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Salvataggio sistema bancario italiano. Ionesco in banca

Oggi facciamo un riepilogo sullo stato dell’arte dell’operazione di salvataggio del solidissimo sistema bancario italiano. Salvataggio che qualche anima semplice pensa origini e termini con il Monte dei Paschi. Spigolando tra le notizie degli ultimi giorni, ecco cosa ci è apparso meritevole di segnalazione e riflessione, al netto delle solite idiozie patriottico-sistemiche che ammorbano le nostre esistenze ed anche quelle di molti poveri giornalisti che sono comandati a scrivere su base giornaliera sul nulla perché comunque devono pagare le bollette. A loro va la nostra solidarietà.

Le quattro good bank, nate dalle ceneri delle risoluzioni del 22 novembre scorso, sarebbero prossime alla cessione sul mercato, dopo che la Commissione Ue ha prorogato il termine di vendita al 30 settembre. Il Sole sta seguendo la vicenda in modo puntuale, e domenica ci ha riferito che in corsa per l’acquisto ci sarebbero tre fondi di private equity statunitensi, tra cui il celebre Apollo, quello che voleva prendere il controllo di Carige mediante aumento di capitale riservato, dopo averne acquisito le sofferenze ad un prezzo sinistramente prossimo a quello della risoluzione di novembre. Il problema è che le quattro good bank hanno problemi non lievi: una struttura di costo elevatissima rispetto ai ricavi, perché hanno pesanti esuberi di personale; inoltre, nel primo trimestre, hanno ceduto altri 1,4 miliardi di sofferenze a Rev, la discarica creata per gestire queste operazioni. Il loro indice patrimoniale, pur se risalito al 10,10%, non è esattamente da Guinness. Si dirà che ciò deriva dal fatto che le banche-ponte hanno crediti di qualità elevata, e che sugli incagli hanno copertura al 30%, tra le maggiori del sistema, ma il dubbio sembra essersi impossessato del sistema bancario italiano. Un dubbio che purtroppo pare avere basi non paranoiche.

Come che sia, le quattro good bank non sembrano così good, e di conseguenza il valore delle offerte potenziali viene rivisto al ribasso. Per il Sole, “difficile ottenere più di 3-400 milioni”. Se le cose stanno in questi termini, aumenta il rischio di una voragine nei conti delle banche sane o presunte tali, quelle che hanno partecipato all’operazione. Il fondo di risoluzione ha infatti erogato alle quattro banche-ponte 3,6 miliardi di euro, di cui 1,7 miliardi destinati a coprire le perdite delle banche risolte, 1,8 miliardi di ricapitalizzazione e 140 milioni di capitale della bad bank. Quello che forse in tanti abbiamo scordato è che le banche italiane, per finanziare questo intervento, hanno anticipato tre anni di contributi al fondo di risoluzione. Il tutto per salvare quattro banche che rappresentavano l’1% del sistema creditizio italiano. Inquietante.

Chiuso l’inciso, che fare se gli acquirenti oggi latitano oppure offrono spiccioli per le quattro banche più o meno risanate? Ecco l’ideona. Poiché il fondo interbancario ha creato un “braccio volontario”, per aggirare i vincoli europei sugli aiuti di stato e che ha già speso 280 milioni per salvare la Cassa di Risparmio di Cesena, si potrebbe usare quello per comprare le quattro banche, a prezzo “politico”. Il ragionamento è il seguente: se le good bank fossero vendute a 300 milioni, la minusvalenza che si scaricherebbe sul sistema bancario italiano sarebbe di circa un miliardo di euro. Se invece il fondo interbancario volontario le rilevasse a prezzo superiore alle offerte degli americani, questo investimento finirebbe come credito tra le banche italiane. Ovviamente, avere un credito iscritto a bilancio in luogo di imputare una minusvalenza serve a rasserenare lo spirito e a prendere a calci lungo la strada la ormai celebre lattina italiana. Che poi quei crediti, col passare del tempo, debbano essere pesantemente svalutati è altro discorso. Chi vuol esser lieto sia, eccetera. Sembra il celeberrimo “modello Sicilia”, quello in cui si inzeppa il bilancio di crediti inesigibili e poi si dice che va tutto bene.

Noi non sappiamo se quanto riportato dal Sole corrisponda a verità. Se così fosse, saremmo di fronte ad un caso di palese disperazione e di distruzione di valore ben oltre il danno prodottosi con la risoluzione delle quattro banche. Se poi alla stampa “qualcuno” fornisce giustificazioni del tipo “teniamo alto il prezzo di vendita delle banche perché questo poi diventerà un parametro di mercato”, oppure (come scritto dal Sole medesimo) “scongiurare cure da cavallo dal punto di vista occupazionale”, voi capite che siamo ancora nel magico modello-Alitalia dei tempi che furono, quello in cui si rinvia la resa dei conti bruciando risorse in un altoforno. Il fatto che questi siano soldi delle banche e non pubblici non cambia i termini della questione. Anzi, la peggiora, perché l’Italia è paese bancocentrico. L’Italia pare avere una incredibile expertise per tenere in vita situazioni di crisi che finiscono col diventare dei buchi neri.

