soccorso senza il quale quel governo potrebbe presto non esistere più.

Infatti, il fronte anti governativo islamico, legato ad al Qaeda, ha scatenato una forte offensiva contro Mogadiscio. Sono centinaia i morti, migliaia i feriti e centinaia di migliaia i profughi. Una guerra civile diffusa che dura dal 1991, senza quartiere né regole, bambini soldato, massacri di civili, saccheggi e distruzione degli edifici delle Nazioni Unite.
 
Intanto tre agenzie dell’Onu non potranno più operare in Somalia poiché “nemiche dell’Islam e degli interessi del popolo musulmano somalo” e “contro la formazione di uno stato islamico’’. L’ordine è stato imposto dal gruppo collegato ad al Qaeda degli Al Shabaab (“la gioventù”), movimento di insorti contro il governo moderato di Mogadiscio.
 
I ribelli islamici hanno attaccato la base delle truppe di pace della Missione dell’Unione Africana in Somalia. Intanto continuano gli scontri tra i miliziani del Partito Islamico e dei Giovanni Mujahidin e i soldati della forza di pace africana a Mogadiscio. Nuovi combattimenti sono in corso alla periferia della città, particolarmente nella via Mecca.

Le milizie integraliste, combattono contro il governo provvisorio riconosciuto dall’Onu casa per casa. I civili, come sempre, sono al centro del fuoco incrociato. In passato, con l’intervento dell’esercito etiope, era stata ristabilita una parvenza di legalità in Somalia, ma le cosiddette Corti Islamiche si sono riorganizzate e, con l’appoggio dell’Eritrea, hanno lanciato una pesante controffensiva riuscendo a giungere di nuovo nella capitale, dove il 28 luglio scorso i ribelli hanno proclamato un’amministrazione parallela.
 
In questa situazione drammatica, l’Unione europea attende, gli Usa si dicono vigili rispetto alla situazione, l’Unione africana manda truppe di pace ma è divisa al suo interno.
 
In Somalia è un inferno, dal quale migliaia di civili tentano la fuga attraverso il golfo di Aden. Le sue acque sono infestate dai pirati, ma sono questi ultimi che gestiscono il racket dei viaggi dei disperati verso la penisola arabica e non li fermeranno certo loro.
 
Secondo le stime dell’Unhcr, sono almeno 12mila i civili ammassati sulla spiaggia in attesa degli scafisti, ma nella città di Bosaso potrebbero arrivare più di 200mila persone in fuga da Mogadiscio. La situazione umanitaria nella cittadina somala sta diventando sempre più difficile, anche perché la maggior parte degli sfollati potrebbe restare in città fino a settembre, quando le condizioni del mare potranno essere meno pericolose.


La traversata è molto rischiosa. Nel 2008 mille persone hanno perso la vita e i dispersi sono stati almeno 225. Nel 2007 i morti ed i dispersi sono stati rispettivamente 267 e 118. Dall’inizio del 2009 sono già 300 le vittime delle correnti e degli scafisti senza scrupoli. Se la situazione a Bosaso non precipita prima e se i migranti riuscissero a raggiungere le coste dello Yemen, il governo di Sa’ana si troverebbe a gestire una vera e propria emergenza umanitaria.

La legge yemenita riconosce ai cittadini somali lo status di rifugiati politici, che vengono accolti, curati, rifocillati e condotti nei campi profughi, dove ricevono protezione legale, fisica e sanitaria. Solo a Kharaz ci sono già 13mila persone, senza contare le migliaia di rifugiati e migranti che vivono nei sobborghi delle città più grandi in Yemen. Una situazione difficile da gestire, anche con l’aiuto dell’Onu e delle sue agenzie. Alcuni dati rendono l’idea dell’enorme pressione migratoria alla quale è sottoposto un Paese non ricco come lo Yemen: nel 2008 sono giunte sulle coste yemenite almeno 50mila persone. Solo nei primi mesi del 2009 sono state 30mila gli sbarchi.
 
Le autorità dello Yemen, con il supporto dell’Onu, stanno tentando di creare un database per registrare i somali e per distinguerli dai migranti economici del resto dell’Africa, ma non è facile.
 
Lo Yemen, oltre ai problemi economici, attraversa una fase di grave instabilità politica. Nello Yemen settentrionale, è in corso da anni una vera a propria guerra civile tra i militari yemeniti e i ribelli seguaci di al-Houti, un predicatore sciita da sempre in conflitto con il potere centrale gestito dai sunniti. Lo Yemen ha spesso accusato l’Iran di fomentare la rivolta, ma al di là delle responsabilità politiche internazionali, resta un problema enorme di sfollati interni.

Secondo i dati dell’Internal Displacement Monitoring Centre (Idmc), un’organizzazione non governativa che si occupa dei sfollati interni, sono almeno 100mila le persone in fuga dai combattimenti che hanno causato la morte di centinaia di civili. Ad aprile, inoltre, dopo anni sono riapparse le bandiere e i militanti del Pdry, la sigla del governo socialista del sud che dichiarò la secessione.

Nel 1994 alcuni ufficiali e politici di ispirazione marxista proclamarono la secessione della regione meridionale dello Yemen che assunse il nome di Repubblica Democratica dello Yemen con capitale Aden. Non riconosciuto internazionalmente, questo tentativo di secessione venne stroncato in due settimane di combattimenti dalle forze governative. La protesta era guidata dagli ex militari e funzionari pubblici che, in cambio della resa, avevano ottenuto la promessa di un reinserimento nella vita del Paese.

Scontri, arresti e disordini. Il primo ministro yemenita, Ali Mujawir, ha dichiarato: “abbiamo scoperto la presenza di un legame tra i terroristi di al Qaeda, i ribelli sciiti del nord e i secessionisti del sud. Quello che sta accadendo in questi mesi in Yemen ha una regia straniera. Questi tre gruppi satanici hanno contatti pregressi. Il nostro lavoro è quello di non consentire che lo Yemen diventi un rifugio sicuro per i terroristi”. 
 
Tutto questo accade in quando in Somalia, i grandi della Terra non hanno interessi economici particolari da salvaguardare. I seguaci di al Qaeda a Mogadiscio sono liberi di agire indisturbati e prendere possesso del Paese. Il terrorismo si combatte anche con l’indifferenza totale dei potenti.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.140) 6 agosto 2009 10:23

    Al mondo egoisto questi argomenti interessano molto poco, specialmente nel periodo di ferie, la guerra è una parola astratta per l’occidente distratto continui così

  • Di La gatta (---.---.---.18) 6 agosto 2009 15:35

    Mi sembra che mentre i grandi sono dediti alle loro sfilate mondane, al Qaeda stia perpretando un piano ben programmato sotto i loro occhi. Quando i terroristi i saranno ben organizzati, magari anche impadronendosi del potere di uno stato sovrano a scapito di civili inermi, e avranno raggiunto una forza ben più difficile da contrastare solo allora e, mi chiedo, solo allora si preoccuperanno?
    Ogni popolo afflitto da soprusi va aiutato o ci sono guerre di pace o guerre di comodo?
    Non cambierà mai niente... il mondo non va avanti con gli ideali ma solo con gli interessi di pochi....
    E se così è... non resta che complimentarsi con al Qaeda e alla sua terrificante coerenza.
    Un saluto.

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