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Rifiuti: l’unica vera emergenza è l’incompetenza di chi ci governa

Da settimane il governatore della regione Campania De Luca ha iniziato ad annunciare su ogni mezzo di comunicazione a sua disposizione, una crisi sulla gestione dei rifiuti dovuta all’imminente chiusura dell’#inceneritore di #Acerra


“I cittadini sappiano che i Comuni hanno il dovere di preparare i siti di stoccaggio e se non lo fanno lasciano per terra i rifiuti per un mese”. 
Questo l’annuncio del governatore, il cui tentativo è fin troppo chiaro: scaricare le colpe sugli altri enti, non prendersi la responsabilità di dare risposte a un fallimento catastrofico nella gestione dei rifiuti della regione Campania. Già nelle scorse settimane, nella provincia di Napoli abbiamo già avuto un piccolo antipasto di quello che potrebbe accadere a settembre: una serie di guasti e malfunzionamenti degli impianti STIR hanno rallentato la raccolta lasciando ai bordi delle strade di decine di comuni circa 300 tonnellate di rifiuti, facendoci vivere un incubo che sembra volerci riportare indietro di qualche anno, alle pagine più tristi della storia recente di questa regione. 

Chiariamolo subito: quella di cui stiamo parlando non è un’emergenza. Non si può parlare di emergenza rispetto a una situazione di cui tutte le istituzioni erano consapevoli da quasi 10 anni. Un’emergenza è determinata da una situazione imprevista, emergente appunto. Chi governa questa regione, a ogni livello istituzionale, era pienamente consapevole di quello che sarebbe accaduto e ha avuto tutto il tempo per cercare risposte efficaci per affrontare questa circostanza.

Lo strumento con cui si sarebbe dovuta affrontare questa situazione è il piano di gestione approvato dalla regione Campania a fine 2016. Un documento che fa acqua da tutte le parti e che da subito fu duramente contestato dai movimenti e i comitati schierati in difesa dell’ambiente, ma all’epoca il presidente De Luca preferì accusarci di star facendo allarmismo ingiustificato nei confronti della popolazione.

In questo quadro, sembra essere iniziata una battaglia politica tra tutti gli attori istituzionali e i partiti attivi in regione, fatta di dichiarazioni in cui ognuno incolpa l’altro. De Luca dice che non c’è altra soluzione che i siti di stoccaggio. Il movimento cinque stelle, attraverso le parole della consigliera regionale Mari Muscarà, chiede l’immediata dichiarazione di emergenza, dimenticando completamene quello che questo dispositivo ha significato sui nostri territori per decenni in termini di agevolazione dei poteri mafioso e degli interessi predatori.

Il sindaco della città metropolitana De Magistris dice che non esiste alcuna emergenza, almeno a Napoli, gli altri comuni annunciano le barricate contro la possibilità di aprire altri siti di stoccaggio sui loro territori di competenza. Pagheranno le spese, ancora una volta, sempre e solo i cittadini. 

Ma per districarci in quest’intreccio di dichiarazioni e proclami, vogliamo fare un passo indietro e – come è sempre necessario quando si parla di munnezza- ragionare del sistema complessivo, delle competenze e dei flussi economici in campo. 

La normativa nazionale prevede, in estrema sintesi, che le competenze siano così suddivise:
• Alle regioni spetta il ruolo di gestione strategica del sistema, l’elaborazione e l’attuazione del piano di gestione dei rifiuti, l’individuazione degli ATO e quella del numero e della tipologia degli impianti necessari, la gestione dei flussi tra i vari nodi del sistema e infine la valutazione dei criteri per la scelta dei siti in cui localizzare gli impianti.
• Alle province o città metropolitane spetta l’organizzazione amministrativa del recupero e dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale
• I comuni organizzano il servizio di raccolta dei rifiuti e devono assicurare la tutela igienico sanitaria in tutte le fasi del processo.

