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Senza una visione politica l’Europa non avrà futuro

Per l'Europa, il 12 settembre 2012 sarà giustamente ricordato come un mercoledì da leoni.

A Karlsruhe, la Corte costituzionale tedesca ha pronunciato il proprio  (seppur condizionato) al Fondo salva Stati e al Patto di Bilancio - qui il dispositivo.

Qualche centinaio di km più in là, in Olanda, nelle elezioni anticipate i conservatori liberali del premier uscente Mark Rutte l'hanno spuntata d’uno o due seggi sui laburisti di Diederik Samson; dopo avere polemizzato per tutta la campagna, i due leader dovranno ora formare un governo di coalizione filoeuropeo.
Due successi dai quali l'Unione Europea esce più forte e più legittimata, democraticamente e giuridicamente.

C'è un ulteriore effetto positivo: secondo l’ultima disanima mensile di J.P. Morgan, l’esposizione dei Money market fund statunitensi - i primi a fuggire - sull’Eurozona è aumentata sia in luglio sia in agosto. Potrebbe essere un fuoco di paglia, ma si tratta di un segno tangibile che lentamente la fiducia nella moneta unica sta tornando. E J.P. Morgan conclude: "Ora tocca ai politici europei dare un seguito alle decisioni della Bce".

Ed eccoci al punto dolente.
La sentenza di Karlsruhe ha chiuso la prima fase del salvataggio dell'Eurozona: quella finanziaria. Ora si apre però la seconda, ben più impegnativa: quella politica. Una battaglia che dalle istituzioni finanziarie si estende ai governi e alle urne in cui (in italia e soprattutto in Germania) già dal prossimo anno le democrazie saranno chiamate a decidere il futuro del continente. E che in pratica consisterà nel convincere le forze politiche nazionali ad accettare la cessione di sovranità necessaria al nuovo assetto dell’UE.

Secondo Repubblica si estenderà su tre livelli, di cui il più importante (dopo la politica economiche e le politiche nazionali) è quello della politica europea:

È il più complesso. Ieri la Commissione ha presentato la sua proposta per affidare la sorveglianza delle seimila banche dell´Unione alla Bce. È il primo passo dell´Unione bancaria, ma è un passo che non piace ai tedeschi. Sempre ieri, davanti al Parlamento europeo, Barroso ha indicato il futuro dell´Europa in una «federazione di stati nazione», che non piace ai francesi. A ottobre, i capi di governo dovranno dare una prima valutazione del progetto sull´ulteriore integrazione che sarà presentato da Van Rompuy, Draghi, Barroso e Juncker. Esso prevederà riforme che si potranno fare a trattati costanti, ma anche obiettivi e tabella di marcia per una modifica dei trattati che dovrà portare all´unione di bilancio e ad una vera e propria unione politica.
La coesistenza e la confusione di sovranità nazionali e sovranità europea è un problema sempre più grave che va risolto per il bene della democrazia stessa. Lo dimostra la sentenza di ieri, che ha tenuto trecento milioni di europei appesi alla decisione di otto giudici nominati dai Lander tedeschi.
Dopo aver salvato la moneta, insomma, ora bisogna salvare l´Europa conferendole quella sovranità che ancora non possiede.

Senza questo passo, l'Europa non ha futuro. Secondo Fabrizio Goria su Linkiesta:

Certo, ora l’Europa ha uno strumento capace di intervenire sui mercati finanziari, lo Esm, in caso manchi la fiducia. Ma cosa significa quando “manca la fiducia”? Molto semplicemente, nessun investitore vuole prestare soldi ai Paesi dell’eurozona. E in questo momento, la scelta è quella di fare training autogeno. «Tutto va bene», sembrano ripetersi i politici europei, incuranti degli effetti sociali della crisi e della pesantezza della recessione che sta flagellando il Club Med dell’eurozona (e non solo). La Banca centrale europea (Bce) potrà sostenere gli Stati comprando i loro bond governativi tramite le Outright monetary transaction. Ma questo non vuol dire che la desertificazione dei mercati obbligazionari terminerà domani. Anzi. Gli investitori lavorano nel lungo termine: se vedono che ci sono misure e riforme credibili, capaci di dare i loro frutti non fra due ma fra dieci anni, investono. In alternativa, sfruttano la volatilità per guadagnare sia una fase sia nell’altra.
...
I trattati saranno cambiati, l’eurozona difficilmente rimarrà con questa struttura, ma rimane un problema di fondo. Come conciliare il concetto di federazione di Stati con 500 milioni di persone? L’eurozona ha 17 Paesi, 17 economie, 17 storie diverse e 17 interessi nazionali diversi. L’Europa ne ha ancora di più. Come mi dice un altro funzionario, questa volta francese, «è facile parlare, è difficile agire». E questo lo si è visto con la Grecia.

