Se l’Ilva creasse posti di lavoro
Esiste un principio europeo: “Chi inquina paga”.
In un’intervista che ho rilasciato a dicembre dell’anno scorso spiegavo che l’Ilva andrebbe bonificata, così com’è stato fatto nella regione tedesca della Ruhr. In Italia siamo stati capaci di creare il conflitto tra vita e lavoro, tra ambiente e inquinamento e i responsabili sono: politica, imprenditoria e sindacato.

Lo Slai-Cobas ha portato avanti battaglie di sensibilizzazione e di denuncia e sono stati due esponenti, Margherita ed Ernesto, a portarmi davanti all’Ilva, nel quartiere Tamburi dove ogni famiglia conta almeno un morto per tumore, dove c’è la chiesa di quartiere ristrutturata dall’imprenditore Emilio Riva… a questo punto aggiungo che anche la chiesa ha le sue responsabilità: in sette anni nell’area tarantina ci sono stati 11.590 decessi riferibili all’attività dell’acciaieria (1650 all’anno) e 26.399 ricoveri (3.857 all’anno). E nei quartieri della città che sono prossimi all’Ilva, nell’arco di sette anni, i morti sono stati 637 (91 all’anno) e i ricoveri ospedalieri 4.536 (648 all’anno) (dati della perizia epidemologica depositata presso la procura di Taranto).
Gli operai hanno chiesto di lavorare perché devono vivere, sindacati e politica hanno risposto che si deve continuare a fare acciaio, ma davvero questo è l’unico modo per poter continuare ad avere uno stipendio?

Enrico Bondi, commissario straordinario Ilva, ha dichiarato che i tumori sono dovuti all’abuso di alcol e fumo, e invece l’inquinamento del mare? Dell’aria? Della terra? Vogliamo attribuirli all’alito dei tarantini? Un’altra strada c’è sempre, basterebbe iniziare a sganciarsi da quelle logiche amicali e affaristiche e l’Ilva potrebbe continuare a dare ancora lavoro e soprattutto rispetterebbe l’ambiente, la salute, la vita.
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