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Riformare la “Carta” e ricostituire il Paese

“Legislatura costituente”. Dibattimento centrato su singole riforme mirate, da approvare con ordine e visione strategica. Il modo corretto di agire per riformare la Costituzione è d’intervenire chirurgicamente, con ordine, senza confusione e con rispetto per la nostra “Carta” che, di fatto, è il “programma sorgente” che rende funzionale la democrazia italiana.

Riforme fatte. Negli ultimi vent'anni, hanno trovato approdo definitivo diverse riforme. L'abolizione dell'autorizzazione a procedere per i parlamentari (1993). L'introduzione dei principi del “giusto processo” (1999). Elezione diretta del presidente della giunta regionale e l'autonomia statutaria delle Regioni (1999). La quota di eletti in Parlamento dagli italiani all'estero (2000 e 2001). Il titolo V della Costituzione (2001). Il “ritorno” degli eredi di casa Savoia nel territorio nazionale (2002). Il principio delle pari opportunità nell'accesso alle cariche elettive e agli uffici pubblici (2003). La rinuncia alla pena di morte (2007). Il principio del pareggio di bilancio (2012).

Proporre “riforme a pacchetto”, del tipo prendere o lasciare, pone il rischio di far passare modifiche anche negative che ledono gli equilibri costituzionali tra poteri dello Stato. Il lavoro dei “padri costituenti” non va reso vano e si ha il dovere di salvaguardare la lungimiranza di uomini ispirati che hanno saputo dare un contributo determinante alla vita democratica dell’Italia. Modificare non vuol dire abbattere tutto creando “ruderi” di disciplina costituzionale.

Le riforme da fare. Il Parlamento: ridurre il numero dei parlamentari e prevedere per gli italiani all'estero di votare tornando in Italia o per corrispondenza o implementando una forma sicura di “voto digitale”. La modifica del bicameralismo prevede di trasformare il Senato in Camera delle Regioni o delle autonomie, formata da rappresentanti diretti degli enti territoriali. In alternativa, rendere facoltativo e non necessario l'esame di ogni provvedimento legislativo da parte di entrambe le Camere ma solo per temi strategici della vita del Paese.

Riduzione costi della politica e, per almeno cinque anni, abolizione totale del finanziamento pubblico ai partiti (a livello nazionale e locale). È stato scoperto che hanno impiegato male la fiducia e i soldi a loro affidati, è giusto che sia tolto loro ogni privilegio. Tra cinque anni solari, se il Paese è uscito dalla crisi, se le organizzazioni dei partiti hanno avviato un procedimento di controllo trasparente esterno sui loro conti e se hanno operato bene nel frattempo, ripensare a una forma ridotta una tantum di rimborso proporzionato.

Contenere l’uso e l’abuso della decretazione d’urgenza del Governo, con l’esclusione della pratica di proporre “maxi-emendamenti” nei quali inserire e far passare di tutto senza una discussione compiuta in Parlamento, e fissare dei termini entro cui le Camere esprimano una decisione sui progetti di legge proposti dall’esecutivo e dal popolo su una questione specifica, privilegiando chiarezza, trasparenza e tempestività.

L’abolizione delle Province è necessaria e ragionevole per snellire, semplificare e rendere efficiente la macchina amministrativa, l’organigramma già presentato ha una sua ragionevolezza e va approvato in tempi brevi. Decidere bene è fondamentale e doveroso, è indice di maturità legislativa.

La Presidenza della Repubblica, con il suo ruolo di coordinamento dei poteri ha dimostrato, in questo tempo di crisi e difficoltà delle istituzioni, di funzionare. La garanzia d’imparzialità ha sbrogliato questioni dirimenti e salvato l’Italia dal discredito europeo, e nella litigiosità politica è ancora punto di riferimento. Ciò per dire che la “riforma del Quirinale” non è una questione funzionale alla democrazia del Paese, semmai lo è solo per l’eventuale accrescimento del potere politico, ma non è questione avvertita dal popolo.

Litigi per questioni di orgoglio politico e potere, ma si perde di vista l’idea "alta” di governare trasmettendo una visione, una speranza, una coesione d’intenti. C’è bisogno di ricostituire il Paese, tonificarlo nella testa e nelle gambe, rimodellarlo nei suoi muscoli decisionali, allenando il cuore produttivo italiano, ossigenando le linee di credito con il pagamento dei debiti dello Stato, rimpolpando la voglia di fare per tutti.

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