Secondo Eric Maurice, direttore di Presseurop:

Per permettere alla politica di riacquisire i suoi diritti, i leader europei dovranno dimostrare un po' più di fermezza nelle loro decisioni e una visione più chiara del futuro. Altrimenti dovremo abituarci a seguire ogni mese la conferenza stampa di Draghi [considerato ormai il deus ex machina della moneta unica].

C'è però un paradosso, evidenziato da El Pais. L'8 settembre, nel corso dell'ultimo forum Ambrosetti, il premier Monti e il presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy hanno lanciato l'idea di un vertice straordinario a Roma. In questa occasione si parlerà del futuro dell'idea europea e si rifletterà sui mezzi per combattere il populismo e l'euroscetticismo. Peccato che Monti e Von Rompuy non siano altro che due politici non eletti che credono di poter combattere idee sempre più diffuse e popolari con l’ennesima riunione elitaria. L'ultima di una lunga - e inconcludente - lista da due anni a questa parte.
Benché l'intento sia lodevole, è il mezzo ad essere sbagliato. La conclusione, secondo il quotidiano spagnolo, è che:

è importante parlare di politica e difendere il progetto di integrazione non solo contro gli attacchi dei mercati, ma anche contro la disaffezione dei cittadini. Ma come colmare il vuoto di legittimità che spiana la strada al populismo? La loro iniziativa può rivelarsi pericolosa se si limiterà a combattere delle posizioni politiche perfettamente democratiche, mentre loro stessi hanno una legittimità fragile e indiretta.
Lo scetticismo, che era finora il nemico principale dei sostenitori di un'Europa unita, si rivela essere una componente importante del dibattito europeo: se gli fosse stato accordato uno spazio maggiore nei dibattiti fondamentali degli ultimi venti anni si sarebbero potuti correggere alcuni errori di concezione del progetto di integrazione, risparmiandoci una parte dei problemi attuali.
Invece di criticare i populisti e gli euroscettici, i responsabili dell'Ue dovrebbero sforzarsi di far tacere le critiche migliorando la qualità democratica del sistema. Sul lungo periodo sarebbe triste se i democratici ci dovessero obbligare a scegliere fra populisti eletti e tecnocrati europeisti.

Di certo, l'ultrarigorismo di Berlino non aiuta. La proposta tedesca per il bilancio UE 2014-2020 (che in gergo comunitario si chiama multiannual financial framework) si inserisce su questa linea. Essa prevede, tra le altre cose: niente sconti, neanche per i paesi più in difficoltà come la Grecia; il passaggio dal finanziamento a fondo perduto per le regioni più deboli a veri e propri prestiti, da restituire; e che "in futuro ogni regione beneficiaria sottoponga una strategia di crescita". Il solito copione di "sangue, sudore e lacrime", come la proposta è stata ribattezzata da un diplomatico europeo citato dal sito Euractiv.

L'obiettivo di Berlino è evitare abusi e ridurre i poteri della Commissione Europea. Di fatto, sarà un ostacolo in più verso ogni forma di cooperazione tra gli Stati, oltreché verso la ripresa economica di quella più deboli. Come il Portogallo, a cui la Troika ha "benevolmente" offerto più tempo per far quadrare i conti in cambio di maggiori sacrifici. O la maltrattata Grecia, per la quale non è esclusa una seconda ristrutturazione del debito - e che adesso vuole mettere i puntini sulle i con Berlino, minacciando di chiedere ai tedeschi un risarcimento da 300 miliardi di euro per le distruzioni della Seconda Guerra Mondiale.

