• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Mondo > Siria: a chi giova una guerra?

Siria: a chi giova una guerra?

Le ultime vicende di guerra civile in Siria, ci portano drammaticamente al centro di una questione nodale. I nuovi gendarmi dell’ordine e della sicurezza mondiale, gli Usa, la Francia e la Gran Bretagna in primis, stanno giocando una delle partite più sporche dell’ultimo ventennio. I

l terreno è lo scontro per l’impianto delle cosiddette democrazie, in regioni dove queste non hanno né testa né piedi e neanche un minimo di retroterra storico. Ma ciò conta poco per i depositari di tali modelli disposti a giocarsi tutto, forse anche contro le stesse volontà delle autorità costituite. Riconosciute o meno che siano.

L’Italia è stata coinvolta in pieno in queste guerre: in Iraq, in Afghanistan, in Libia, in Tunisia. Ancora oggi i sommovimenti sociali e la confusione politica che regnano in Egitto, con il ritorno del fantasma di Mubarak sul retroscena politico, ci dicono quanto sia difficile per i nuovi mandarini della guerra gestire il controllo della situazione.

Infatti, nel momento in cui la guerra da sotterranea diventa esplosiva e portata alla luce del sole, soltanto i fatti eclatanti, come l’uso delle armi chimiche da parte dei poteri internazionali costituiti, riesce ad innalzare il tasso di riluttanza dell’opinione pubblica verso ciò che accade, orientandola, come da manuale della propaganda occulta, verso gli interessi dei grandi manovratori.

Sta di fatto, però, che i tumulti di piazza Tahrir al Cairo, sollevati nel febbraio 2011 contro il vecchio regime, sono miseramente falliti, che Morsi e i Fratelli musulmani sono entrati in una morsa di fuoco, e che la cosiddetta primavera araba appare ormai da sola inadeguata a provocare cambiamenti decisivi. Ecco perché quella che sembrava una spinta occidentale dal basso è finita a coda di topo mentre è evidente, il tentativo, da propaganda occulta, di alzare il tiro sul potenziale di virulenza del nemico interno, al fine di creare lo shock necessario a determinare un intervento armato risolutivo.

Ipotesi, questa, in parte fallita a causa del voto espresso dal parlamento britannico contro la richiesta di autorizzazione preliminare all’intervento contro il regime di Damasco. Cosa che non era successa con Tony Blair nella guerra preventiva statunitense contro l’Iraq, accusato di fabbricare armi di distruzione di massa. Da Blair a Cameron si vede che la Gran Bretagna ha fatto passi avanti sulla strada di una minore dipendenza dagli Usa.

Lo scontro è molto più radicale e interno tra modelli nazionali opposti dentro il mondo arabo.

L’arma chimica che ha provocato più di mille morti, tra cui quattrocento bambini, nell’area di Damasco, avrebbe colpito il suo bersaglio, sparata da un missile terra-terra fatto partire per ordine di Assad. Lo ha detto John Kerry, segretario di Stato Usa, e l’affermazione ha tutto il sapore di essere non facilmente verificabile. Ma l’ipotesi è solo una delle tante e risulta meno praticabile rispetto a quella che dovesse sostenere che il missile sia invece partito da un velivolo, tecnologicamente avanzato in dotazione delle truppe ostili ad Assad. Cioè si è voluto colpire un’area ad alta densità abitativa di civili non belligeranti che meglio si prestava a provocare allarme umanitario, come elemento indispensabile allo stato d’animo generale che si voleva creare.

Non dimentichiamo che un pretesto analogo era stato introdotto nell’immaginario collettivo alla vigilia della guerra in Iraq contro il regime dittatoriale di Saddam Hussein, accusato di preparare bombe atomiche in laboratori poi dimostratisi inesistenti, e che analoga cosa succede anche oggi nei veloci accertamenti dei rappresentanti dell’Onu a Damasco.

A chi giova una guerra?

Giova alle élite parlamentari e ai capi dei governi che la decidono aumentando a dismisura il loro prestigio, in un mondo abituato a soggiacere alla forza e a respingere le insufficienze dei poveri. Giova alle imprese belliche, ai costruttori d’armi e di nuove tecnologie di distruzione di massa. L’Italia è uno di questi Paesi per sua antica formazione colonialistica, da quando Mussolini vinse la sua guerra contro l’Etiopia usando i gas nervini. E cosa analoga era avvenuta in Libia. Ma gli italiani non hanno, però, mai appreso i tragici fallimenti di tali loro “predilezioni” contro altri popoli, e piuttosto che trarre insegnamento dagli errori del passato, si sono fatti sempre dei complessi d’inferiorità, per giustificare il loro interventismo. Naturalmente in nome della pace.

Ad aggravare il quadro oggi si sono aggiunti altri elementi di complessità e di rischio. Primo tra tutti che la Sicilia, al centro del Mediterraneo, allo snodo tra mondo arabo e vecchio continente, Occidente ed Oriente è nel cuore strategico del riarmo, come dimostra l’ammodernamento bellico, con le nuove tecnologie che si stanno collocando a Niscemi, con Sigonella che diventa la base operativa del più grande centro mondiale per l’uso dei droni, con l’acquisto degli F35 e con la trasformazione delle terre di Sicilia e delle sue coste in luoghi of limit riservati alle esercitazioni militari. Fatti che abbiamo già sperimentato con l’uso dell’aeroporto di Trapani-Birgi, a principale base operativa contro la Libia.

