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Ritorna Alfabeta, la rivista degli intellettuali

Ritorna Alfabeta, la rivista degli intellettuali

E’ una notizia recente: sembra sia imminente il ritorno in edicola di Alfabeta, la rivista di Umberto Eco, Nanni Balestrini, Maria Corti, Antonio Porta, Angelo Guglielmi, Pier Aldo Rovatti e molti altri studiosi e intellettuali, che dal 1979 al 1988, hanno dato vita a una delle testate culturali più significative del panorama italiano (il Corriere della Sera la definì, qualche tempo fa, "la rivista della sinistra eretica"). Si chiamerà Alfabeta 2, come una serie televisiva o Alien. Primo numero in uscita a settembre.

E’ una buona notizia perché ci vuole davvero, nel nostro Paese, qualcosa come quell’esperienza culturale e di esercizio della ragione critica. E se la memoria va ad altre riviste più conosciute e sopravvissute meglio, come Micromega o Limes, occorre ricordare che si tratta di periodici abbastanza diversi, in buona sostanza più politici- anche nel linguaggio e, dunque, nel pubblico di riferimento-, meno ampiamente culturali. Meno letti, insomma, di quanto potrebbero.

Pur essendo un entusiasta, da tempo, delle tecnologie devo ammettere che quando ho cercato qualche articolo in giro su Edoardo Sanguineti che non fosse il solito “epitaffio” giornalistico, mi sono trovato di fronte ad una desolante ripetizione della stessa formula, con pochissime eccezioni. Ora, se c’è una cosa che annebbia il cervello è l’overload informativo privo di sostanza. Ecco un argomento che, già sul finire degli anni Settanta, Maria Corti stava trattando sulle pagine di Alfabeta in un articolo intitolato Del metodo per far male le pagine culturali. Non era l’unica, dato che si era in un’epoca di contrattacco anziché di supina sottomissione al diktat mediatico-televisivo.
 
Che cos’è stata l’avventura di Alfabeta, dunque, in quel lontano decennio? Proviamo a capirlo, a riflettere con l’aiuto di qualche documento. Alfabeta era un progetto dinamico e mai chiuso su sé stesso, come si evince dal volume uscito per Bompiani nel ‘96, Alfabeta. 1979-1988. Antologia della rivista. Il testo, a cura di Rossana Bossaglia, Maurizio Ferraris, Carlo Formenti e Clelia Martignoni, oltre ad essere una raccolta di articoli selezionati, contiene gli indici completi del periodico. Un volume prezioso, dunque, per capire di che cosa si tratta.

Da un editoriale del 1 maggio 1979 (sezione Il dibattito letterario): “(...) Anzitutto Alfabeta non è un notiziario, non parlerà di tutto quello che accade, ma solo di quello di cui redazione e collaboratori riterranno utile parlare. E, specie recensendo libri, si partirà da libri che consentano di parlare di altri libri. Per questo (anche se non si escludono recensioni singole) si avranno recensioni multiple: discorsi itineranti attraverso libri (o altri eventi) diversi, ovvero campi di problemi”.

Qui c’era già un programma: “discorsi itineranti attraverso libri (o altri eventi)”... Sembra poco, ma bisogna saper leggere tra le righe: come veniva, infatti, gestita la cultura (come viene gestita ancora oggi) nei giornali dell’epoca? Male, seguendo logiche mercantili, secondo quella che Maria Corti chiama, nell’articolo citato sopra, la logica del primo piano: “La persona o l’evento più importante sono sempre quelli che si vedono in primo piano nel momento in cui il giornale è stampato, mentre non lo saranno più probabilmente il giorno dopo quando il giornale trova qualcosa d’altro da mettere in primo piano. In altre parole, non è che si parli sempre delle cose più importanti, è che le cose di cui si parla diventano sempre più importanti; un rovesciamento di ruoli che giova moltissimo all’informazione guidata, pilotata cioè dal potere economico o politico”.

Oggi ci siamo abituati a questo meccanismo fino al punto che viene da esclamare: “Ma non ci dice nulla di nuovo!” Certo, ma sono passati vent’anni dall’ultimo numero di Alfabeta (1988). Qualcosa è cambiato grazie a Internet? Sì, ma a guardare bene rimane più un effetto di persistenza della memoria “neutra” che non di un pensiero culturale "organizzato". Testi a perdere? Dov’è la critica? Mario Perniola, in un editoriale della rivista Agalma, si è espresso in questo modo: “Il mondo è sovraffollato di scritture che nessuno legge. Pare che ci siano cento milioni di blog, la stragrande maggioranza dei quali non è presa in considerazione da chicchessia. In gran parte, non si tratta veramente di scritture, vale a dire di composizioni dotate di una consapevolezza critica della tradizione letteraria, ma di trascrizioni di parole orali, sfoghi, libere espressioni spontanee che appartengono ad una sfera privata incapace di suscitare l’attenzione e l’interesse di qualcuno. Tutti vogliono parlare, ma non c’è più nessuno ad ascoltare”. 
 
Beninteso, se Alfabeta vuole tornare dovrà fare i conti con un mondo diverso da quello di trent’anni fa: in primo luogo, c’è il web. Oltre a tutto il resto, anche i libri e la cultura in generale stanno diventando elettronici sul serio (e-book), e ciò vuol dire che buona parte del dibattito culturale resterà in Rete e bisognerà lottare, come sempre, per affermare qualsivoglia differenza. Un altro problema è, naturalmente, la costante “destituzione degli intellettuali”- ne parlava Zygmunt Bauman in un saggio edito da Bollati Boringhieri- che si è prodotta negli ultimi anni: non siamo più ai tempi del cosiddetto “postmoderno”, con la sua sfrenatezza e la voglia di nomadismo culturale, è vero. Ma siamo ancora abbastanza lucidi da capire perché non lo siamo più.

Letteratura, filosofia, arte, politica. Queste parole-chiave, queste grandi categorie che, oggi, vediamo polverizzarsi in mille rivoli, in un’effervescenza che rischia ogni minuto l’apatia, un tempo hanno avuto una loro coerenza e organizzazione: senza gerarchie, ma nemmeno così “liquidi” da perdere il centro della questione. Non si trattava, allora, di “aggregare” notizie- attività comunque importante per evitare la dispersione assoluta, bisogna dirlo, a onore di chi lavora in questo campo- ma di farle funzionare per qualcuno (minoranze attive) o di decostruirle, insomma di stare all’erta.

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