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Siria: genesi di un futuro jihadista

Il mio amico faceva il fabbro nel suo villaggio sulle sponde dell’Eufrate. Quando la rivoluzione gli è entrata in casa ha preso le armi per difendere la sua famiglia. Ora, dopo esser dovuto fuggire in Turchia è pronto a tornare in Siria e ad arruolarsi nello Stato islamico. “In fondo ci si abitua a tutto” – mi dice.

(di Alberto Savioli)

Ho conosciuto Ahmad quando era un ragazzino spensierato di quattordici anni. Ahmad appartiene alla tribù dei Tayy, un gruppo tribale che negli anni Trenta del Novecento si è stanziato a nord di Aleppo. Nel “mondo beduino” avere un’ascendenza dai Tayy è sinonimo di nobiltà tribale. Anche ne “Le mille e una notte” si fa omaggio alla tribù dei Tayy, in particolare alla generosità di Hatim al Tayy noto poeta del periodo pre-islamico famoso per la sua ospitalità.

Io e Ahmad siamo rimasti in contatto per tutti i successivi quattordici anni. Quando l’onda delle primavere arabe ha raggiunto anche la Siria, il mio amico faceva il fabbro e coltivava i campi della famiglia sulle sponde dell’Eufrate, si era sposato con la cugina (come è usanza presso molte tribù) e dal matrimonio erano nate due bambine.

Mi racconta Ahmad che nella primavera del 2011, mentre guardava le immagini in televisione che mostravano centinaia di persone che manifestavano in diverse città siriane, sentiva lontane quelle proteste, che considerava cosa da “intellettuali, studenti e gente scontenta”. Lui aveva i suoi campi e il suo lavoro.

Tuttavia ben presto il destino ha raggiunto anche lui. “Quando le proteste hanno coinvolto anche le città minori e alcuni villaggi, sono state uccise persone che appartenevano alla mia gente – mi racconta – da quel momento non potevo più fare finta di nulla”.

“Già ad agosto, con alcuni amici, ci siamo uniti alla katiba … (omesso il nome) che dipendeva dalla brigata al Faruq, e abbiamo progressivamente conquistato i maggiori centri ad ovest dell’Eufrate: al Bab, Manbij e Jarablus. A est dell’Eufrate invece sono iniziati i combattimenti contro i curdi di quello che sarebbe poi diventato l’Ypg. In quella zona, fin quasi a Tell Abyad, la popolazione è mista e sia noi che loro volevamo controllare il territorio. In quella fase della rivolta gli scontri maggiori avvenivano contro i curdi piuttosto che contro il regime”.

La brigata al Faruq è una delle più citate dai media italiani detrattori della rivoluzione, da questi viene considerata infiltrata da numerosi elementi qaidisti e colpevole di alcuni crimini contro cristiani e alawiti. Secondo Jeffrey White, un ex ufficiale dei servizi segreti militari degli Stati Uniti e secondo Joseph Holliday, un analista presso l’Istituto per lo studio della guerra, la brigata al Faruq è da considerarsi “islamica moderata”, vale a dire, né laica né salafita. Nel 2011 era comandata dal tenente colonnello Abdel Razzaq Tlass, della famiglia dei Tlass, cui appartiene l’ex ministro della difesa Mustafa Tlass, per lunghi anni braccio destro del defunto presidente siriano Hafez al Asad.

Chiedo ad Ahmad: "Combattevate per far cadere il regime, per maggiori diritti o per altri motivi? Si parlava già di islamismo?" Mi risponde: “Io e molti altri volevamo giustizia. Allora nessuno parlava di stato islamico, legge coranica o cose simili, eravamo in maggioranza contadini ed ex militari, volevamo tornare alla nostra vita ma con maggiori diritti e giustizia, non si poteva più continuare così dopo i primi massacri”.

Ahmed continua il suo racconto: “Mi pare fosse già il 2012, ci hanno spostato a combattere ad Aleppo, a Khan al Asal, e siamo entrati a combattere nell’Harakat Nur al Din al Zenki, sotto la guida dello sheikh Tawfiq, qui sono rimasto per un anno e mezzo”.

L’Harakat Nur al Din al Zenki, un tempo parte della Liwa al Tawhid, è una delle più potenti fazioni ribelli del governatorato di Aleppo. Ha giocato un ruolo importante nel conquistare gran parte di Aleppo nel 2012. “Alcune operazioni le facevamo in accordo con Jabhat al Nusra, soprattutto verso Atarib, ma molte volte ci siamo scontrati con questo gruppo”. Dico al mio amico: “Ma allora condividevate alcune ideologie con la Nusra se combattevate assieme”.

