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Siria: a due anni dal rapimento dei “Quattro di Duma”

(di Ziad Majed, per Now. Traduzione dall’arabo di Claudia Avolio).

Il 9 dicembre ricorre il secondo anniversario del rapimento di Samira al Khalil, Razan Zaituna, Wael Hamada e Nazim Hammadi dal luogo in cui vivevano a Duma, nella Ghuta orientale di Damasco.

Sono ormai due anni che mancano quattro tra i volti più belli, più onesti, più solidi e più credibili della rivoluzione siriana:

Samira al Khalil, l’attivista politica che ha trascorso cinque anni nelle carceri di Asad padre e si è rifugiata nella Ghuta quando la zona si è liberata del governo di Asad figlio per lavorare con la sua gente e aiutare a documentare le loro sofferenze a causa dell’assedio, della fame, dei bombardamenti.

Razan Zaituna, avvocata e scrittrice che già vari anni prima della rivoluzione difendeva i perseguitati politici vittime del regime di Asad (anche gli islamisti) e che, sin dall’inizio della rivoluzione nel 2011, tramite i Comitati di coordinamento locale che ha fondato con i suoi amici e il Centro per la documentazione delle violazioni (Vdc), che dirigeva, si è adoperata con impegno e competenza a organizzare le manifestazioni e i sit-in, a registrare i dettagli del quotidiano e a documentare le violazioni dei diritti umani e i crimini di guerra, preservando la memoria delle vittime. Razan si è spostata a Duma dalla capitale Damasco, credendo che in una terra liberata sarebbe stata protetta.

Wael Hamada è il compagno di vita di Razan, cui lo lega anche l’attività politica e in favore dei diritti. È stato arrestato e torturato dai servizi segreti dell’aeronautica a Damasco durante la rivoluzione.

Nazim Hammadi, poeta, avvocato, lavorava anche lui nel Vdc. Si è trasferito nella Ghuta per vivere e scrivere lontano dal rischio dell’arresto da parte dei servizi segreti del regime.

Sono ormai due anni che non ci sono notizie su di loro. Nessuno sforzo eccezionale è stato compiuto da parte degli intermediari esterni che hanno contatti e godono di una certa influenza nella Ghuta, per fare pressione sui presunti colpevoli del rapimento a Duma. Mi riferisco ai responsabili della sicurezza che in precedenza avevano minacciato Razan di morte: il gruppo Jaish al Islam. Lo guida Zahran Allush, che si prepara a molteplici ruoli di leadership, è a capo della più grande forza militare nei sobborghi di Damasco, e il cui sforzo bellico nel conflitto col regime di Asad si registra sin dal 2013, prima di arrivare a rivestire i ruoli su citati.

Quello che si può dire o ricordare in questo triste secondo anniversario ruota attorno a tre punti.

Il primo è che il rapimento di Razan, Samira, Wael e Nazim in una zona liberata e assediata da parte delle forze del regime, senza una presenza effettiva di Daesh, è una delle operazioni più meschine e codarde accadute in Siria negli ultimi anni. Perché i quattro rapiti si sono isolati consacrando anni delle loro esistenze alla rivoluzione, affidando le loro vite alla tutela di forze armate. Il loro rapimento è giunto per mano di queste ultime o grazie alla loro agevolazione. Non è stato né il regime né la Daesh, che non sorprendono più nessuno per le azioni e i crimini perpetrati.

Il secondo punto è che il rapimento dei quattro ha inferto un duro colpo alla componente civile e democratica della rivoluzione presente oggi all’interno della Siria. E non è un dettaglio il fatto che da allora la riduzione della presenza di questa componente interna sia stata continua e si trovi oggi in uno stato di grave atrofia. Se non fosse per i pochi amici di Razan, Samira, Nazim e Wael e altri come loro, si potrebbe giustamente dire che questa componente si è trasferita tutta al di fuori della Siria.

La terza questione è che le famiglie e gli amici dei rapiti non taceranno su questo crimine finché non si conoscerà la sorte dei quattro e non verranno liberati. È vero che oggi la Siria è un completo disastro, con centinaia di migliaia di siriani che languono nelle terrificanti carceri del regime di Asad, alcune migliaia che vivono nel buio delle celle di Daesh e centinaia catturati da alcune fazioni dell’opposizione armata e le milizie curde. È altrettanto vero, però, che questa tragica realtà non rende il crimine un qualcosa di transitorio, né lo rimanda al “principio di relatività”, per ragioni generali, che si applicano a priori a ogni individuo scomparso, o per ragioni specifiche, in cui conta certamente la posizione dei rapiti e il loro ruolo agli albori della rivoluzione. Così come conta la dimensione politica del rapimento e il rapporto di Razan con le rispettabili organizzazioni internazionali per i diritti umani che hanno pubblicato numerosi rapporti sui crimini e i massacri compiuti dal regime di Asad.

Per queste e altre ragioni, il caso del rapimento dei “Quattro di Duma” resterà vivo finché loro non saranno liberi. Liberarli farebbe bene anche ai responsabili del loro rapimento che a loro volta si svincolerebbero da un tale, crescente fardello legale. E con loro andrebbero liberati anche tutti gli altri civili rapiti o detenuti ingiustamente. Visto che alcuni loro delegati presenzieranno la conferenza dell’opposizione in Arabia Saudita sotto il nome di “forze combattenti moderate”, gioverebbe alla delegazione e agli organi dell’opposizione sollevare la questione del rapimento, portandola all’attenzione del Paese ospitante e rendere la loro liberazione una richiesta urgente.

… Che Samira, Razan, Nazim e Wael stiano bene e vengano liberati, insieme a tutti i detenuti. (Now, 8 dicembre 2015)

Di seguito un video su Razan Zaituna

Questo articolo è stato pubblicato qui

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