• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Istruzione > Se non son matti non li vogliamo: il disagio del docente diventa (...)

Se non son matti non li vogliamo: il disagio del docente diventa malattia

Nel bel mezzo di diatribe partitiche (che di politico nel senso nobile mi pare abbiano poco) scriverò partendo dalla mia esperienza personale per descrivere un fenomeno poco conosciuto, ma che, un po’ come il problema dell’inquinamento, avrà di certo grosse implicazioni, tutte negative, per il nostro futuro. Insomma una bella lettura estiva.

Nella mia presentazione ho scritto insegnante, in realtà io sono stata insegnante e ottima (lo dico supportata dalle testimonianza dei miei alunni di allora, non tutti perché non sono perfetta, ma buona parte), dopo anni di dedizione a un lavoro che mi piaceva da matti (e matti è una parola chiave), dopo anni in cui ogni dolore, problema di un mio allievo era anche mio, dopo dolori, delusioni, ma anche gioie e soddisfazioni condivise coi ragazzi, ho cominciato a non poterne più.

Le classi erano sempre più numerose, i ragazzi sempre meno motivati ed educati (senza mai trascendere, non ho mai messo una nota in vita mia), il lavoro di insegnante sempre meno considerato, i miei metodi innovativi non sempre apprezzati... insomma dopo queste cose ho cominciato a stare male.

Insonnia, problemi gastrici, cefalee tensive, irritabilità, angoscia, desiderio, quasi come in trincea, di spararmi in un piede per stare a casa...

I ragazzi non li sopportavo più, non sopportavo le loro sfide adolescenziali, che chissà perché non indirizzavano nemmeno più alla famiglia (ora lo so perché, la famiglia già si disgregava), non sopportavo che mi dicessero “Prof. posso parlarle? Ho un problema”, non tolleravo che non mi ascoltassero se non a sprazzi quando io portavo loro la cultura: come si faceva a distrarsi davanti a Leopardi, a Dante, all’evoluzione del pensiero?

Insomma non li sopportavo, non c’era nessuno che mi potesse aiutare e mi sentivo terribilmente in colpa per le assenze (cui ero costretta dal mio medico), perché i ragazzi non mi piacevano più, perché non facevo il mio lavoro-missione con la devozione e l’impegno dei primi anni.

Era il classico burn out.

Di cui non sai nulla finché non sei già dentro mani e piedi, di cui non ti rendi conto finché i sintomi psicofisici diventano così fisici che devi cominciare a curarti: la depressione, il mal di stomaco, il mal di testa, la pressione alta e molte altre patologie (per fortuna non tutte mie!).

A me è accaduto circa 10 anni fa, ho precorso i tempi, allora fare scuola era più facile di oggi, ma si vede che io ero più fragile o più sensibile chissà. Forse ero solo più accorta, o avevo un medico più attento, le variabili sono tante. Il fatto è che ho affrontato subito il disagio, pensando che dovevo liberarmi della fonte del disagio ossia l’insegnamento, lo stare in classe coi ragazzi.

Ho fatto varie visite che dimostrassero i miei problemi (spesso umilianti, talvolta con medici competenti e gentili) e ora sono fuori ruolo per motivi di salute a tempo indeterminato (con sacrosante visite di controllo).

Ho talvolta nostalgia dell’insegnamento, ma mantengo contatti coi ragazzi attraverso progetti, teatro, biblioteca, concorsi, conferenze e essere di supporto ai colleghi è gratificante, mi rendo anzi conto che la mia esperienza di burn out e le mie parole talvolta dsono un aiuto perché il disagio avanza, avanza inesorabile in quasi tutto il copro insegnante.

Incidentalmente dirò che il problema dei fuori ruolo è il rapporto coi dirigenti giacché non essendoci una legge precisa noi siamo un po’ in balia dei dirigenti, non siamo carne né pesce, siamo insegnanti che non insegnano (un vero ossimoro) e spesso questo ci fa sembrare privilegiati o fannulloni o sfruttabili per qualsivoglia uso scolastico...

Ma questo è già il problema del dopo.

