• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

Home page > Attualità > Riina: perché deve restare in carcere al 41 bis

Riina: perché deve restare in carcere al 41 bis

Toto Riina è stato forse il capomafia più feroce che l'Italia abbia mai conosciuto. Oltre 200 omicidi e 5 stragi fanno di lui un essere davvero sanguinario che ha fatto tanto male non solo alla Sicilia ma a tutto il nostro Paese.

 Alla fine la sua politica del terrore si è rivelata controproducente perché il crimine organizzato prospera nel silenzio e non nella spettacolarità delle proprie azioni. Così, improvvisamente dopo diversi lustri di latitanza lo Stato riuscì finalmente ad arrestarlo E' evidente che tale impresa arrivò a buon fine grazie al tradimento e alla collaborazione di uomini vicini al boss e di alcuni pentiti.

Da allora, questo individuo ha vissuto nelle patrie galere sotto il regime del 41 Bis, ovvero guardato a vista e nell'isolamento più assoluto con l'esterno, anche se si sa benissimo che questo trattamento non esclude certi privilegi, perché il dio Denaro comanda anche in carcere.
Ora, alla Cassazione (alla faccia di tanti altri casi giudiziari ben più importanti e urgenti da risolvere) hanno trovato il tempo di proporre la fine di tale regime, sostituendolo con i domiciliari adducendo che il personaggio ha diritto a vivere il resto della propria esistenza in modo dignitoso per via dell'improvviso aggravamento delle proprie condizioni di salute.
 
A prescindere della ferocia del personaggio che va comunque condannata, bisogna ricordare quale è la funzione del carcere in un paese democratico, ossia la rieducazione dell'individuo tale da poterlo possibilmente reinserire un giorno nella società senza che possa infierire nuovamente sulla vita di altre persone. Questa rieducazione è avvenuta per Toto Riina?
Prima di dare una risposta vorrei ricordare l'episodio di un noto rapinatore della fine degli anni Sessanta, Pietro Cavallero, il quale a capo di una banda senza scrupoli nel 1967 si rese colpevole a Milano di ben tre omicidi e 12 feriti, colpite per coprire la fuga dopo il fallimento di una rapina. Ebbene, Cavallero si beccò l'ergastolo e fu poi scarcerato nel 1988 perché dimostrò effettivamente pentimento e ravvedimento per i crimini commessi.
 
Ora, torniamo al caso di Toto Riina. Non soltanto non ha mai dimostrato alcun rimpianto per tutto il dolore che ha inferto alle proprie vittime, ma ha anche sempre negato ogni sua responsabilità perfino di fronte all'evidenza dei fatti e delle prove schiaccianti che lo inchiodavano nella sua assoluta colpevolezza. Non ha mai espresso alcun rimorso, né ha mai collaborato con la magistratura (al contrario di quanto fatto da Giovanni Brusca, altro boss feroce del gruppo dei Corleonesi). E dire che le sue rivelazioni avrebbero potuto essere determinanti, forse non per dare il colpo di grazia definitivo a Cosa Nostra, ma quanto meno per ridurne sensibilmente e ulteriormente la sfera d'influenza in Sicilia e fuori. Invece, niente di tutto questo. Mutismo assoluto da ben 24 anni! Mai un segno di cedimento!
 
Il carcere come tentativo rieducativo è evidentemente stato fallimentare in questo caso e di conseguenza (come prevede il nostro codice penale), non resta altra scelta che mantenere lo stato di detenzione permanente di questo losco figuro. 
E in quanto alla fine dignitosa che bisognerebbe garantire secondo alcuni magistrati della Cassazione, ricordo che il signor Riina è accudito benissimo dal punto di vista sanitario, in conformità a quanto indicato nel regime previsto dal 41 bis.
 
E non si tratta di vendetta come hanno invocato certi buonisti, ma di semplice applicazione delle norme giudiziarie del nostro paese che una volta tanto dovrebbero essere attuate nel rispetto delle vittime e della salvaguardia della collettività in modo prioritario rispetto al benessere di un criminale incallito e privo di qualsiasi rimorso per tutto il male che ha diffuso da quando è al mondo! Si chiama "Giustizia"!
 
Yvan Rettore
Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di GeriSteve (---.---.---.5) 13 giugno 2017 21:54

    Si è già detto tanto e bene. ma...

    ma vorrei aggiungere ancora un punto, rivolto soltanto a quelli che in buona fede ci credono davvero che Riina sia diventato un vecchietto innocuo: quelli in malafede è inutile che mi leggano.

    La pericolosità di Riina è dimostrata dal fatto che sia riuscito a condizionare la Corte di Cassazione e ad ottenere quella indecente sentenza.

    Non è un fatto del tutto nuovo: tutti ci ricordiamo il periodo in cui una sezione della Corte di Cassazione macellava sistematicamente tutte le sentenze antimafia, ma credevamo che fosse storia finita. Invece Riina ci ha avvertito (e di questo solo lo ringraziamo) che quella storia è prontissima a ripartire.

    GeriSteve

  • Di pv21 (---.---.---.99) 14 giugno 2017 19:02

    Repetita iuvant >

    (dis) Lessico > Il dettato Costituzionale non delinea i caratteri di una “morte dignitosa”. Vi si afferma che tutti i cittadini hanno “pari dignità sociale” in quanto membri di una stessa società che detta comuni norme di convivenza. Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione che assicuri “un’esistenza libera e dignitosa”. L’attività economica privata non può recare danno alla “dignità umana”.

    E’ evidente che detta “dignità” implica un adeguato ambito di libertà nell’agire e gestire, in autonomia, i propri interessi e rapporti personali. Mentre l’ergastolo è la pena che, per definizione, commina il regime di carcerazione per la restante parte della vita.

    Per contro. Non si tratta di essere rinchiusi in un angusto cubicolo, appena rischiarato da una feritoia, avendo per suppellettile solo un pitale. A nessun carcerato possono essere negate le cure medico-sanitarie di cui necessiti. In pratica non si possono adottare “trattamenti contrari al senso di umanità” (art.27).

    Ciò detto.

    Tutt’altra cosa è rivendicare per un pluriomicida gli arresti domiciliari e/o il soggiorno presso una normale struttura ospedaliera in nome di un “preteso” diritto a una “morte dignitosa”. Dove “dignità” significa solo il non voler morire in carcere.

    Postilla. Capita di morire in carcere anche senza essere degli ergastolani pluriomicidi. Ossia. Se al posto dell’ergastolo venisse comminato un numero definito (e consistente) di anni di detenzione, questo non eviterebbe il riproporsi di casi analoghi.

    Troppo semplice è inneggiare alla “dignità” facendo appello al buonismo di tanti.

    Meglio “setacciare” la portata di certi Riflessi e Riflessioni calibrate per scopi …

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità