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Sodalizi musicali: Steve Earle e Townes Van Zandt

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Steve Earle e Townes Van Zandt

Con linguaggio colorito e senza tanti giri di parole, in una non recente intervista Steve Earle dichiarava che Townes Van Zandt is the best songwriter in the world and I'll stand on Bob Dylan's coffee table in my cowboy boots and say that’. Il successo di Townes Van Zandt, scrittore di canzoni americano da annoverare tra i più grandi di sempre, nel suo genere, non fu mai il clamoroso successo di cassetta che ci si potrebbe aspettare da uomini della sua statura artistica. Nonostante ciò il giornalista americano Robert Earl Hardy ha di lui giustamente potuto scrivere che When he left this world at age fifty-two on New Year’s Day 1997 - forty-four years to the day after Hank Williams’ death - Townes Van Zandt left behind a solid and lasting body of work, as original and as deeply personal - yet as naturally a part of a great tradition and as all-encompassing and universal - as any created in twentieth-century American music, embodied in beautifully realized songs like ‘To Live’s to Fly’, ‘For the Sake of the Song’, ‘Don’t You Take It Too Bad’, ‘Rex’s Blues’, ‘Lungs’, ‘Nothin’, ‘Flyin’ Shoes’, ‘Highway Kind’ ‘Snowin’ on Raton’, ‘Marie’ and of course ‘Pancho and Lefty’ and ‘If I Needed You’, among many others’.

Van Zandt, che muore nel 1997 a poco più di cinquant’anni lasciando un vuoto nella musica folk americana difficilmente colmabile, di Steve Earle fu maestro, punto di riferimento artistico, amico fraterno di una amicizia che potremmo definire ‘d’altri tempi’, compagno di strada, di musica e di eccessi di vario tipo.

Un’amicizia fraterna, si diceva, tra Townes e Steve, un affetto talmente scambievole e vivo che Earle in un lavoro del 2010 (significativamente intitolato Townes) ripropone quindici tra le più belle canzoni del cantautore americano dandone una interpretazione di ragguardevole valore storico. Una rilettura ‘filologica’, si potrebbe forse aggiungere con un pizzico di enfasi, che ha il massimo rispetto del modo di fare e di intendere la musica di Townes Van Zandt. Alcune di queste canzoni, peraltro, possono essere considerate capolavori assoluti della musica di ogni tempo.

Siamo molto lontani, in Townes, dalle atmosfere elettriche di Copperhead road, disco elettrico di Earle uscito nel 1988; la quasi totalità dei brani infatti si caratterizza principalmente per il suono aspro e folkie della voce di Steve e per quello dolce e carezzevole delle chitarre acustiche con in aggiunta, in alcune canzoni, di strumenti tipici della tradizione folk americana come il mandolino, il violino e l’armonica.

Veramente arduo scegliere tra i quindici brani quelli che si distinguono per qualità interpretativa ed esecutiva. Sotto questo profilo il livello delle canzoni appare uniforme e sempre eccellente.

Mi limito a richiamare solo alcune perle assolute presenti nel disco, peraltro tra le più rappresentative e conosciute dell’intero repertorio di Van Zandt,: Pancho e Lefty (brano di cui Emmylou Harris incise una bella versione negli anni Settanta del secolo scorso), la canzone di chiusura To live is to fly e Mr.Mudd and Mr.Gold, che Earle canta insieme a Justine Townes, uno dei suoi tre figli.

 

Da molto tempo Steve Earle si è lasciato alle spalle matrimoni falliti, problemi di carattere giudiziario, di sopravvivenza dovuti alla totale mancanza di risorse economiche, di dura intossicazione. Già in questo disco mostrava di aver raggiunto una dimensione artistica ‘ottimale’ e quindi di essere ormai lontano dai periodi più turbolenti della propria esistenza. 

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