Ora il problema che voglio porre (invitando anche a leggere a questo link le testimonianze di un medico che da ani si occupa dei disturbi di salute mentali nei professori) è proprio questo disagio, credo che fondamentale sia parlarne portarlo allo scoperto e fornire a docenti e dirigenti il modo per aiutare il docente scoppiato, perché un docente scoppiato fa male a se stesso, ma non fa nemmeno bene alla classe, ai ragazzi.

Il docente scoppia per fragilità personale certo, ma soprattutto perché il suo lavoro, che è un lavoro ormai sociale, di aiuto prima ancora che educativo e culturale, non viene riconosciuto come tale, come lavoro usurante e, se per medici e altre categorie c’è un supporto psicologico, in Italia questo manca, ma manca anche la presa di coscienza del problema.

Il che fa anche parte del gioco: se voglio demolire la scuola la cultura devo partire dagli insegnanti... Se agli occhi di un ragazzo l’insegnante appare come uno sfigato il gioco è fatto, la cultura perderà molta della sua importanza e la scuola perderà prestigio, portando a un circolo vizioso cui partecipano con entusiasmo anche molti genitori sempre pronti a difendere la loro prole.

C’è anche il concorso dell’impreparazione dei dirigenti di fronte al problema e anche dei colleghi.

In Francia ci sono cliniche specializzate, c’è lo psicologo per i docenti, in Italia la risposta al disagio (oltre alla rimozione) sono classi più numerose, demistificazione di cultura e scuola e rappresentazione del professore come lo sfigato, il poveraccio di turno.

Concludo dicendo che anche questo è un grave male della scuola italiana, forse uno dei peggiori e poco conosciuto, molti leggendomi penseranno alla solita malata immaginaria con problemi di olio gomito, pazienza, la testimonianza è importante, inviterei comunque queste persone a fare una settimana o un mese il lavoro dell’insegnante, magari in un professionale, con colloqui generali coi genitori, con consigli di classe, discussioni col ragazzo che non vuole studiare e ti insulta e madri chiocce che ti beccano quando attacchi il loro pulcino...che magari in realtà è già un avvoltoio che aspetta il tuo cadavere, professore, che passi soffocato nel fiume dell’indifferenza, della stupidità e dell’ignoranza.

 

Ps ricordiamo che per lo più nella scuola sono donne e che c’è la bella novità della pensione a 65 anni.

Ricordiamo che i tagli alla scuola colpiscono le tre fasce più deboli del paese: giovani, donne e del sud.

I commenti più votati

  • Di (---.---.---.36) 11 agosto 2010 10:09

    Maria Rosa sono con te...ti esprimo la mia inutile ma sentita solidarietà... Certi individui che hanno il coraggio, l’impertinenza e la maleducazione per definirsi "intellettuali e politici" dovrebbero essere loro a cambiare mestiere... mentalità e quant’altro.

    Siamo tutti ignoranti, ma alcuni paiono proprio aver superato il limite della stupidità...che è cosa ben diversa dalla semplice, pura, dotta ignoranza. Qui siamo, seppur nei dubbi, nell’ambito della nullità esistenziale.

    Con amicizia stima affetto.
    Francesco 

  • Di (---.---.---.87) 9 agosto 2010 14:08

    Leggendo l’articolo della professoressa Panté mi sono sentita chiamata in causa in quanto studentessa di psicologia di analisi e intervento nel lavoro che ha molto a cuore la sindrome da burnout.
    In Italia (come al solito) non siamo preparati ad accogliere certe patologie che tendiamo a sottostimare e il rischio più grave è che si inizierà ad intervenire quando il problema sarà così diffuso da non essere arginabile, quando avremo sfornato generazioni di studenti ignoranti sia sotto l’aspetto della cultura che sotto l’aspetto dell’educazione.

    In una società in continua evoluzione come la nostra, dove i punti di riferimento vacillano di continuo e i nostri valori vengono minati alle fondamenta non possiamo permetterci di rimandare a domani, di demandare ad altri la responsabilità di gestire i nuovi problemi.

    Oggi, i professori (oltre agli impegni istituzionali) si ritrovano a dover letteralmente combattere con orde di adolescenti che stanno diventando sempre più ignoranti (concedetemi di chiamarli "analfabeti di ritorno") , che snobbano la scuola e tutto ciò che potrebbe ampliare le loro menti trovandone un motivo d’orgoglio.

