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La sfacciataggine di Renzi

Di bugiardi al governo ne ho visti tanti, nei quasi sessant’anni della mia militanza politica. Ma, sinceramente, non ne avevo mai trovato uno paragonabile a Renzi.

Lasciamo perdere le vicende interne al suo partito, di cui ovviamente non mi importa niente, ma che sono ugualmente indicative del suo modo cinico di tradire gli impegni presi (ne sanno qualcosa Bersani e Letta). La demagogia con cui si presenta ora da “vendicatore” dei lavoratori e dei giovani abbandonati dai sindacati, in particolare dalla CGIL, un sindacato diretto da sempre da esponenti del suo stesso partito, ha avuto il suo culmine nella generosa offerta di 180 euro in busta paga, prelevati direttamente dalle tasche dei presunti beneficiari.

Il TFR (Trattamento di Fine Rapporto) era stato concepito come parte del salario del lavoratore: salario differito come le pensioni, o almeno come erano quando non erano state ancora saccheggiate modificandone l’impostazione, usando a pretesto i problemi dell’INPS causati dal riversare su di esso il dissesto dei fondi per i manager di Stato e il costo degli ammortizzatori sociali.

Il TFR era già stato usato per un’altra truffa: a mano a mano che la pensione veniva erosa imponendo condizioni sempre più pesanti per ottenerla e riducendola progressivamente, si era esercitata una forte pressione, con effettiva complicità dei sindacati, per farlo confluire in fondi che avrebbero dovuto garantire una pensione integrativa, e intanto venivano usati a fini speculativi. Una porcata non solo italiana, e che aveva già provocato seri danni ai lavoratori tedeschi e di altri paesi, per il fallimento di molti fondi pensione…

Oggi Renzi propone di utilizzare il TFR per tappare i buchi del salario reale, eroso da tassazioni scandalosamente pesanti, e soprattutto senza possibilità di quelle detrazioni riservate agli imprenditori di ogni genere e dimensione. In pratica una somma che doveva essere accantonata dal padrone, e versata al lavoratore al momento dell’interruzione del rapporto per consentirgli di affrontare la nuova condizione, dovrebbe essere destinata a essere aggiunta al salario per consentire al lavoratore di arrivare alla fine del mese. “180 euro in più in busta paga”, gridano i titoli dei giornali, ma poi si scopre che vengono conteggiati di nuovo anche gli 80 già dati.

Unica preoccupazione, come al solito, è per i poveri padroni, soprattutto i piccoli, si dice, che invece di accantonarla se la sono spesa a piacer loro: come faranno? “Tutti sanno, fa sapere la Confindustria, che le imprese utilizzano questi soldi per una maggiore disponibilità di liquidità”. Cioè le aziende (soprattutto le piccole, fino a 50 dipendenti) si prendono in prestito soldi dei dipendenti, a loro insaputa, e naturalmente senza nessun controllo…

Questa proposta dunque appare l’ennesimo trucco, come quello che spaccia per 42%, o addirittura 48, come dice qualche zelante fan che confonde il 41,8 (pari al 25% dell’intero elettorato), con un rotondo 48%, il consenso che il PD avrebbe avuto per le sue politiche nelle elezioni europee (in cui si parlava di tutt’altro). Un consenso che richiama quello di Putin: la “Nezavisimaja Gazeta”, giornale indipendente spesso critico nei confronti del management putiniano, richiama l’attenzione su quella che sembra essere una discordante correlazione tra il largo consenso dell’opinione pubblica sul Presidente (l’86% approva l’operato di Putin) e la reale situazione del paese, di cui il 38% del campione intervistato, stando ai sondaggi del centro non-governativo Levada, si dice insoddisfatto (Vedi qui).

Putin naturalmente si serve soprattutto della politica estera (soprattutto quella che riguarda il cosiddetto “estero vicino”, ieri la Cecenia, poi la Georgia, ora l’Ucraina) per consolidare il suo consenso, presentandosi come il restauratore della potenza perduta nel tracollo del 1989-1991 e nel decennio successivo. Renzi invece non ha un solo risultato significativo da vantare, a parte la designazione della inconsistente Federica Mogherini al posto della altrettanto inconsistente Catherine Ashton, ad una carica ugualmente priva di significato. Ma Renzi ha tuttavia un reale vantaggio sui suoi avversari, che gli deriva dal grande discredito di un personaggio come D’Alema, che tende a presentarsi come leader di un’evanescente opposizione interna al PD, assicurandogli una crescita sicura di consensi: su questo almeno Renzi non mente, ogni volta che D’Alema apre bocca, lui recupera un punto in percentuale.

E altrettanto si può dire del gruppo dirigente dei sindacati confederali e della stessa CGIL, che si sono screditati non solo per la loro subalternità a governi che attaccavano una dopo l’altra conquiste strappate da dure lotte dei lavoratori, ma anche per aver fatto sprecare energie e soldi per finti scioperi generali, vere sceneggiate per simulare un’attenzione alle aspirazioni della base. Renzi potrà essere battuto non dai bizantinismi dell’opposizione interna, non dalle manifestazioni-passeggiate sindacali del sabato, ma dalla ricostruzione di una vera sinistra di classe, politica e sindacale, indipendente dai padroni e quindi senza agganci ambigui al carro del PD, che è oggi il partito principale della borghesia italiana.

 

Foto: Flickr/Palazzo Chigi

Questo articolo è stato pubblicato qui

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