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Renzi a Napoli: una vergogna

Vado a memoria, ma credo di non sbagliare se scrivo che la situazione è ormai da allarme rosso. Napoli ha bisogno di un fortissimo scatto di orgoglio della sua gente e di quella unità che ha mostrato sempre nelle sue ore difficili e pericolose. Bisogna trovarla, l’unità, perché in discussione c’è la sua dignità.

Nella storia della Repubblica non è mai accaduto. Per trovare un precedente simile, bisogna risalire al settembre del ‘43, all’Italia monarchica ridotta in ginocchio, all’occupazione dei tedeschi e al loro intento vile di sottomettere la città per dare un esempio feroce al Paese e ai loro titubanti alleati. Ieri come oggi il messaggio è chiaro e il pericolo evidente: chi si mette contro di me, non ha speranze. Per l’ennesima volta in un anno, Renzi, nei panni di Presidente del Consiglio dei Ministri, ha voluto presentarsi a Napoli senza recarsi nella sede del Comune, senza incontrare i rappresentanti eletti delle libere Istituzioni cittadine, senza confrontarsi con il popolo che pretende di governare. Con il disprezzo vile dei deboli, ha avvisato Prefettura e Questura, si è nascosto dietro cavalli di Frisia e uomini armati, sputando in faccia a una città civile, ricca di storia e cultura, calpestando la dignità dei suoi cittadini e le regole che impongono la collaborazione tra i rappresentanti delle Istituzioni.

Come i tedeschi filmavano le loro tragiche imprese, invitando la popolazione stremata a raccogliere gli avanzi dei loro saccheggi, così Renzi chiama le televisioni amiche o sottomesse per filmare le sue tristi apparizioni. A parte questo terribile esempio, un contegno simile non si è mai registrato. Garibaldi chiamò nel suo governo Liborio Romano, ministro dell’odiato Borbone, perché sentì che una rottura aperta coi napoletani sarebbe stato segno di un eccesso intollerabile persino per un conquistatore giunto in armi. Nessuno, nemmeno il peggiore dei gerarchi in orbace, si azzardò mai a utilizzare le istituzioni a fini personali e riunì le sue bande, senza tenere nel debito conto la dignità della città e dei suoi abitanti. Per quanto non eletto, un podestà fascista riceveva immancabilmente l’omaggio dell’ospite venuto da Roma e l’accoglieva nella sua città, perché nessuno, nemmeno i boia di Matteotti, Amendola, Gobetti e Rosselli, erano così arroganti da offendere la dignità di un popolo che pretendevano di governare. Non si permise di farlo Mussolini, accolto gelidamente dagli operai della città dopo l’omicidio Matteotti, qui, a Napoli, dove viveva ancora Aurelio Padovani, il suo rivale più acceso e il solo fascista che gli si pose davanti come un ostacolo serio sulla via del potere assoluto.

Ci voleva Renzi per assistere a questa vergogna che mira a condizionare il risultato di elezioni imminenti, offrendo al Paese questo spettacolo oltraggioso per la città e per i suoi cittadini. Renzi, il servo sciocco dell’Europa neoliberista, che calpesta le regole del gioco e non si limita a vendere fumo, ma svende il Paese agli interessi e agli uomini peggiori del capitale, come ha rivelato l’oscena faccenda Guidi. Ci voleva Renzi, un sedicente Presidente del Consiglio, per vedere all’opera un capobanda che riunisce i suoi nelle sedi istituzionali, alla vigilia di elezioni amministrative sempre più politiche.

La paura è cattiva consigliera. Probabilmente Renzi sa che a Napoli è iniziata la sua caduta e gioca la partita con le carte truccate e la pistola in tasca, qui minacciando, lì blandendo e ovunque parlando alla pancia della gente: chi vuole soldi e potere, racconta, voti Valente e li avrà.

Nessuno ha mai così apertamente violato la legalità repubblicana. E’ un ceffone così violento assestato in pieno viso alla capitale del Sud, che la sola risposta possibile, l’unica che possa salvare il futuro della città e la sua dignità, è quella che conduce a votare per De Magistris. Votarlo non solo perché il sindaco ha meritato ampiamente la conferma, ma perché l’odio di Renzi è diventato ad un tempo una minaccia mortale e la miglior garanzia del valore del nostro sindaco.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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