    D’altro canto, certi genitori preferiscono giustificare il proprio figlio, preferiscono concedere piuttosto che negare convinti che sia importante renderli felici (temporaneamente e superficialmente) nell’immediato piuttosto che guardare più in là del proprio naso e capire che a volte i "no" fanno crescere più dei "sì".
    Per ottenere veri risultati bisogna essere coerenti a casa e a scuola nell’insegnamento dei valori, nei divieti e nei permessi. L’incoerenza porta solo perdita di autorità per il docente come per il genitore. Bisogna, dunque, congiungere le forze per ottenere un risultato e risolvere il problema alla radice.

    Concludo il mio lunghissimo commento (chiedo venia) dicendo che spero che questi docenti appassionati e amanti dei giovani e dell’insegnamento non scompaiano mai perché sarà proprio allora che potremmo dire addio a qualsiasi presa di coscienza futura essendo la scuola il trampolino di lancio della mente verso il mondo esterno. Auguriamoci, dunque, che questi pochi valorosi non facciano la fine di Winston Smith di "1984"...

    Elisa

  • Di (---.---.---.9) 21 dicembre 2010 17:38

    Per Renzo Riva: e lei cosa fa di (in) utile nella vita?
    Scrive questi stupendi articoletti?

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.87) 9 agosto 2010 14:08

    Leggendo l’articolo della professoressa Panté mi sono sentita chiamata in causa in quanto studentessa di psicologia di analisi e intervento nel lavoro che ha molto a cuore la sindrome da burnout.
    In Italia (come al solito) non siamo preparati ad accogliere certe patologie che tendiamo a sottostimare e il rischio più grave è che si inizierà ad intervenire quando il problema sarà così diffuso da non essere arginabile, quando avremo sfornato generazioni di studenti ignoranti sia sotto l’aspetto della cultura che sotto l’aspetto dell’educazione.

    In una società in continua evoluzione come la nostra, dove i punti di riferimento vacillano di continuo e i nostri valori vengono minati alle fondamenta non possiamo permetterci di rimandare a domani, di demandare ad altri la responsabilità di gestire i nuovi problemi.

    Oggi, i professori (oltre agli impegni istituzionali) si ritrovano a dover letteralmente combattere con orde di adolescenti che stanno diventando sempre più ignoranti (concedetemi di chiamarli "analfabeti di ritorno") , che snobbano la scuola e tutto ciò che potrebbe ampliare le loro menti trovandone un motivo d’orgoglio.

    D’altro canto, certi genitori preferiscono giustificare il proprio figlio, preferiscono concedere piuttosto che negare convinti che sia importante renderli felici (temporaneamente e superficialmente) nell’immediato piuttosto che guardare più in là del proprio naso e capire che a volte i "no" fanno crescere più dei "sì".
    Per ottenere veri risultati bisogna essere coerenti a casa e a scuola nell’insegnamento dei valori, nei divieti e nei permessi. L’incoerenza porta solo perdita di autorità per il docente come per il genitore. Bisogna, dunque, congiungere le forze per ottenere un risultato e risolvere il problema alla radice.

    Concludo il mio lunghissimo commento (chiedo venia) dicendo che spero che questi docenti appassionati e amanti dei giovani e dell’insegnamento non scompaiano mai perché sarà proprio allora che potremmo dire addio a qualsiasi presa di coscienza futura essendo la scuola il trampolino di lancio della mente verso il mondo esterno. Auguriamoci, dunque, che questi pochi valorosi non facciano la fine di Winston Smith di "1984"...

    Elisa

  • Di Renzo Riva (---.---.---.95) 9 agosto 2010 19:38
    Renzo Riva

    Eviva la squolla sesantotarda! Eviva la familia insistente non esistente, di più se allagata.
    Squsatemi se ogidì facio moti sbagli.

    Un ferraiolo non può fare i calcoli di un ponte come una persona inadeguata all’insegnamento e bene eserciti un’altra professione.
    In una scuola degli anni ’50 certamente non avrebbe sviluppato alcuna sindrome.
    Le lascio intuire il perché.

    Renzo Riva

  • Di Maria Rosa Panté (---.---.---.106) 9 agosto 2010 22:59
    Maria Rosa Panté

    Non avrei sviluppato sindromi perché non ero ancora nata... quanto alla scuola sessantottarda ero troppo giovane... come la mettiamo? Comunque grazie per l’attenzione... lei che lavoro fa?
    Maria Rosa

  • Di Renzo Riva (---.---.---.95) 10 agosto 2010 13:06
    Renzo Riva

    Un ferraiolo non può fare i calcoli di un ponte; come una persona inadeguata
    all’insegnamento è bene eserciti un’altra professione.
    In una scuola degli anni ’50 certamente non avrebbe sviluppato alcuna
    sindrome.
    Le lascio intuire il perché.

    Dalla sua risposta si evince che non vuole capire, perché ciò, per lei,
    sarebbe troppo doloroso riconoscere dove ha sbagliato.

    Ho 60 anni, lavoro a tempo parziale per 16 ore settimanali e faccio altri
    lavori saltuari.
    Attualmente la mia attività principale è quella intellettuale e poi quella
    politica.

    http://renzoslabar.blogspot.com/

    http://cjalcor.blogspot.com/2010/08/lago-controreplica-degli-industriali.html?
    showComment=1281353364366#c937945602561893985

    http://cjalcor.blogspot.com/2010/07/dibattito-sul-lago-una-lettera-aperta.html?
    showComment=1281373495894

    http://renzoslabar.blogspot.com/
    http://www.archivionucleare.com/index.php/2007/01/30/animata-discussione-costi-
    nucleare/#comment-30682
    http://www.agoravox.it/Casabona-qui-Milano-Grazie-all.html
    http://www.agoravox.it/Nucleare-in-Italia-arriva-la.html
    http://www.telenuovo.it/index.
    cfm/hurl/contenuto=170890/archivio_dirette/rosso_e_nero.html
    http://forum.radicali.it/content/radicali-e-energia
    http://forum.radicali.it/content/nucleare-no-grazie
    http://forum.radicali.it/content/renzo-riva-avanti

    Ho scoperto di essere finito anche su youtube se le interessa.
    http://www.youtube.com/watch?v=2Brbqp82eVE
    http://www.youtube.com/watch?v=SIkdteA8CBA
    http://www.youtube.com/watch?v=HkagxYB1thU

    L’ultima mia prestazione televisiva la può seguire al seguente collegamento:
    http://www.telenuovo.it/index.cfm/hurl/contenuto=170890/archivio_dirette/rosso_e_nero.html

  • Di Maria Rosa Panté (---.---.---.154) 10 agosto 2010 17:54
    Maria Rosa Panté

    Con un curriculum così come rispondere? si soccombe e basta, auguri al politico e all’intellettuale e siccome non voglio soffrire più di quanto già non accada nella vita non indagherò oltre sui miei fallimenti... 
    maria rosa

  • Di (---.---.---.36) 11 agosto 2010 10:09

    Maria Rosa sono con te...ti esprimo la mia inutile ma sentita solidarietà... Certi individui che hanno il coraggio, l’impertinenza e la maleducazione per definirsi "intellettuali e politici" dovrebbero essere loro a cambiare mestiere... mentalità e quant’altro.

    Siamo tutti ignoranti, ma alcuni paiono proprio aver superato il limite della stupidità...che è cosa ben diversa dalla semplice, pura, dotta ignoranza. Qui siamo, seppur nei dubbi, nell’ambito della nullità esistenziale.

    Con amicizia stima affetto.
    Francesco 

  • Di (---.---.---.27) 11 agosto 2010 13:23

    a Francesco grazie (bellissima la "dotta ignoranza")
    Maria Rosa

  • Di (---.---.---.27) 11 agosto 2010 13:25

    Per Ambrogio adesso che so cosa è una benna: grazie, commento molto appropriato
    Maria Rosa

  • Di Renzo Riva (---.---.---.95) 11 agosto 2010 18:58
    Renzo Riva

    Continua a prendere pure lo stipendio e chiediti, ogni tanto, se potresti essere fra quel milione di statali che dovrebbero essere licenziati perché inutili.

    Sabato 11.12.2004
    Sezione lettere de "Il Gazzettino" del Fiuli, pagina XVI

    UDINE
    Troppa gente
    alle dipendenze
    dello Stato

    Bisogna ridurre il personale in esubero nell’amministrazione pubblica, per 
    liberare le risorse necessarie al finanziamento delle politiche per la 
    riduzione dell’insostenibile pressione fiscale, per la ricerca e lo sviluppo. 
    Bloccare il turnover quale toccasana per conseguire i risultati sopraddetti è 
    velleitario e propagandistico. Il fattore "tempo" è sfavorevole, perché la 
    dinamica del turnover è troppo lenta nel produrre i benefici ricercati, poiché 
    i risultati si conseguiranno solo nel lungo termine. Inoltre le necessità di 
    reperire le nuove professionalità sconsiglia quella che potrebbe configurarsi 
    come una nuova rigidità nel mercato del lavoro.
    Ricordo che durante il governo dei sinistri "Prodi-D’Alema-Amato", l’apparato 
    alle dipendenze statali fu sfoltito di 290.000 unità, alla chetichella, senza 
    contrasti sindacali, perché le stesse unità furono poste sul groppone del 
    contribuente, lavoratore o detentore di capitali; nella migliore continuità 
    dell’Iri di Prodiana memoria, con prepensionamenti e incentivi. Si doveva 
    invece licenziare e dare un reddito minimo di sussistenza, come normalmente 
    assicurano molti Stati nostri competitori, europei o extra-europei e taluni 
    anche senza corrispondere alcunché.
    Invece, fino ad oggi, questo governo ha assunto circa 119.000 unità 
    d’impiegati statali (non so se lavoratori). L’industria privata non assistita, 
    che compete nel mercato mondiale, sarebbe fuori mercato qualora applicasse la 
    ricetta statale.
    Ripeto: chiunque sia al governo dovrà tagliare le spese improduttive per 
    liberare risorse finanziarie, indispensabili per l’innovazione dei nuovi 
    processi produttivi e la ricerca, i soli che possano permettere la competizione 
    nel mercato internazionale e che potranno coadiuvare politiche di riduzione 
    della pressione fiscale. Invece si continua nel vecchio malvezzo 
    dell’assistenzialismo ad attività fuori mercato, con costi grandemente maggiori 
    delle politiche di sussistenza per chi sarà interessato dalla chiusura delle 
    stesse. E intanto il mercato del vero lavoro langue; quello assistito prospera, 
    compreso l’intra- e l’extra-comunitario.
    Un appunto alle sofferenze industriali del nostro Friuli.
    Le odierne vicende delle cartiera Burgo di Tolmezzo ed Ermolli di Moggio 
    Udinese, che operano fuori mercato. In Finlandia sono prodotte bobine di carta 
    con un fronte di 11,60 metri (hanno materia prima, acqua a volontà, centrali 
    nucleari). E giù a far finta di finanziare depuratori che poi non sono 
    realizzati; una maniera surrettizia di finanziare i livelli occupazionali. 
    Altro per l’ex-Manifattura di Gemona.
    Ricordiamo ancora i nomi: Cumini? Comello? Patriarca? Dilapidarono miliardi di 
    Lire d’intervento pubblico, per poi chiudere. E poi ci vengono a dire che serve 
    importare manodopera! Facendo mente alla Zona Industriale di Osoppo, dicono 
    niente le esperienze industriali dei gruppi Pittini e Fantoni? Nel "Gruppo 
    Pittini" nell’ anno 1973 si producevano circa 180.000 tonnellate di vergella; 
    nell’anno 1979 circa 360.000 tonnellate, con circa 1500 unità lavorative; 
    nell’anno 1989 circa 700.000 tonnellate con circa 1100 unità lavorative; oggi 
    anno 2004 circa 1.000.000 tonnellate con circa 700 addetti. Per non dire di 
    tutte le piccole aziende che operano senza particolari aiuti.
    Nell’apparato statale invece, nonostante "pensionati baby", scivolamenti, svii 
    e deragliamenti, procedure informatizzate ed altre diavolerie moderne, 
    prosperano i "lavori socialmente in-utili". Sempre per la nota teoria: e poi 
    chi vota chi?
    Renzo RIVA
    Buia

  • Di (---.---.---.32) 16 agosto 2010 18:33

    Ora è ancora più chiaro. Fernando65

  • Di (---.---.---.9) 21 dicembre 2010 17:38

    Per Renzo Riva: e lei cosa fa di (in) utile nella vita?
    Scrive questi stupendi articoletti?

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares