Salvini a Bologna: gli scontri, il fallimento delle zone rosse, e non chiamateli antagonisti ma antifascisti
Più di 500 agenti delle forze dell'ordine, zone rosse, soliti divieti, che alla fine dei conti altro non rischiano che diventare pretesti per alzare la tensione. Si è perso il conto delle manganellate che son volate a Bologna in questa giornata primaverile d'autunno. Nessun volto coperto, mani alzate, visi scoperti, cartelli e striscioni, e poi quel suono plastificato, fastidioso, secco, freddo: il manganello. Si è perso il conto delle manganellate che in questo otto novembre son volate a Bologna. Da un lato centinaia di antifascisti ed antirazzisti, dall'altro una Piazza Maggiore diventata teatro della peggiore destra italiana della seconda Repubblica o meglio fine seconda Repubblica. I finti centomila, perché non erano centomila, erano molti di meno, leghisti e destri hanno occupato il salotto buono di Bologna.
Li continuano a chiamare antagonisti. No, sono antifascisti che si ribellano a politiche reazionarie e neofasciste.
L'Italia vuole rimuovere dal suo vocabolario la parola fascismo ed antifascismo, rinchiudendo il tutto nel semplicismo dell'antagonismo? Non è una competizione non è una contestazione generica, non una banale avversione contro un protagonista, che protagonista non è. Poi dopo una giornata di tensioni, iniziata a quanto pare fin dall'alba, sarà bella ciao cantata nel centro di Bologna a lasciare a questo Paese un momento lungo ed importante di riflessione. Le zone rosse, i luoghi blindati, i muri, altro non sono che un fallimento di una democrazia che non è in grado di badare a se stessa.
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