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Roma e Barcaccia: commenti barbarici e pericoli reali

Molti commenti agli episodi di ordinaria barbarie di due giorni fa a Roma, ai margini di una partita, suscitano sinceramente il disgusto nei confronti dei commentatori nostrani, e spingono a domandarsi dove vogliono arrivare. Ad esempio “il Messaggero” ha come titolo di un editoriale di Mario Ajello: “Non sono bastati duemila anni per civilizzarli”; l’articolo parte da Alarico e dai Visigoti, tirando in ballo il “complesso di inferiorità di fronte alla Maestà di Roma”, per concludere che d’ora in poi “ogni lezione di civiltà proveniente da alte latitudini sarà più intollerabile di prima”.

Delirio, o tentativo di evitare un minimo di riflessione sulle nostre armatissime forze dell’ordine, pronte magari a tornare in Libia per “portarvi la civiltà”, ma incapaci di tenere a bada cento o al massimo duecento teppisti ubriachi nel cuore di Roma?

Possibile che debba riaffiorare perfino in casi come questi l’orgoglio italico, dimenticando che sia pure in uno scenario solo apparentemente diverso (perché più vicino allo stadio Olimpico che al centro città) in un recente scontro tra due tifoserie italianissime ci era scappato anche il morto, sempre in assenza di un intervento preventivo delle forze dell’ordine, pur tanto efficienti quando si tratta di impedire a una manifestazione di studenti o di lavoratori di avvicinarsi ai “palazzi” del potere?

Anche durante la fuga dei due attentatori a Charlie Hebdo era emersa la incredibile incapacità delle migliaia di poliziotti che li braccavano di fermarne la fuga attraverso mezza Francia, durata due giorni e finita solo grazie alla segnalazione di un lavoratore della tipografia in cui si erano rifugiati. Le riprese in diretta dell’assedio al supermercato parigino avevano poi mostrato clamorosamente l’inefficienza e l’impreparazione dei gendarmi parigini, che si arrampicavano scivolando senza senso su un aiola in salita: se l’erano cavata soltanto perché il sequestratore era solo e tutt’altro che preparato. Anche in quel caso il salvataggio di una parte degli ostaggi è stato possibile grazie al coraggio di un dipendente del supermercato.

Prima conclusione: Non c’è poca polizia, ce n’è anche troppa, in Francia, in Italia, in Olanda, ma è addestrata per ben altri compiti che la caccia ai terroristi o la prevenzione delle bravate di teppisti di tifoserie criminali…

Gli esagitati delle tifoserie comunque non sono, come si insinua nei commenti più sciovinisti, una specialità esclusiva di Rotterdam, ma sono uno dei sottoprodotti di una società in disfacimento, in cui giovani senza prospettive né ideali si schierano dietro alle più assurde bandiere. Dopo l’episodio di Charlie Hebdo e del supermercato kosher e poi a proposito della minuscola replica di Copenhagen sono state sprecate migliaia di parole insensate sull’attacco alla nostra civiltà da parte del pericolosissimo Stato Islamico, senza accorgersi che quei quattro sbandati approdati all’integralismo direttamente dal piccolo spaccio e dai caffè di periferia non erano stati mandati da nessuno, erano alla ricerca di un’identità e di un ruolo. Non molto più motivati e forniti di argomenti dei demolitori della fontana del Bernini.

Prima di progettare imprese insensate cerchiamo di recuperare il senso delle proporzioni. Abbiamo già fatto danni enormi in Libia, partecipando nel 2011 a un’impresa mal pensata che aveva lo scopo non tanto di abbattere Gheddafi quanto di impedire che fosse spazzato via come Mubaraq dalla rivoluzione. Alle forze rivoluzionarie furono negate per mesi armi pesanti (quelle leggere erano sovrabbondanti ma insufficienti contro l’aviazione di Gheddafi). In quei mesi si incoraggiò la frammentazione della lotta in mille rivoli, che quasi inevitabilmente tendevano a recuperare identità tribali e a mendicare appoggi da tutti gli interessati protettori (sauditi, qatarioti, egiziani, algerini, francesi, britannici, e anche italiani). A differenza di quanto avvenuto in Tunisia ed Egitto l’armatissimo regime di Gheddafi poté resistere per otto mesi, schiacciando nel sangue molti dei giovani ribelli che avevano innescato la rivolta nel febbraio. L’ho ricordato perché ho trovato spesso, nei più recenti commenti giornalistici, ma anche nel senso comune della sinistra, il rifiuto di ricordare che, come in Siria, in Egitto, in Tunisia, nello Yemen e nel Bahrein, anche in Libia nel febbraio 2011 era iniziata una vera rivoluzione preparata da una lunga resistenza dei familiari delle vittime del regime. Ho riletto a questo proposito il bel libro di Farid Adli, per anni collaboratore continuativo del Manifesto (La rivoluzione libica. Dall’insurrezione di Bengasi alla morte di Gheddafi, il Saggiatore, Milano, 2012),che avevo segnalato ad esempio in Primavere sepolte? e Disinformazione sulle primavere e che mi sembra tuttora valido.

Oggi, momentaneamente scartata la folle ipotesi di un intervento terrestre delle inadeguatissime truppe italiane, Renzi continua a far danni, scegliendo di delegare il compito all’esercito egiziano, forse tecnicamente più in grado del nostro, ma che potrebbe facilmente provocare un aggravamento della guerra civile, in nome di una “lotta al terrorismo” che avrebbe come bersaglio tutti i libici non disposti a cedere la Cirenaica al pericoloso vicino.

Bisogna fermare Renzi. Il generale al Sisi è un golpista che ha destituito un presidente regolarmente eletto, che è legato a filo doppio e triplo ai pericolosi dirigenti dello Stato di Israele, che non ha mai esitato a sparare contro il proprio popolo (d’altra parte è solo così che ha accumulato il medagliere che ostenta). È responsabile dell’ingigantimento mediatico del cosiddetto “Stato Islamico”, a cui attribuisce tutti quelli che non gli piacciono, a partire dal governo di Tripoli. Avallarne i progetti, come appare dall’invio di una lettera personale riservata recapitata dal sottosegretario Minniti, può provocare non pochi nuovi guai.

Infatti se finora lo Stato Islamico ha avuto altro da pensare e non ha mandato ancora nessuno in Europa, limitandosi a concedere il simbolo in franchising a qualche aspirante martire, un intervento più pesante dell’Egitto con Italia al seguito, potrebbe trasformare i nostri concittadini presenti nell’area mediorientale o nel Maghreb in espostissimi bersagli.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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