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 Home page > Attualità > Cultura > Repressione, carcere e OPG: intervista a Salvatore Ricciardi

Repressione, carcere e OPG: intervista a Salvatore Ricciardi

Pubblico una mia intervista su repressione, carcere, TSO e OPG a Salvatore Ricciardi autore del Blog “contromaelstrom".

Ecco come descrive il suo prezioso lavoro :
Ho aperto questo blog per rendere fruibili tutti i documenti che non sono riuscito ad inserire nel libro Maelstrom, uscito per Derive Approdi nel luglio 2011. Potrete trovare materiale riguardanti la storia dell’autorganizzazione operaia, della nascita delle formazioni armate italiane e non, del carcere e del circuito dei camosci (carcere speciale) e delle lotte che in quelle strutture sono esplose e parallelamente i primi tentativi di dissociazione. Troverete materiali e documenti provenienti dai dibattiti del movimento, documenti della lotta armata e dei percorsi rivoluzionari ovunque nel mondo. Ma anche riflessioni sulla situazione attuale, quella della lotta di classe e quella del movimento antagonista e/o rivoluzionario di oggi. Dopo una vita di galera sono tornato nelle strade, davanti ai posti di lavoro, nelle occupazioni di case e di scuole, nelle sedi di collettivi e di radio, nelle assemblee di movimento. Oltre raccontare lo scontro di ieri, provo -insieme a altre e altri- a ragionare e attivarmi nello scontro di oggi; che, comunque la si pensi, è figlio dello scontro di 30, 40 anni fa”.
 
D- Lo stato Italiano sta colpendo con una repressione inaudita tutti movimenti e le forme di lotta oggi attive in Italia (lavoro, scuola-università, casa, difesa dei territori, ecc) . Sei sorpreso? E secondo come possono rispondere i movimenti che operano lotte sociali alla repressione ?
R- La repressione è un dato ineliminabile in una società, come questa, basata sullo sfruttamento di pochi verso tanti e caratterizzata da profonde ineguaglianze sociali ed economiche. L’intensità della repressione dipende dall’asprezza dello scontro di classe, tanto più questo è aspro, più feroce è la repressione per cercare di reprimerlo. Da un po’ di tempo però la repressione sta sperimentando un modo nuovo di colpire, la repressione “preventiva”, cercando di colpire i movimenti al loro sorgere, prima che possano esprimere la loro potenzialità. Per questo si nota una sproporzione tra il livello della lotta, non molto alto, e la repressione che invece si spinge molto in alto.
 
D- I processi “politici” hanno una sorta di corsia preferenziale, e soprattutto vengono inflitte ad attiviste e attivisti, a pioggia e senza alcun senso della proporzione, misure cautelari come arresti domiciliari, divieti e obblighi di dimora. Convieni che Nessuno sia lasciato solo e sia sempre più attuale la solidarietà?
R- Queste misure cautelari che hai citato sono proprio l’essenza di quella repressione preventiva di cui parlavo. Vengono diffuse a pioggia nell’intento di limitare le attività di compagne e compagni. È una campagna in cui si distingue la Procura di Torino che cerca di sommergere il movimento NoTav di questi provvedimenti. Però, proprio l’esempio del movimento NoTav dimostra che se il movimento è ben radicato nel territorio, come il NoTav, la solidarietà è forte e si possono anche rigettare quelle limitazioni poliziesche. Il motto: “si parte e si torna insieme” è valido anche nel lottare contro la repressione.
 
D- Quali sono secondo te le differenze del carcere di 30, 40 anni fa , da quello attuale sempre che ce ne siano.
R- Le differenze sono tante. È cambiata molto la composizione della popolazione detenuta. La presenza più numerosa in carcere è di chi traffica stupefacenti, non ci sono più quei giovani proletari ribelli che praticavano attività extralegali di rottura, ed erano disponibili alla lotta dentro e contro il carcere. Ma ancor di più è cambiata la solidarietà della società esterna nei confronti delle persone detenute. Allora, 30, 40 anni fa era molto forte: appena una protesta scoppiava in un carcere, fuori si creavano presidi di protesta molto numerosi e iniziative di appoggio. Oggi non più. Oggi la società sembra chiusa in una rete di egoismi molto pericolosi, ciascuno guarda solo il proprio interesse e ignora il resto rendendosi vulnerabile a qualsiasi sopruso; questo egoismo annulla le proprie difese e fa venir meno la solidarietà, e tutti ne perdiamo. È un lavoro fondamentale oggi, per le compagne e i compagni, far riflettere le persone, soprattutto coloro che appartengono alle classi subalterne, lavoratori e proletari, che senza solidarietà, siamo tutti fregati. Che solo l’unità può farci fare passi avanti. Bisogna che dalla bocca di ciascuno e ciascuna esca la frase: “se toccano uno, toccano tutti”.
 