Nella specifico della situazione campana, i rifiuti differenziati vengono avviati al recupero in impianti di compostaggio o di riciclo diversi a seconda della categoria merceologica, mentre la frazione indifferenziata viene inviata negli impianti STIR ( Stabilimento di Tritovagliatura e Imballaggio Rifiuti) dove viene trattata e preparata per la combustione nell’impianto di incenerimento di Acerra. 

Per renderci conto degli enormi flussi di cui stiamo parlando si consideri che solo la città di Napoli produce circa 950 tonnellate di indifferenziato al giorno e che l’inceneritore di Acerra brucia, stando al contratto di gestione, almeno 600mila tonnellate di rifiuti all’anno. L’energia prodotta infine viene venduta sul mercato e gli utili sono divisi tra a2a e regione Campania. Nel piano di gestione e di manutenzione dell’impianto è prevista una chiusura straordinaria che bloccherà i conferimenti per circa 40 giorni ( se tutto va bene) lasciando, secondo una stima di massima circa 90mila tonnellate di scarto indifferenziato, senza destinazione per lo smaltimento. A2a chiude e lascia una patata bollentissima nelle mani delle istituzioni regionali e locali. 

Come è possibile che un privato che con un contratto pluriennale gestisce e guadagna una barca di soldi dalla gestione dei rifiuti prodotti in regione, possa chiudere l’impianto senza dare alcuna soluzione alternativa a chi gli ha affidato il servizio? 

Come è possibile che A2a, che non è l’ultima arrivata in tema di gestione rifiuti e gestisce decine di impianti per il trattamento dei rifiuti, non sia in grado -o semplicemente nessuno ha previsto che dovesse farlo – di provvedere al mantenimento degli standard di servizio al momento della chiusura di Acerra?

Per fare un paragone più familiare alla maggior parte di noi cittadini, è come se avessi una macchina a leasing e nel momento della manutenzione l’azienda non fornisse alcuna auto di cortesia. A2A, come sempre in Campania, prende solo.

Come si smaltiscono quindi queste circa 90mila tonnellate di rifiuto mentre a2a chiude Acerra? Come dicevamo sopra, la soluzione del governatore della regione Campania è che si aprano dei siti di stoccaggio temporanei che accumulino rifiuti in questi 40 giorni e sul cui smaltimento, al momento, non si sa ancora nulla. 

È una storia già vista, troppo simile a quella che ci ha regalato lo scempio delle ecoballe di Taverna del Re: chi seguì la fase di assegnazione e messa in opera dell’inceneritore di Acerra infatti, sicuramente ricorderà che all’epoca, il commissario all’emergenza rifiuti concesse che nel periodo di realizzazione dei lavori potessero essere stoccati in ecoballe i rifiuti prodotti in modo da consentire al gestore dell’inceneritore di bruciarle e produrre energia non appena sarebbero stati accesi i forni.

L’esito di questa geniale scelta è sotto gli occhi di tutti. A più di dieci anni da questa operazione, 6 milioni di tonnellate di munnezza continuano a inquinare i nostri territori, ferme, immobili a rappresentare un monumento alla malagestione e alla collusione della politica nel business della munnezza. Anche i siti che tutt’oggi ospitano le ecoballe dovevano essere dei siti di stoccaggio temporanei, ma se il metro di misura della temporaneità è quello dei decenni stiamo veramente messi male. Del resto, basta tornare nei luoghi che furono individuati come siti di stoccaggio temporanei durante le ultime emergenze per rendersi conto che di temporaneo non c’è assolutamente nulla. I monumenti e i simboli dei fallimenti del passato dovrebbero rappresentare un monito per il presente e per il futuro, e invece, beffa delle beffe, si ripropone la stessa identica soluzione. Mentre l’inceneritore è spento accumuliamo munnezza per poi bruciarla appena possibile. 

Regione e province hanno predisposto delle gare per il trasporto in nave dei materiali che saranno stoccati nel mese di settembre. Sappiamo benissimo purtroppo che il meccanismo con cui i privati e le lobbies del settore del trasporto dei rifiuti mettono spalle al muro le istituzioni, passa esattamente per questo tipo di misure. 