“Erano accordi di interesse – risponde – noi volevamo combattere il regime e alcune operazioni erano congiunte ma io come molti amici non condividevamo nulla della loro ideologia”.

Syria-Young-FSA-Fighters-Take-A-BreakAhmad capisce dove voglio arrivare e mi anticipa: “Sai quando ho sentito per la prima volta parlare di dawla islamiyya (Stato islamico)? Era la primavera-estate del 2012. Un caro amico di Hama che combatteva con me a Khan al Asal, lo chiamavo Abu Nur, durante una discussione sugli obiettivi della nostra lotta ha detto: ‘Noi vogliamo istituire la Dawla (lo Stato)’. Ma cos’è questa Dawla? Mi ha risposto: ‘Vogliamo creare lo Stato islamico!’”.

Ahmad continua il suo racconto: “Io e altri combattenti ci siamo guardati come a dire, ma cosa dice questo, di cosa sta parlando. Noi non siamo cresciuti con questi valori, non sono i nostri”.

“Abu Nur ha infine abbandonato il nostro gruppo ed è entrato prima nella Nusra (i combattenti salafiti e jihadisti si autoproclamano tali in modo ufficiale a fine gennaio 2012 sotto le insegne di Jabhat al Nusra) e poi nel 2013 è andato con Daesh (acronimo arabo di al Dawla al islamiyya fi’l Iraq wa’l Sham, ossia Stato islamico dell’Iraq e del Levante, l’Isis)”.

“C’erano molte anime in seno alla nostra lotta, alcune fin dal principio avevano quelle idee”, dice riferendosi a idee salafite o islamiste, “ma la maggioranza non la pensava come loro, se ci avessero aiutato non avremmo lo Stato islamico in Siria”.

Ribatto che a quanto ne so, l’Harakat Nur al Din al Zenki con cui combatteva, riceveva finanziamenti da alcuni Paesi arabi tra cui l’Arabia Saudita e pare dagli stessi Stati Uniti. Mi risponde: “Sicuramente le armi le ha pagate qualcuno, ma credimi non ho mai preso un soldo e non sono mai stato pagato per combattere. Qualcuno che combatteva con noi aveva parenti in Libia o Tunisia e tramite questi arrivavano dei finanziamenti, ma non erano molti soldi, tu puoi vedere le foto che ti ho mandato, puoi vedere quanto male armati eravamo, non avevamo nemmeno una divisa”.

Ahmad continua: “Il primo gruppo che ho visto passare in maggioranza con lo Stato islamico è stata la katibaTurqan dell’Esercito siriano libero che combatteva nella zona di Akhtarin e Hreytan. Dopo un anno di combattimenti si dicevano islamisti e infine sono entrati a far parte dello Stato islamico”.

“Sai quando ho notato il primo cambiamento in questo senso?”, mi dice.

“Quando dai territori a nord di Aleppo siamo stati spostati a Khan al Asal siamo passati attraverso un territorio a maggioranza turkmena e abbiamo incontrato delle brigate turkmene che ci hanno fatto passare. Erano ragazzi molto gentili, sono stati amichevoli con noi, appartenevamo tutti alla famiglia dell’Esercito siriano libero. Dopo un anno e mezzo di combattimenti a Khan al Asal ci hanno rispostato a nord, quindi siamo ripassati per gli stessi territori dei turkmeni che però ora avevano bandiere e fasce in testa che inneggiavano all’islamismo. Era tutto diverso. C’erano anche stranieri tra loro, i primi sono arrivati dall’Egitto e dalla Libia”.

Bej17adCEAAk9cBAhmad ora si trova in Turchia come profugo. La sua brigata è stata una delle ultime nella Siria del nord a cedere all’avanzata dello Stato islamico. Nel gennaio 2014 Ahmad stava combattendo contro Daesh nelle campagne tra al Bab e Manbij e raccontava: “Venerdì (10 gennaio) abbiamo combattuto contro Daesh attaccandoli nelle campagne di Jarablus, quindici di loro sono morti”.

Mentre parlava era concitato e arrabbiato, mi diceva: “Molti dei miliziani stranieri di Daesh se ne sono andati verso Raqqa. Hanno lasciato i combattenti siriani nella zona di al Bab, Manbij (entrambe conquistate allora dall’Esercito siriano libero) e Jarablus ancora controllata da Daesh (nella foto il proclamato emirato di Jarablus)”.

Nei mesi successivi dall’avamposto di Jarablus, l’Isis ha riconquistato tutti i territori persi a ovest dell’Eufrate, per poi avanzare progressivamente anche a est del grande fiume, fino quasi a conquistare l’enclave curda di Ayn al Arab/Kobane.

