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Scongiuriamo nuove tasse con più balzelli?

Siamo ormai prossimi alla presentazione del DEF e del PNR (Programma Nazionale di Riforma), e magicamente i giornali stanno riempiendosi di accorati appelli a “scongiurare” il primo aumento di imposte indirette che dovrebbe scattare dal prossimo primo gennaio. Abbiamo quindi già pronto il menù di chiacchiere dei prossimi mesi, che in realtà sarà ovviamente e pesantemente condizionato dalla crescita che riusciremo a mettere in carniere. Ne frattempo vi omaggeremo di alcune elucubrazioni, nostre ed altrui.

La premessa, affinché quelli tra voi che di solito dicono “si ma tu, che parli tanto, che faresti?” possano mettersi il cuore in pace e guardare la luna e non il dito: chi scrive ritiene che la spesa pubblica italiana sia giunta a livelli di problematica comprimibilità ulteriore; che la sua ristrutturazione potrà avvenire solo in un contesto di crescita decente, anche se serve essere consapevoli che esiste un potente disincentivo a toccare il sistema, quando c’è crescita. Per contro, in assenza di crescita, tutte le proposte sin qui orecchiate per tagliare miracolosamente la spesa sono purissimi miraggi, con buona pace dei tanti spianatori del Turchino che imperversano da anni sui media.

Per precisare meglio: a giudizio di chi scrive, la spesa pubblica potrà essere ridotta ma non per via del leggendario efficientamento quanto per riduzione del suo perimetro. E non è una distinzione di lana caprina, ovviamente. Da questa premessa discende, ad esempio, un intervento sulle agevolazioni fiscali, le celeberrime tax expenditures, che pare verrà costruito “secondo criteri di equità”. Il che significa modulare detrazioni e deduzioni in funzione del reddito. Un esempio di questa corrente di pensiero si coglie nell’intervista concessa da Roberto Perotti ad Alessandro Barbera su la Stampa di oggi. Prendete ad esempio questo scambio:

Agevolazioni fiscali: uno studio del 2011 dice che sono 721. Le ridurrete?
«Quella lista comprendeva troppe voci, persino l’Iva agevolata sul pane. Tagli ce ne saranno, ma graduali».

Taglierete anche le agevolazioni sui mutui? Da tempo al Tesoro c’è chi dice: ingiusto concederli a prescindere dal reddito.
«Stiamo ragionando della possibilità di garantire alcune agevolazioni anzitutto ai redditi più bassi»

A meno che Perotti non venga sconfessato dal “primato della politica” (che tuttavia, a sua volta, è soggetto a quello della realtà), questo significa esattamente la rimodulazione di detrazioni e deduzioni in funzione del reddito. Ora, bene concentrarsi sull’equità ma serve anche essere consapevoli che, agendo in questo senso, l’aliquota fiscale marginale effettiva di una parte della popolazione (i “benestanti”) va ad aumentare, con ciò che ne consegue. Ciò premesso, dato il vincolo di gettito da portare a casa, dove si posizionerà l’asticella che individua i “benestanti” a cui limare le agevolazioni fiscali? Altra questione non banale, evidentemente, visto che in Italia abbiamo la tendenza e la tentazione di prendere i soggetti sopra i 40.000 euro lordi annui di imponibile e considerarli un incrocio tra Bill Gates e George Soros, in termini di propensione a consumo e risparmio. Quindi, occhio ad aumenti d’imposta sulla assai evanescente “classe media”. Dovessimo scommettere, punteremmo sulla soglia di 25.000 euro quale spartiacque tra classe media ed “abbienti”. Che questa sia la soglia dei leggendari 80 euro è del tutto casuale.

Altro punto, da noi più volte richiamato:

Le Ferrovie dello Stato ricevono ogni anni fra i cinque e i sette miliardi a fondo perduto. Non sono troppi?
«Sono tanti. Però va detto che il prezzo per chilometro del trasporto regionale e locale su rotaia è il più basso d’Europa»

Eccallà. E’ quel “però” che non riusciamo a sistemare in armonia col contesto della risposta. La traduzione sarebbe: “aumentiamo la compartecipazione dell’utenza ai costi del trasporto pubblico locale, per finanziare il taglio dei sussidi al medesimo”. Il che vuol dire aumento fittizio e necessitato dei consumi per la voce trasporti. E anche di questo vi abbiamo detto. A questo punto, l’antica obiezione si ripresenta:

Obiezione di alcuni: tagliando la spesa si deprime la crescita
«La si deprimerebbe di più aumentando l’Iva. Ma anche se non ci fosse di mezzo l’aumento dell’Iva, ricordiamoci che l’Italia ha una spesa che vale il 52 per cento del prodotto, e che molte di queste spese servono solo ad alimentare gli appetiti delle lobby e a distorcere la concorrenza. Meglio tagliare queste spese e usare quei fondi per ridurre le tasse sul lavoro. A tutti»

Uhm, ma è più distorsivo un aumento di imposte indirette o di quelle dirette, in termini di impatto sull’offerta di lavoro? Domande vagamente retoriche e quasi oziose, visto il livello di pressione fiscale complessiva in questo paese. Resta da capire quali sono le “lobby” a cui Perotti fa riferimento, e quale recupero di risorse tale intervento può dare, concretamente. Perché non vorremmo che, tirando le somme, “lobby” fossero gli utenti del trasporto pubblico locale ed i “ricchi” sopra i 25.000 euro annui che beneficiano della deducibilità degli interessi sul mutuo prima casa. Ma andiamo avanti su questa falsariga, e giungiamo alla domanda delle domande, quella posta da chi ha capito quali e quanti sono i numeri in gioco:

Le tre grandi voci di spesa sono sanità, pensioni, pubblico impiego. È realistico pensare di ottenere risultati a due cifre senza interventi su queste voci?
«Sulla sanità i margini ci sono, ma senza il contributo delle Regioni non si va da nessuna parte. Sulle pensioni aspettiamo la proposta che farà il presidente dell’Inps Boeri. Di certo si possono spendere meglio i fondi per le prestazioni assistenziali, se ne occupano troppi enti»

E’ piuttosto bizzarro che un governo democraticamente eletto confermato alle elezioni europee a furor di popolo aspetti suggerimenti dal tecnocrate che guida l’istituto nazionale di previdenza, no? Ma cerchiamo di non essere malevoli. Come avrete capito, applicando il nostro schema interpretativo (quello “efficientamento vs. ridefinizione del perimetro dell’intervento pubblico”), il pendolo sembra spostato verso la seconda polarità, almeno ascoltando Perotti. Il che vuol dire, tirando le somme, che finiremmo a “scongiurare” l’aumento Iva aumentando la pressione fiscale su alcuni soggetti, sia pure in funzione “equitativa”. Ma Perotti non è Renzi, ovviamente. Alla fine potrebbero saltar fuori i soliti tagli lineari, con la brutta sorpresa che siamo arrivati al fondo del barile, e questa volta sarà più difficile per il premier dire a comuni e regioni “non urlate, ché avete molto da farvi perdonare”.

Alternative? Una potrebbe venire dal famoso Fattore C, quello che sinora ha dato una grossa mano a Renzi. Più crescita, grazie ad irripetibili circostanze favorevoli esterne, quindi più gettito che va a comprimere l’area degli interventi sulle clausole di salvaguardia. Poi una nuova richiesta a Bruxelles di ammorbidimento del percorso verso il pareggio di bilancio. Non saremmo pregiudizialmente contrari a questa ipotesi ma temiamo che dovremo sudare molto per ottenere una simile concessione, e comunque dovremmo barattarla con una significativa riduzione del rapporto debito-Pil a mezzo di dismissioni. Non si inventa nulla, ormai.

Foto: Wikimedia.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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