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Ribelli contro Asad e fondamentalismi

Un fronte di circa 30mila ribelli siriani, in contrasto con i fondamentalisti islamici e i qaedisti, si è unito, lo scorso 14 febbraio, nel sud del Paese in nome dei principi di “libertà”, “rispetto dei diritti di tutti i siriani” e “protezione delle minoranze” confessionali ed etniche, e contro “la dittatura” e “l’estremismo” religioso.

Quarantanove sigle dell’insurrezione armata delle regioni di Homs, Damasco, Daraa, Qunaytra e Suwayda hanno pubblicato nelle ultime ore il documento fondatore del “Fronte meridionale”, che “non ha un unico vertice” ma nel quale “i comandanti delle 49 brigate hanno autonomia d’azione nel quadro della condivisione di principi comuni”.

Nessuno può dire adesso se è una manovra di facciata destinata al fallimento ancor prima di vedere la luce, se si tratta di un donchisciottesco tentativo di qualche ingenuo ribelle siriano, oppure se è una decisione che avrà ripercussioni reali negli equilibri del conflitto in corso.

Nessuno al momento conosce il grado di indipendenza da agende straniere di questa piattaforma, che appare unitasi non tanto in termini di risorse e logistica quando in termini di principi. Ed è questo il punto che rende degno di nota il comunicato del “Fronte meridionale”: esso esprime dei valori nettamente contrari al qaidismo e all’asadismo e lo fa con un discorso politico trasversale, quasi di altri tempi.

“Noi siamo i combattenti del sud della Siria che si sono uniti per una Siria libera, indipendente e stabile”, si legge nel comunicato, pubblicato su Internet assieme alla lista completa dei gruppi ribelli che hanno aderito. “Noi siamo la voce della moderazione e lo scudo forte per il popolo siriano. Combattiamo per liberare la Siria dalla dittatura e dall’estremismo e per difendere il diritto del popolo siriano di scegliere un governo che lo rappresenti”.

Il testo prosegue: “Ci rifiutiamo di rimanere in silenzio mentre il regime uccide i suoi figli. Noi siamo i contadini, gli insegnanti, gli operai che voi vedete ogni giorno. Molti di noi erano soldati che hanno disertato dal regime quando questo ha rivolto le sue armi contro i figli del suo Paese”, afferma il testo in riferimento alle diserzioni verificatesi dall’estate del 2011 durante la prima ondata di sanguinose repressioni delle proteste anti-regime.

“Noi rappresentiamo diverse classi sociali con l’obiettivo di far cadere il regime degli Assad e dare al Paese la possibilità di un futuro migliore”. In tal senso, il “Fronte meridionale lavora perché si arrivi a un governo che rappresenti il popolo e che rispetti le minoranze dopo la caduta di Assad” e che assicuri il “rispetto delle convinzioni e dei diritti degli altri, al di là dell’appartenenza religiosa ed etnica”.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Il Gufo (---.---.---.115) 18 febbraio 2014 14:16

    Per portare il petrolio dal golfo persico all’oceano atlantico serve la Siria, o l’Iran.
    Abbiamo contribuito a destabilizzare il paese più facile.
    I "poveri bambini siriani" vengono uccisi perchè i profitti di quel petrolio non vadano nelle tasche del cattivo despota ma nei bilanci di qualche buona e giusta multinazionale.
    Sarà un caso ma Saddam era il cattivo con le (finte) armi batteriologiche, Assad usa le (finte) armi chimiche; due volte la stessa fregnaccia non ci credeva nessuno...
    La finirei di chiamarli "ribelli", sono molto obbedienti invece, sono i "nuovi soldati", combattono al posto dei soldati di qualche paese (in Libano è finita male, la lezione è stata imparata).
    Tanto a chi può dichiarare guerra la Siria? Alla BP? Alla ESSO?
    E’ il suo "popolo" che vuole essere governato come noi, che non facciamo altro che lamentarci dei nostri governi. Curioso.
    In Giordania regna una monarchia di origine saudita, la democrazia e la politica sono poco più evolute dell’età della Magna Charta e non ce ne frega niente.
    Perchè in Giordania non si fanno profitti col petrolio.
    Amen.

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