Riflettendoci, questa forma mentis del “facciamo un prezzo che diventi benchmark, anche alterandolo al rialzo, ed eviteremo casini”, pare essere la linea guida dell’assai ipotetica operazione di ripulitura di Monte Paschi. A che prezzo Atlante comprerà le sofferenze senesi, determinando quindi l’ampiezza del buco di capitale che dovrà essere colmato? Come scrive oggi il Sole,

«Una cessione dei crediti in sofferenza a un prezzo superiore a quello di mercato – sistema che ha già scontato una svalutazione pesante dopo il salvataggio delle 4 banche regionali – permetterebbe un repricing collettivo di tutti gli asset del settore. Con un beneficio anche per le valutazioni di tutti i titoli bancari»

Qui siamo ormai nel metafisico. Serve una “soluzione di mercato”, in cui però le sofferenze vengano comprate da qualcuno a prezzo superiore a quello offerto dal mercato medesimo, perché in tal modo si creerebbe un effetto-benchmark e tutto il sistema bancario ne beneficerebbe, sollevandosi per le stringhe delle scarpe. Il “mercato non mercato” avanza a grandi passi, nel paese che ha da sempre una grande passione per le “terze vie”. È da oltre un anno che dibattiamo sul nulla in questi termini. Nel frattempo, la missione è quella di rimbecillire l’opinione pubblica con un improbabile lieto fine e con sovrane idiozie come la tutela costituzionale del risparmio. A questo proposito, nota di merito al commento di Pietro Reichlin su l’Unità (si, l’Unità) per questa cristallina considerazione:

«II Presidente dell’ABI ha recentemente sostenuto che il bail-in è contrasto con la Costituzione, più precisamente, con il dovere dello Stato di tutelare il risparmio. Si tratta di una tesi singolare. Tutelare il risparmio non significa scaricare sui contribuenti tutti i rischi connessi all’attività bancaria. I titolari dei depositi sono protetti fino a 100.000 euro, e le banche hanno sempre goduto di garanzie statali implicite (e discrezionali) perché il loro dissesto può essere causa di instabilità sistemica. Ma ciò non significa sottrarre le banche alla disciplina del mercato estendendo le garanzie ad azionisti e titolari di obbligazioni, altrimenti dovremmo ammettere che il risparmio è tutelato solo se affluisce al mercato del credito, creando un sussidio implicito al settore bancario e una discriminazione a danno delle imprese non finanziarie, che già pagano interessi mediamente più alti. Sollevare obiezioni di costituzionalità sul bail-in alimenta il sospetto che si voglia premiare i banchieri quando le cose vanno bene e penalizzare i contribuenti quando vanno male, ma allora sarebbe più corretto trasformare le banche in istituzioni pubbliche, sul modello delle Sparkassen e Landesbanken tedesche. In questo caso i contribuenti pagherebbero ugualmente i costi della crisi ma, almeno, potrebbero partecipare ai guadagni della ripresa»

Difficile dirlo meglio. Forse un giorno riusciremo a renderci conto della follia di alcune tesi odierne. Ma non ci scommetteremmo. Ancora sul concetto di tutela costituzionale del risparmio e dei neuroni, citazione di merito anche per Silvia Merler su Bruegel:

«First, the “constitutional right to save” argument that is being made by some in Italy is certainly appealing to the public but it is misplaced. The whole idea neglects the fundamental difference between savings and investment. Placing savings into banks’ junior bonds is an investment, and it bears risk. The Italian constitution does not and should not grant a right to be always and unconditionally bailed out of bad investment decisions. Indeed, allowing investors to believe this would be dangerous. What people should be granted is the right to receive proper information and not be misled into risks of which they are not aware or which they are not prepared to take»

Perfetto. Dubitiamo che simile ragionevolezza possa scalfire le certezze del presidente dell’Abi e di qualche eccentrico costituzionalista. Possiamo dare un suggerimento al governo, già che ci siamo, e visto che lo fanno cani, porci e galline, alcuni dei quali profumatamente compensati? Il capitale azionario di MPS è ormai quasi interamente flottante. La capitalizzazione è inferiore al miliardo. Il Tesoro rastrelli sul mercato azioni della banca, ne assuma il controllo a mezzo di Opa totalitaria successiva e poi ricapitalizzi, liberato dai vincoli di aiuti pubblici, visto che la banca tecnicamente non è in dissesto. Costerebbe molto meno di tutte le manovre barocche che si stanno tentando e che finiscono quasi tutte ad estendere la sepsi del sistema bancario. Come dite? Che è una proposta demenziale? Può essere, ma forse meno di quelle che leggiamo da mesi sui giornali.

«Prendete un circolo, accarezzatelo: diventerà vizioso» (Eugène Ionesco)

Questo articolo è stato pubblicato qui

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