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 Home page > Tribuna Libera > Renzi e la buona scuola: ormai siamo analfabetismo di ritorno

Renzi e la buona scuola: ormai siamo analfabetismo di ritorno

Il manifesto del governo Renzi sulla buona scuola, che a conti fatti conta per ora su una sola certezza – la sensibile riduzione di stipendio per il personale che vi lavora – si apre con uno slogan scritto in corsivo, a lettere color bianco gessetto su campo rosso, con la calligrafia della maestrina dalla penna rossa. Un personaggio deamicisiano che, a esser pignoli, non fu eternamente giovane e sorridente tra frotte di bambini, come la volle Walter Molino e come ama pensarla una classe politica che ha incatenato alla cattedra i docenti ben oltre la terza età.


Renzi “rottama” così, con un pugno negli occhi, il tradizionale nero ardesia e il più moderno tenue verde della scuola degli anni più recenti. All’Italia serve una buona scuola” – c’è scritto – e i casi sono solo due: o Renzi pensa che Francia, Germania e compagnia cantante abbiano bisogno di una pessima scuola, o nelle sei parole, complete di apostrofe e virgola, c’è l’idea maligna di una scuola – quella che Renzi ha frequentato – che non è buona a nulla. E subito, come in un western dei tempi d’oro, dietro lo slogan, senti squillar la tromba – perè, perè, perepereppepè – e nel polverone di cavalli al galoppo vedi giungere tutto il governo con la giacca blu del glorioso 77° cavalleggeri. In testa, sciabola in pugno e occhio intrepido, Renzi Jhon Wayne, che sbaraglia il campo, mette in fuga gli sporchi pellerossa, pianta la bandiera sul territorio liberato dagli Apaches e giù il cappello: ecco la civiltà dov’era la barbarie.


Per chi non l’avesse capito, balzato giù da cavallo a gambe larghe, con l’incedere tipico di chi sta in sella anche quando ha i piedi per terra, Renzi, sudato e impolverato, svela subito al corpo docente il segreto della sua scuola. Lui la vuole così, come non è mai stata negli ultimi decenni: capace di sviluppare nei ragazzi la curiosità per il mondo e il pensiero critico.


Occorre riconoscere che al governo Renzi non manca il coraggio. Se si eccettuano infatti rare e grigie figure come Padoan, la gran parte dei suoi componenti, Renzi, Boschi, Madia e compagni, riconosce così ciò che tutti già sanno: per questioni anagrafiche, nella formazione di Renzi e di molti dei suoi ministri manca il pensiero critico. Non è colpa loro: la scuola che hanno frequentato non se n’è mai curata. Ben venga, quindi, la buona scuola strappata a docenti Sioux e Piedi Neri, ma una postilla alla premessa del documento, per onestà intellettuale, il governo dovrebbe aggiungerla: quando la ferrovia sarà giunta nei selvaggi territori del West e avremo risolto con l’istruzione il problema strutturale della disoccupazione, come promette Renzi, i componenti del 77° eroico cavalleggeri giurano di ripetere il percorso di studi e acquisire quel pensare critico di cui li ha derubati la scuola degli Apaches.


In quanto al progetto di “buona scuola”, va detto che si fonda soprattutto su un principio base: pensa di migliorare la scuola di tutt’Italia dal momento che favorirebbe una mobilità orizzontale positiva e prevede che la mobilità avvenga ovviamente nel rispetto della continuità didattica, e anche che le scuole potranno contare sui loro docenti per almeno 3 anni consecutivi. Si prevede poi che incoraggiando la mobilità il meccanismo nel suo complesso consentirà di ridurre le disparità tra scuole, e aumentare la coesione sociale. Sarebbe dunque un sistema basato sul merito dei docenti che ridurrebbe le disparità tra le scuole e le aiuterebbe tutte a migliorare.