Ma questa volta le cose potrebbero mettersi in modo molto diverso, e l’Italia farebbe bene a tenersi fuori dai soliti giochini dei furbi.

 

Foto: Freedom House/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di GeriSteve (---.---.---.71) 2 settembre 2013 17:30

    A suo tempo ho apprezzato molto le analisi acute e le precise ricostruzioni di Casarrubea in "Storia segreta della Sicilia" e "Tango connection".
    Mi dispiace rilevare che oggi lo stesso Casarrubea solleva importanti intrrogativi ma utilizza categorie estremamente rozze, inadeguate a qualsiasi risposta, categorie come "USA, Francia e Gran Bretagna".
    Esempio banalissimo:
    "la Gran Bretagna ha fatto passi avanti sulla strada di una minore dipendenza dagli Usa"
    Piuttosto che una questione di dipendenza fra due nazioni, non sarà invece che Blair era un laburista e che le sinistre sono molto più brave a far digerire ai cittadini le politiche di destra?
    Esempio meno banale: verissimo che in certe regioni del mondo manca il retroterra culturale esteso necessario a praticare qualche forma di democrazia, ma di fronte al fatto che finalmente in quelle regioni ci sono persone che si organizzano per reclamare diritti civili e democratici, non è razzismo affermare che in quelle regioni le democrazie non hanno nè testa nè coda? Per quel che capisco, Casarrubea afferma che in quelle regioni mai e poi mai si potrà avere la "cosiddetta democrazia". Non sarebbe il caso invece di distinguere diversi strati sociali entro quelle "regioni" e riconoscere che qualcuno è già ben maturo per la "cosiddetta democrazia" e che altri -forse molti- stanno maturando?
    GeriSteve

  • Di Persio Flacco (---.---.---.99) 4 settembre 2013 19:59

    A chi giova una guerra contro la Siria? Lei dice che giova alle élite parlamentari e ai capi dei governi per aumentare il loro prestigio e giova alle imprese belliche, ai costruttori d’armi e di nuove tecnologie di distruzione di massa. Io non sono convinto di questo, non stavolta almeno.

    Le guerre in Afganistan e Iraq non hanno giovato affatto a Bush e alla sua corte: le guerre costano molto e gli USA si sono dissanguati per inseguire il sogno di potenza neocon di proiettare gli Stati Uniti nel Centro Asia per mettere una spina nel fianco a Russia e Cina. 

    Naturalmente do per scontato che non si presti credito alle bufale raccontate per giustificare quelle guerre di aggressione. Oggi Obama e il Congresso rischiano forse ancora di più, scatenando una guerra che i cittadini americani non vogliono, e che potrebbe richiedere molte più risorse di quante essi abbiano il coraggio di confessare.

    Se la guerra non fosse quella marcia vittoriosa che viene implicitamente data per certa; se vi fossero vittime americane e/o danni ingenti agli interessi degli Stati Uniti e dei loro alleati; se oltre a scavare buchi in terra le bombe e i missili scavassero vistosi buchi nel deficit pubblico, la credibilità e il consenso di Obama e del Congresso ne uscirebbero distrutti. 

    Ma anche se l’azione militare avesse successo e raggiungesse, al solo costo delle bombe, il suo vero scopo: il regime change in Siria, e prendesse il potere quell’assortimento di tagliagole che forma l’insurrezione, che prestigio mai acquisirebbero Presidente e Congresso agli occhi dei loro cittadini, costretti ad assistere alle sanguinose conseguenze dell’impresa? Nessuno, credo.

    Quanto ai vantaggi per l’industria bellica anche qui il beneficio è dubbio. Di fatto lo sforzo fatto nelle due precedenti guerre per la (ah ah ah!) "libertà" e "democrazia" hanno portato alla contrazione della spesa militare e alla riduzione delle commesse per l’industria bellica. Quella che si prospetta non è una guerra redditizia per i produttori di armi se non nel brevissimo termine.
    In più, la tendenza generale degli USA in questa fase storica è di spostare risorse verso l’area Asia - Pacifico per contenere la Cina. La malavoglia di Obama di impegnarsi nuovamente in M.O., soprattutto in tempi di risorse limitate, è da palese da tempo. 

    No, secondo me stavolta gli interessi prevalenti sono di altri: delle petromonarchie arabe, per le loro mire egemoniche; della Turchia neo ottomana, che spera di estendere la sua influenza sull’area e che, al tempo stesso, acquista crediti presso la NATO (cioé gli USA) schierandosi contro un suo "nemico"; del regime israeliano, che deve preparare il terreno per un attacco all’Iran (sempre che non riesca a coinvolgerlo nel conflitto) e che spera di liberarsi in un colpo di due avversari: Assad e Hezbollah, che contrastano il suo espansionismo e che offrono una sponda ai palestinesi.

    Tutti questi soggetti preferiscono un Medio Oriente frantumato in fazioni in lotta piuttosto che forti soggetti unitari e autonomi rispetto alle loro strategie.

    A chi non giova è presto detto: non giova alle popolazioni arabe, stritolate tra le fazioni, e non giova all’Europa, che ha il M.O. dietro l’angolo.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares