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San Pietro vs San Gennaro: il Miracolo e la Guerra dei Santi. Al Vaticano odiano Napoli?

Perché il Vaticano infierisce contro Napoli.

"Il Cardinale Sepe? Ha un solo difetto: non crede in Dio". Così si espresse De Mita, il Re Mida irpino, non nuovo a motti di spirito del genere, che vanta una lunga frequentazione con l'alto prelato. L'ex dc, il quale ha poi smentito la frase, è peraltro in ottima compagnia: il presule è infatti fin troppo inserito in certi ambienti e vanta amicizie almeno discutibili. Dalla cricca di Bertolaso, Balducci (gentiluomo di Sua Santità) e Anemone (scambi di piaceri legati ad affari immobiliari con Propaganda fide, beneficiario l'ex ministro Lunardi), alle più recenti inchieste sul sistema occulto che ruota attorno all'eminenza grigia Bisignani e a questa specie di massoneria all'amatriciana che appare dalle anticipazioni dei giornali, c'è un altro nome che ritorna sempre: l’eminenza grigia del berlusconismo, il “cardinale” Gianni Letta, anch'egli, neanche a dirlo, dal 2008 gentiluomo di Sua Santità e molto ben inserito oltretevere. 

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Il "cardinale" Gianni Letta con l’Unto dal Signore

 Che nostalgia della vecchia massoneria che voleva combattere l'ignoranza, l'oscurantismo e la superstizione alimenta dalla Chiesa!

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Il Cardinale Giordano

A Napoli, si badi, Sepe era succeduto, nel segno della più assoluta continuità, al lucano e già arcivescovo di Matera Michele Giordano. Il quale, nelle parole proprio del suo successore pronunciate nell'omelia funebre, "era innamorato di Cristo". Parola di Crescenzio Cardinal Sepe. Rendiamo grazie a Dio. Forse era davvero innamorato di Dio, ma di certo la sua immagine era uscita molto appannata dalle vicende giudiziarie in cui l'alto prelato, con certi suoi familiari, si era trovato coinvolto. In una terra in cui tutti, anche a sinistra, ancora ossequiano (con la sola eccezione del vecchio azionista e già collaboratore del Mondo di Pannunzio, Leonardo Sacco, che gli ha dedicato un libro, il Cemento del Potere) l'un tempo onnipotente e temuto ex primo ministro e più volte ministro Emilio Colombo. Non proprio uno stinco di santo.

Giordano, già prima della nomina napoletana, era piuttosto chiacchierato. Ma sottovoce, come si conviene ai costumi del posto. Ma la domanda che non mi fa dormire è: perché il Vaticano infierisce tanto contro Napoli? Per una volta, visti i precedenti, con una scelta meno mondana e più mondata, non avrebbe potuto dare una mano a una città in ginocchio e che cerca, a fatica, di alzare la testa? Non sono anticlericale e, ben sapendo come la chiesa siano anche i Don Ciotti, i Don Gallo e i padri Zanotelli, mi guardo bene dall'attaccare la Chiesa nel suo complesso. Ma tra tanti preti antimafia, anticamorra, di strada, esempi di impegno nel sociale ammirati anche (o forse soprattutto) fuori degli ambienti ecclesiastici, perché si fanno tante scelte perlomeno discutibili per le alte gerarchie? E perché a Milano Martini e Tettamanzi e a Napoli Giordano e Sepe?

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Il Cardinale Fabrizio Ruffo di Calabria

 Omnia munda mundis, si obbietterà. E comunque, a parte il fatto che la nomina di Scola, già Patriarca di Venezia e vicinissimo a CL, segna una forte discontinuità rispetto a Tettamanzi, molto critico con l’uscente amministrazione meneghina e fautore del dialogo interreligioso (specie col mondo musulmano), si tratta di ben poca cosa, peccatucci rispetto al passato. Pensiamo, ad esempio, a un altro cardinale partenopeo, il famigerato Fabrizio dei Ruffo di Calabria. Una delle famiglie più potenti della più esosa feudalità napoletana. Oltre a spartirsi i lauti appannaggi dei vescovati (a Napoli al Ruffo successe un Doria Pamphilj), alcune di queste famiglie, non tutte fedeli alla dinastia nelle vicende che evochiamo, nei vari rami, potevano avere proprietà fondiarie dell’ordine delle centinaia di migliaia di ettari.