Solo chi non conosce la scuola può credere davvero che incoraggiando la mobilità si possano ridurre le disparità e aumentare la coesione sociale. E’ vero il contrario. Per trattenere i docenti nelle scuole, soprattutto quelle a rischio – ce ne sono di vario tipo e sono molto più numerose di quanto credano Renzi e i suoi sedicenti esperti – occorrerebbe incoraggiare la stabilità. Ogni buon docente perso è una risorsa decisiva, sia per quello che fa, che per quanto può dare ai colleghi, e non è mai facile sostituirlo.


Chi sa di scuola è consapevole che occorrerebbe pagare il docente bravo per trattenerlo, ma non c’è bisogno di farlo. Un buon docente non lascia il mondo nel quale ha imparato a lavorare e a sentirsi utile solo per guadagnare qualche euro in più. Nelle scuole “difficili”, del resto, i docenti più scadenti scappano per primi, timorosi di ciò che li attende. Quelli bravi restano in trincea e si ammazzano di fatica non per lo stipendio, che è sempre da fame, ma per passione civile e amore del proprio lavoro.


Renzi non lo sa – siamo all’analfabetismo di ritorno - ma le disparità tra scuole nascono dalla platea scolastica, dalla realtà territoriale, dal contesto sociale ed economico nel quale esse operano, dalla maggiore o minore presenza di quelle Istituzioni pubbliche che sono ormai sempre più latitanti.

Foto: Palazzo Chigi, Flickr
 

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Cesarezac (---.---.---.138) 12 settembre 2014 21:44
    Cesarezac

    Una buona scuola, oltre ad insegnare nozioni, deve insegnare a ragionare, a paragonare cose omogenee, a stabilire una scala di priorità, a non divagare, ad essere pragmatici, a non farsi influenzare dall’emotività, quindi da antipatie o simpatie. 

  • Di Giuseppe Aragno (---.---.---.211) 13 settembre 2014 12:05
    Giuseppe Aragno

    Come darle torto? Aggiungerei solo, ma è pignoleria, che la scuola dovrebbe insegnare a motivare le critiche.e a non scambiare per antipatia ciò che non va d’accordo con le nostre simpatie. Oggi sul Manifesto sono tornato sul tema in un articolo che, nonostante i refusi, mi sento di consigliarle. 

  • Di (---.---.---.49) 13 settembre 2014 12:25

    Allerta Scuola >


    La capacità didattica connota l’identikit dell’insegnante. Dedizione e passione sono l’anima della missione educativa. Coltivare le “risorse vincenti”, come curiosità, metodo e tenacia, è il mandato ed il ruolo principe dell’insegnante.


    Ciò premesso. RENZI (con i suoi “esperti”?) ha concepito un nuovo sistema di gratifiche della carriera lavorativa di un docente. Via gli scatti d’anzianità e avanti con quelli di “competenza”.


    Quattro obbiezioni di fondo.

    Con quali oggettivi parametri didattici si pensa di poter costruire una graduatoria triennale di “eccellenza” in grado d’attestare l’esclusione di 1/3 del corpo insegnante?

    Nelle tornate seguenti, quanta parte dei docenti “negletti” riuscirà ad imporsi sui colleghi già certificati “meritevoli” escludendoli così da possibili ulteriori scatti?

    Dopo qualche triennio, che “percezione” si darà della classifica del corpo docente contraddistinto per livelli di “competenza”?

    Di quanto scemeranno le “motivazioni” di ruolo di un insegnante relegato per vari anni tra i “non competenti” e che non vedrà più neppure uno scatto d’anzianità?


    In sostanza.

    E’ fatto risaputo che i riconoscimenti retributivi hanno lo scopo di premiare le qualità personali e i risultati individuali. Nulla a che vedere con una “graduatoria” a cadenza predefinita e subordinata alla quantità di risorse disponibili.

    La forza e la competenza di un corpo docente è nell’ottimizzare l’apporto “collettivo” ai fini della preparazione di gruppi di alunni condivisi.

    Ergo.

    La politica “innovativa” non può mai prescindere da prevedibili sostanziali controindicazioni. Unica novità “politica” è cercare il preventivo assenso di chi dovrebbe soltanto beneficiare degli effetti positivi promessi.

    Studenti e famiglie sono solo i destinatari di una auspicata Rigenerazione della Scuola

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