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Rivoluzione ambientalista: c’è bisogno di un "débat public" come quello francese

Il cittadino contribuente (colpito nel portafoglio) ora comincia a capire la duplice estorsione ai suoi danni: lo spreco di denaro pubblico e lo spreco/consumo di territorio e "ma vuoi vedere che le lotte ambientaliste mi fanno risparmiare un bel po’ di denaro?"

331, nel solo 2011, sono state le grandi opere contestate (dalla TAV agli inceneritori): finalmente (era ora!) si è capito che il consumo di territorio (con relativi scempi paesistici) cresce assieme alle tasse e addirittura produce nuove tasse.

E’ iniziata quindi (ma giornali e tv non se ne accorgono) una vera rivoluzione politico-culturale dagli imprevedibili sviluppi: ormai i partiti politici locali, i sindacati, le categorie e i comuni si sono piazzati in prima linea nelle lotte per territorio, paesaggio ed ambiente.

Gli ambientalisti doc (associazioni nazionali e comitati locali), invece, dormono e scontano il solito ritardo culturale. La conclusione? Ormai,comunque vada la vicenda NoTav, le grandi opere non si possono più fare, almeno in assenza di un serio ed istituzionalizzato "dèbat public".

Vediamo allora come questo funziona da almeno 10 anni in Francia:

● la Commissione Nazionale (prima autorità indipendente) decide, in base a valutazioni ecologiche ed economiche, se avviare o meno il dibattito pubblico (per alcuni progetti il Dp è obbligatorio);

● la Commissione locale (seconda autorità indipendente), composta da cittadini qualunque non professionisti, organizza e costruisce il dibattito;

● la società proponente presenta il dossier di progetto sintetico, chiaro e completo, al fine di spiegare perché l’opera è necessaria e per quale motivo in uno specifico luogo.

● inizia a questo punto il débat public, che dà voce ai cittadini;

● dopo 6 mesi è redatto il documento finale. In media il 20% dei progetti non supera l’esame del DP, mentre i progetti approvati risultano quasi sempre modificati e ridimensionati.

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