Non sarà difficile per le aziende far andare deserte le gare per il trasporto fino a che il prezzo non lieviterà a dismisura e gli enti appaltanti saranno costretti a cedere al ricatto pur di non rendere palese il loro fallimento non riuscendo a raccogliere tutti i rifiuti prodotti. 
Il modo in cui funziona questa estorsione pubblica è facile: o la munnezza per strada o una base d’asta per gli appalti stratosferica e fuori mercato.

Con lo stesso meccanismo si è fatto lievitare il prezzo dello smaltimento dell’umido fuori regione fino a 300 €/t in seguito allo scandalo Sesa che smaltiva fino a qualche settimana fa l’umido prodotto da tantissime regioni italiane. Da cosa dipende e come ci si smarca da questo ricatto? Fin quando si opterà per un ciclo di smaltimento centralizzato e basato su impianti ciclopici come l’inceneritore di Acerra o il sito di compostaggio della Sesa di Este il sistema sarà sempre estremamente fragile e dipendente completamente dai privati. 

L’emergenza annunciata dal governatore non è quindi una situazione eccezionale quanto una crisi endemica del sistema rifiuti campano e italiano, una colpevole mancanza di strategia e pianificazione da parte delle istituzioni, regione in primis. Del resto, questa estate dimostra ancora una volta che la Terra dei Fuochi non ha cessato di esistere. Anzi. Registriamo ogni giorno troppi roghi sparsi nel napoletano e nel casertano a dirci che, nonostante tutti i proclami e i vari Patti/Protocolli/Piani d’Azione oltre alla costosa quanto inutile tecnologia dei droni, non bastano certo le parole o la mera strategia del controllo a fermare il biocidio.

Anche i comuni non possono tirarsi indietro di fronte a questo fallimento. Sebbene emerga tutta l’incapacità della giunta De Luca che dopo 4 anni di governo della regione non è stata in grado di elaborare e attuare un piano dei rifiuti solido, i comuni dovrebbero fare molto di più sugli aspetti di loro competenza. Il caso del capoluogo su questo è particolarmente centrale. All’amministrazione De Magistris va riconosciuto il merito di aver eliminato le ingerenze dei privati nella raccolta, affidando il servizio all’ASIA azienda 100% pubblica, ma non si può non prendere atto degli scarsissimi risultati sulla raccolta differenziata e sulla sperimentazione di un ciclo alternativo dei rifiuti, a partire dagli impianti di compostaggio della frazione organica. Se si differenziasse una percentuale maggiore di rifiuti infatti, le tonnellate da avviare agli STIR e di conseguenza all’inceneritore sarebbero molte meno, e oggi il peso di questa crisi sarebbe di gran lunga minore.

Dall’altro lato, la scelta del comune di Napoli di rispondere alla richiesta della regione relativa ai siti di stoccaggio, individuando il sito ex ICM di via delle Brecce è totalmente incomprensibile. 
Così come fatto dalla città metropolitana guidata sempre da De Magistris, che ha individuato i siti per lo stoccaggio dei rifiuti a Giugliano ed Acerra, si continua a voler far ricadere i costi ambientali e sociali di questa crisi su territori che hanno pagato un prezzo già troppo alto.
Dal canto nostro, saremo anche in queste settimane a venire, sempre dalla stessa parte, quella della difesa della salute e dell’ambiente, consapevoli che quest’ennesima crisi annunciata riaccende i riflettori sulla necessità di realizzare un ciclo realmente alternativo di gestione dei rifiuti, pubblico, basato sulla riduzione, sul riciclo, sul recupero di materia, sulla ferma opposizione all’incenerimento e alle discariche, sulla necessità di prevedere forme di partecipazione controllo da parte dei cittadini, un sistema flessibile, distribuito e finalmente libero dagli interessi mafiosi e dalle speculazioni private.
Ci vediamo sulle barricate

Foto: StopBiocidio/Facebook

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