Il Generale Pietro Colletta, che però, avendo aderito alla repubblica, militava sul fronte opposto, nella Storia del Reame di Napoli, lo descrisse in questi termini: “nato di nobile ma tristo seme, scaltro per natura, ignorante di scienze o lettere, scostumato in gioventù, lascivo in vecchiezza, povero di casa, dissipatore, prese ne’ suoi verdi anni il ricco e facile cammino delle prelature. Piacque al Pontefice Pio VI, dal quale ebbe impiego supremo nella Camera pontificia; ma, per troppi e subiti guadagni perduto ufficio e favore, tornò dovizioso in patria, lasciando in Roma potenti amici, acquistati, come in città corrotta, co’ i doni e i blandimenti della fortuna”.

Il Cardinale, dei duchi di Baranello e principi di S. Antimo, diventati proprio nel ‘99 duchi di Bagnara, forte anche del radicamento nel Mezzogiorno continentale dei Ruffo e della parentela con tutte le più importanti famiglie feudali del Regno (sua madre Giustina era una Colonna, del ramo dei principi di Spinoso, marchesi di Guardia Perticara e signori di Accettura e Gorgoglione) risalì, dopo i moti del 1799, dalla Sicilia fino all'antica capitale ripulendo paese per paese, casa per casa, il Regno da tutti i liberali o i democratici su cui riusciva a mettere le mani. Alla guida del popolaccio sanfedista che, mentre innalzava icone e cantava inni sacri, scannava i “giacobini”, vale a dire chiunque non fosse un legittimista reazionario e clericale. Anche solo questo episodio dovrebbe far rinsavire i neoborbonici dei giorni nostri.

Comunque, lasciando per un attimo la storia per la cronaca, sull’altra sponda del Tevere, è chiaro, non amano Napoli. Ma, mi domando, cos'hanno fatto i napoletani per meritarsi tutto questo astio, tutto questo accanimento per niente terapeutico? Forse, però, è nella storia che dobbiamo cercare la soluzione dell'arcano. E proprio alle citate vicende del '99, al semestre repubblicano di cui la reazione della Santa fede fu il tristissimo epilogo. Quando entrarono a Napoli, difatti, conoscendo bene i suoi abitanti e consapevoli dell'attaccamento dei partenopei al Santo, i francesi, col generale Championnet, imposero ai chierici partenopei, fucili puntati, di fare il miracolo.

L'episodio era troppo divertente e gustoso per non essere ripreso nella Sanfelice da Dumas che, per inciso, fu al seguito di Garibaldi, amò profondamente Napoli, "la città più bella del mondo", in cui visse per ben tre anni. Descrivendo come pochi gli umori del suo popolaccio, i lazzaroni il cui il carattere sanguigno conosceva bene, capaci com’erano di atti di grande eroismo come dei crimini più efferati. Per farla breve, il sangue si sciolse (spintaneamente, direbbe Di Pietro) e i napoletani interpretarono il fatto come un segnale di benevolenza del Santo rispetto nuovo corso politico. I Borbone poi, persino più superstiziosi dei loro sudditi e appena più acculturati, una volta restaurati, degradarono pubblicamente il Santo. Che perse i suoi privilegi a favore di San Ciro. San Gennaro, si badi, tra le altre cose era comandante in capo dell’esercito borbonico. La Santa Sede, si sa, ha la memoria lunga e, nonostante il Vangelo, poco incline al perdono. Per cui, a questo punto, nonostante i tanti anni passati, mi chiedo: che in Vaticano non ce l'abbiano tanto con Napoli, quanto col San Gennaro giacobino?

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