Come si può sperare che l'Europa faccia dei passi avanti se oggi i singoli governi arrivano al punto di rivangare fatti accaduti settent'anni fa? E come sì può sperare che i governi dell'Eurozona lavorino insieme per un'Europa più unita, se gli Stati più deboli devono finanziarsi sui mercati a tassi insostenibili a causa delle regole imposte da quelli più forti, che viceversa prendono il denaro in prestito a costi poco più che simbolici? E' soprattutto questo a ricordarci che, con il mercoledì da leoni alle spalle, gli altri giorni dell'Europa sono e restano sempre uguali.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.50) 15 settembre 2012 12:47

    credere che le misure intraprese dalla BCE possano essere la panacea dei problemi finanziari dell’eurozona è pura illusione.
    Draghi ha comprato solo ed unicamente solo altro tempo , null’altro.
    Illudersi che austerità e ulteriore sacrifici sociali possano convivere col modello economico consumistico del quale sono permiate le economie euopee , è pura utopia.
    La spirale recessionistica che si è inevitabilmente innescata si amplierà a tutti i paesi della UE per tre motivi :

    • la crisi è dettata dalla fuga dei capitali che trovano migliore remunerazione nei paesi emergenti e non dalla sfiducia nella restizione dei capitali investiti nei debiti sovrani ( infatti lo spread sale a prescindere delle misure attuate dai governi a garanzia del pagamento dei debiti)
    • il differenziale retributivo tra i paesi emergenti e quelli consumistici è troppo elevato per poter essere colmato con altri fattori quali innovazione e tecnologia.(anche perchè spostare la tecnologia non costa nulla ma spostare una produzione costa parecchio)
    • sino a quando non si regolerà l’abnorme mercato finanziario dei derivati , vera bolla speculativa delle economie, il capitale non avrà nessun interesse ad investire nelle economie reali .
    quindi non prendiamoci in giro , i problemi in seno alla UE sicuramente esistono e sono di grande entità ma , la vera battaglia si svolge tra continenti economici , tra una cultura consumistica che sta implodendo ed una emergente che ha trovato spazio e ragione di esistere sulle spalle della prima e che oggi sta iniziando a dettare le sue regole.
    L’unica carta che l’occidente ha è di attendere il livellamento dei costi di produzione che inevitabilmente avverrà con l’avvento dell’automazione della produzione quando cioè , tra una decina di anni le macchine saranno in grado di effettuare il 70 % dei lavori manuali che oggi effettua l’uomo ed il 50% di quelli intellettuali .
    sino ad oggi questo spettro è stato scongiurato dal costo comunque umano nella costruzione e manutenzione delle macchine ma ormai, le macchine che autocostruiscono sono sempre più una realtà e altrettanto quelle che autoriparano , sino al punto di rendere nullo l’intervento umano .
    Ma quando ciò avverrà , allora saremo davanti ad una epocale svolta dove l’uomo , dovrà reinventarsi una ragione di vita ?
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  • Di (---.---.---.80) 15 settembre 2012 20:19

    In altalena >

    L’Alta Corte tedesca ha promosso il Fondo salva-Stati. Come la Bce anche la Fed americana si accinge a immettere liquidità sul mercato acquistando miliardi di bond. Viene così a mancare quella spinta al rialzo che da 4 mesi infiammava gli spread dei paesi europei più in difficoltà.

    Dall’oscillazione dei nostri Btp risulta che la cosiddetta “speculazione” ha inciso per circa 150 punti rincarando dell’1% il tasso d’interesse.
    Andamento del tutto speculare a quello già visto ad inizio anno quando la Bce ha offerto alle nostre banche 225 miliardi di prestiti all’1%. Mancano ancora una cinquantina di punti per tornare ai minimi di marzo 2012.

    Tutto bene? Capitolo ormai chiuso? La parola ai numeri.
    Se presto taglieremo il traguardo dei 2000 miliardi di Debito e se il Pil continuerà a calare oltre il 2%, non è avventato ipotizzare altri “aggiustamenti” di bilancio.
    Ergo. C’è già chi mette in conto il possibile ritorno della “febbre” da spread.
    Specie se la Spagna si dovesse giovare del Fondo salva-Stati.

    Esaurita la spinta l’altalena torna sempre indietro.
    Non a caso Monti, proprio adesso, agita lo spettro dello “spread di produttività”.
    Il rischio “avvitamento” non si contrasta con enunciati e pronostici da teatrino di Pantomima e Rimpiattino

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