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Sindacati e diritto del lavoro: ultimo atto

di Riccardo ACHILLI

Senza clamore, senza più sussulti in un Paese drogato, viene annunciata l’intenzione di Renzi di intervenire con la riforma finale della sua sciagurata esistenza politica: l’ultima fase dell’americanizzazione del Paese, ovvero l’abrogazione dei contratti collettivi, a fronte di un salario minimo scelto a livello politico, mentre tutta la contrattazione salariale viene spostata a livello territoriale e aziendale, e legata unicamente alla produttività.

Senza la contropartita della compartecipazione alla gestione (il modello tedesco tanto citato e poco studiato).

La mossa è concordata con Squinzi che, ricordiamolo, alcuni individui, che ancora oggi girano nei circuiti del socialismo, avevano definito “compagno”: infatti il bravo Squinzi decreterà il fallimento ex ante dei negoziati sui CCNL che si stanno per aprire, in modo da spianare la strada alla loro abrogazione.

Rintocca la campana finale del sindacato confederale, che perde la sua ragion d’essere e si trasformerà, al più, in una sorta di associazione dei sindacati aziendali e di categoria che eroga servizi e fa un pò di studi, esattamente come avviene negli USA. Sulla base del criterio della produttività, i lavoratori saranno messi l’uno contro l’altro, per cui alla fine avremo, da stalimento a stabilimento della stessa azienda, differenze salariali e di condizioni lavorative anche rilevanti.

Ciò che resta dell’unità di classe sarà affogato nel lardo della meritocrazia, ed un popolo di 60 milioni di ignari e inconsapevoli sarà pronto ad applaudire alla meritocrazia, all’innovazione e, sobillati dal Minculpop, alla fine di quel sindacalismo che, certamente, avrà fatto molti errori, avrà avuto molti demeriti, però ha contribuito a conquistare, ed a difendere, quei diritti dei lavoratori che Renzi ha cancellato in pochi mesi.

Quando, da dipendente e senza alcuna tessera sindacale in tasca, mi trovai in un grosso guaio con il mio capufficio, il rappresentante sindacale della UIL mi aiutò, facendomi trasferire in un altro ufficio, dove la qualità della mia vita migliorò. Dentro questo gregge che va al macello ci saranno anche personaggi che si definiscono, da soli, di sinistra, che inneggeranno alla “grande innovazione” del salario minimo legale.

Non capendo che questa è una grande innovazione soltanto laddove si garantisca la coesistenza di un CCNL che deroghi verso l’alto tale minimo salariale, in base a parametri diversi dalla produttività. In un sistema produttivo come quello italiano, composto per il 98% da imprese piccole o piccolissime, con modelli di governance padronali-paternalistici, il superamento del CCNL farà sì che la gran maggioranza dei lavoratori non avranno più copertura sindacale, si introdurranno regolamenti aziendali unilateralmente decisi dalla proprietà, che regoleranno orari e condizioni di lavoro, si arriverà al modello tedesco soltanto sotto l’aspetto, tipico della Germania, di salari medi bassi e che crescono meno della produttività, senza la benché minima voce in capitolo sugli errori del management.

Il conflitto capitale/lavoro si chiuderà definitivamente a favore del primo. Ma certo, è molto più importante scandalizzarsi per gli insulti sessisti di un senatore, o per il matrimonio dei gay (che poi, se i gay non avranno un lavoro, o guadagneranno un salario da fame, chi se ne importa?).

In fondo, è anche inutile farsi il fegato amaro. Gli italiani hanno quello che si meritano. Non apriranno gli occhi nemmeno quando rovisteranno nei bidoni del’immondizia alla ricerca di cibo, perché, in fondo, sperano che arrivino i preti a dare loro un piatto di zuppa.

 

(Immagine dal web di Mauro Biani)

Questo articolo è stato pubblicato qui

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