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Ronaldo, la “figurina” dello sportwashing saudita

Non c’è molto da commentare sulla decisione di Cristiano Ronaldo di mettere le sue prestazioni professionali, lautamente ricompensate sebbene probabilmente nel declino della sua carriera calcistica, a disposizione di una squadra di calcio dell’Arabia Saudita.

Vale piuttosto la pena di analizzare gli effetti di un’operazione che non è solo sportiva né solo economica ma soprattutto politica.

L’acquisto di Ronaldo è la risposta dell’Arabia Saudita alla “doppietta” messa a segno dal Qatar con quello di Messi da parte del Paris Saint-Germain e con i mondiali di calcio appena terminati.

Vale la pena notare che, a questo punto, i due più popolari, se non ancora più forti, calciatori in circolazione militano in squadre le cui proprietà sono nelle mani dei due stati del Golfo.

Ronaldo servirà a normalizzare ulteriormente l’idea che l’Arabia Saudita, al pari del Qatar e di altri stati del Golfo come Emirati arabi uniti e Bahrein, è un luogo in cui lo sport (e soprattutto il più popolare degli sport) ha piena cittadinanza. Il trionfo dello sportwashing.

Pazienza per i diritti umani, che cittadinanza da quelle parti non ne hanno. Del resto i soldi, il petrolio e il gas sono lì.

Ronaldo sarà anche il super-testimonial della candidatura dell’Arabia Saudita a organizzare i campionati del mondo di calcio del 2030. Siccome l’attuale (uscente e quasi certamente rientrante) presidente della Fifa Gianni Infantino è rimasto estasiato dai mondiali di Qatar 2022 (“i migliori di sempre”), il rischio è che quella candidatura risulti vincente.

Prima dei mondiali del 2030, appuntiamoci però una data assai più ravvicinata: il 18 gennaio 2023. Quel giorno si giocherà la Supercoppa italiana, tra Milan e Inter. Si giocherà a Milano? No. Per la terza volta, in Arabia Saudita.

 

 

 

 

 

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