La brigata del mio amico è stata massacrata dai combattenti dell’Isis (poi proclamatosi Stato islamico), le teste di ventuno di loro sono state esposte su delle picche. Ahmad si è salvato per poco.

Ho perso i contatti con lui. Non l’ho sentito per oltre un mese. Alla fine mi ero rassegnato all’idea che fosse morto. Ricordo di aver guardato le macabre foto delle teste esposte, una per una, per essere certo che non ci fosse anche la testa di Ahmad. Poi mi ha ricontattato: si trovava in Turchia, era riuscito a scappare ma la sua famiglia era ancora in un villaggio occupato dall’Isis.

Continua Ahmad: “Alcuni amici che combattevano con me a Khan al Asal ora combattono tra le file dello Stato islamico. Ogni tanto li chiamo, per capire se hanno cambiato idea… non riesco più a comprenderli. Con loro non riesci a parlare più, non ti ascoltano, ti dicono, è come diciamo noi, tu sbagli, dicono che vogliono tornare all’Islam di Maometto, ma non c’è un Islam di Maometto, c’è l’Islam. Noi non siamo musulmani?”

“Non c’è un nuovo Islam e un vecchio Islam – continua – possiamo vivere assieme anche con i curdi e i cristiani, dov’è il problema? Lo abbiamo sempre fatto. Ma mi rispondono, questa è la Dawla islamiyya. Noi vogliamo lo Stato islamico”.

“Anche Abdel Kader, ti ricordi di lui vero?”. Abdel Kader era un ragazzo inoffensivo, gentile e timido, sempre con il sorriso, era uno dei collaboratori nel mio lavoro in Siria. “Abdel Kader ora combatte con lo Stato islamico a Sheddade (Hasaka), anche lui mi dice questo, adesso c’è lo Stato islamico. Ma prima non era così, non gli importava la religione e non osservava nemmeno il Ramadan!”.

Infine, Ahmad dice una frase che mi gela il sangue: “Anche io ogni tanto penso di andare con lo Stato islamico”. “Cosa stai dicendo?”

“Ho combattuto contro il rais e nessuno mi ha aiutato. Ho combattuto l’Isis e nessuno mi ha aiutato. Il mio villaggio è in mano a Daesh e lì c’è la mia famiglia. Se riesco a tornare e non mi uccidono farò finta di sostenerli. Alcuni amici che erano con me a combattere, assieme a duemila combattenti dell’Esl hanno raggiunto Kobane per sostenere la resistenza dei curdi, nessuno parla di loro, voi occidentali sostenete i curdi e noi ribelli siamo tutti terroristi. A questo punto andrò con i veri terroristi. Io devo vivere e la mia vita deve continuare, non posso fare il profugo”.

Aggiunge: “Sotto Daesh la vita è impossibile. Un giorno ti uccidono o ti frustano e non sai perché, non sai quale precetto islamico secondo loro hai infranto: un giorno non puoi fumare, un giorno non puoi ballare, non conosci nemmeno il motivo per cui ti accusano, solo in quel momento scopri che quella cosa non si poteva fare. Però se ti abitui a questa vita puoi sopravvivere e se decidi di combattere con loro non guadagni meno di 300 dollari al mese, e se hai famiglia ne prendi di più. E poi li ho visti, mangiano kebab, muqabbilat (antipasti) e manaqish (pizzette). Quando stavo con l’Esl mangiavo uova e patate e combattevo gratis”.

Untitled-1Forse tutto questo non è vero o si tratta di un’esagerazione, ma nelle scelte ciò che conta è la percezione che il singolo ha della realtà, non la realtà stessa.

Prima di riagganciare il telefono mi racconta un ultimo fatto. In questi giorni centinaia di persone stanno scappando con tutte le loro cose da molti villaggi situati sulla sponda a est dell’Eufrate (nella foto a destra una colonna di macchine tenta di attraversare il ponte sull’Eufrate a Jarablus).

Dopo la riconquista curda (con il sostegno dell’Esl) di Kobane, questo fronte ribelle sta riconquistando territori allo Stato islamico spingendosi sempre più a ovest. “Questo è un bene” dice Ahmad. Ma in quella parte di territorio siriano molti locali hanno abbracciato la causa islamista e ora le loro famiglie rischiano la rappresaglia.

Conclude la telefonata dicendomi: “Quando tra un mese ritornerai dal tuo viaggio e ci sentiremo, magari sarò diventato anche io un terrorista di Daesh. In fondo ci si abitua a tutto”.

 

(12 febbraio, 2015)

Questo articolo è stato pubblicato qui

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