D- Cosa pensi del 41bis e quali lotte si possono intraprendere per farlo abolire? Tra l’altro prevede:
isolamento per 23 ore al giorno (soltanto nell’ora d’aria è possibile incontrare altri/e prigionieri/e, comunque al massimo tre, e solo con questi è possibile parlare);
colloquio con i soli familiari diretti (un’ora al mese) che impedisce per mezzo di vetri, telecamere e citofoni ogni contatto diretto;
- E tantissime altre restrizioni .
R- Il regime carcerario del 41bis è un sistema di reclusione spregevole praticato dallo stato italiano. Riduce la persone a larva umana perché azzera ogni contatto, ogni socialità. Dalle organizzazioni internazionali come Amnesty International, Human Rights Watch e altre è ritenuta vera e propria tortura, di cui questo paese deve vergognarsi. Ed è proprio tortura, in quanto l’unico modo per uscire dal 41bis è solo per mezzo della delazione, cioè se si manda un altro al proprio posto in galera, anche se è innocente. Inoltre nell’ultimo anno è stato impedito alle persone detenute in 41bis anche la possibilità di ricevere libri e perfino di prenderli dalla biblioteca del carcere. Ci sono delle mobilitazioni in corso per far cessare almeno le vessazioni più gravose. Una è quella di inviare dei libri a detenuti in 41bis, attualmente non glieli consegnano, ma è utile come protesta e pressione nei confronti del governo. Ci vorrebbero molte mobilitazioni molto numerose ma, come dicevo prima, la solidarietà con chi è recluso è oggi un po’ scarsa. 
 

D- È passato più di un anno dal 31 marzo 2015, giorno in cui, per legge (la n. 81 del 2014), gli ospedali psichiatrici giudiziari d’Italia hanno chiuso. In realtà oggi ci sono ancora 4 OPG aperti, con 90 persone internate illegalmente. E mi risulta che nelle Rems attive, si trovano spesso situazioni che ripetono la logica di custodia degli OPG, seppure in piccoli numeri e dimensioni: sbarre, filo spinato, guardie giurate armate, poca o nessuna possibilità di attività esterne alla struttura per gli internati... Cosa ne pensi al riguardo e cosa hai sempre pensato degli OPG.

R- Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) sono un’altra vergogna di questo paese. Quando si chiusero i manicomi, con la legge 180 del 13 maggio 1978, detta “legge Basaglia” impropriamente, perché nel passaggio parlamentare per l’approvazione, la legge fu peggiorata moltissimo. I manicomi, ossia gli Ospedali Psichiatrici vennero chiusi ma rimasero attivi quelli Giudiziari, chiamati anche “manicomi criminali”, poi OPG. Ora dovranno scomparire gli OPG e lasciare il posto alle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS). Sulla carta c’è differenza con gli OPG, ma in pratica molte regioni, non avendo iniziato la costruzione delle REMS, affittano a cliniche private gli internati, con condizioni di vita che possiamo immaginare. Il punto centrale di questa storia è la permanenza della categoria di “pericolosità sociale”, quando una persona viene bollata da questo marchio, non ha più possibilità di vivere e muoversi liberamente. Manicomi, OPG, Rems, carcere, sono tutte strutture che impediscono alla società di confrontarsi con le differenze, impongono schemi comportamentali rigidi, al di fuori dei quali c’è il rifiuto, il marchio in fronte, lo stigma, la non accettazione nel consesso sociale, quindi l’emarginazione. Queste forme di esclusione sono delle uccisioni sociali, le persone vengono tenute in vita fisicamente, ma socialmente vengono uccise, annullate. 
 
D- Cosa pensi della psichiatria e del TSO: solo alcune settimane fa c’erano in tribunale i processi di due persone ( Mastrogiovanni e Soldi ) uccise dal TSO.
R- Della psichiatria penso che non si tratta di scienza, in quanto non ha la possibilità di effettuare rilievi scientifici verificabili. Qualunque malattia deve essere visibile, misurabile con strumenti adeguati, la malattia mentale invece è un’opinione su di una persona per il semplice fatto che non si comporta come l’ordine attuale, l’ordine capitalistico, vorrebbe: ossia lavorare, allevare figli, consumare, rispettare le regole, ecc. la psichiatria è un sistema di controllo, non una scienza. Il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) è un obbrobrio, non solo perché ha provocato i morti che tu ricordavi, ma perché è una delle più feroci violenze contro una persona, cui non si riconosce nemmeno il diritto di assumere o non assumere un farmaco. È necessario diffondere la conoscenza di come ci si può opporre al TSO, chi è interessato può consultare il sito http://www.stopopg.it/search/node/tso
 
D- Sei d’accordo con me che :
Oggi come ieri è necessario scegliere da che parte stare.
Oggi come ieri è necessario essere partigiani.

R- D’accordo Antonello! Oggi forse più di ieri bisogna scegliere da che parte stare e starci coerentemente, pagando il costo che può essere richiesto. Le previsioni sul prossimo futuro, come sembra, sono assai fosche; già adesso la situazione non è certo eccellente e, se con la lotta non produrremo consistenti cambiamenti, c’è da essere preoccupati. Quindi partigiani si!, ma senza che questa lotta poi rifluisca in una unità nazionale o patriottica, come è stato nel 1944-45 e chi ha combattuto e perso la vita per una società libera e uguale, si è trovato con gli stessi poteri, quelli di sempre, quelli che cambiano casacca e bandiera, ma continuano a sfruttare e opprimere. Che il 2017 sia un anno di lotta e di trasformazione radicale della società! 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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