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Rassegnamoci: i tempi del grande cinema italiano non torneranno tanto presto

In un suo recente articolo (‘Non ci sono più i caratteristi di una volta’, su Ciak n.2, Febbraio 2011) Paolo Mereghetti rileva quanto si avverta, nell’ambito della nostra cinematografia, la mancanza dei caratteristi di un tempo, di quegli attori, cioè, che nell’età d’oro del nostro cinema ricoprivano ruoli spesso ‘minori’ ma che per la loro eccezionale bravura e per la loro capacità di far divertire e di farsi amare erano di sovente determinanti per la buona riuscita artistica e per il successo commerciale di un film. Il critico, che tra gli altri, e non senza rimpianto, cita Memmo Carotenuto, Tina Pica, Carletto delle Piane, Riccardo Garrone, Tiberio Murgia (ma nell’elenco del Mereghetti, che appare puramente esemplificativo, potrebbero parimenti figurare anche attori come Paolo Panelli, Oreste Lionello, Bice Valori, Franco Fabrizi, Umberto Spadaro, Franca Valeri, Ave Ninchi e moltissimi altri), conclude il pezzo sostenendo che ‘Un cinema che ama e difende i suoi caratteristi è un cinema che guarda alla realtà e ne vuole riproporre la complessità e la ricchezza. E’ un cinema allegro, colorato, imprevedibile. Un cinema senza caratteristi è un cinema povero, spento, stanco. Morto.’

Certo oggi, i caratteristi di una volta, per indole, per formazione ed esperienza e soprattutto perché figli di un’epoca irripetibile per caratteristiche sociali, economiche e culturali (parliamo, essenzialmente, degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo passato), di fronte a una macchina da presa avrebbero molta difficoltà a rendere bene la complessità di tutte le situazioni e delle diverse realtà che ci vengono proposte dal nostro tempo.

Partendo dal presupposto che il cinema, nel presente come nel passato, costituisce lo specchio della realtà in cui si vive, non sembra fuori luogo considerare che i grandi attori di cui parliamo erano tali proprio perché erano inseriti e operavano brillantemente in un contesto storico e sociale del tutto specifico che essi ben conoscevano. Così, fatti che si verificavano anche nella realtà del quotidiano e le più articolate vicende, anche quelle intinte nella fantasia, comiche o tragiche esse fossero, potevano essere rappresentati dal caratterista (maschera tragica o macchietta a seconda dei casi) del tutto naturalmente e in modo assolutamente magistrale (erano questi fatti e queste vicende e il diverso approccio degli italiani rispetto a essi, prima di tutto, a far divertire e/o a suscitare l’attenzione del pubblico).

Similmente, è nella natura delle cose tanto da apparire quasi banale, il cinema d’oggi viene, spesso molto bene, interpretato da attori che, vivendo in essa, conoscono e sono immersi nella contemporaneità dei nostri giorni. 

Tuttavia, a differenza di quanto avveniva in passato, le diverse realtà oggi esistenti e le differenti storie e situazioni che da esse scaturiscono (storie e situazioni che ugualmente trovano rappresentazione sul grande schermo delle sale cinematografiche), sono influenzate, complice anche il fenomeno della globalizzazione che certo non gioca a favore delle diversità, dalla crescente spersonalizzazione dei rapporti umani cui assistiamo ogni giorno, dall’appiattimento e dall’ allinearsi vicendevole delle varie specificità di costume, culturali, religiose, linguistiche, etc. La grande varietà delle situazioni e l’originalità delle storie cui la nostra migliore cinematografia ci aveva abituato, vanno via via sfumando, nelle ripetitività del cinema commerciale dei nostri giorni.

Gli aspetti negativi di cui si è parlato e il nostro diverso modo di vivere e di vedere le cose, oltre che, di per sé, concorrere a cambiare in tutte le manifestazioni i connotati della nostra cultura e delle nostre arti, sono ovviamente anche in grado di riflettersi sull’oggetto, sull’operare dei soggetti e sui modi di raccontare utilizzati nella finzione cinematografica. 

Sembrano oggi scomparsi (non solo al cinema ma anche dalla quotidianità di ciascuno di noi) anche i personaggi, tristi o allegri, ma tutti ugualmente inimitabili, che di volta in volta venivano così ben rappresentati da eroi assoluti del nostro cinema come Fabrizi, Gassman, Manfredi, Sordi, Tognazzi e Totò, e anche gli attori protagonisti (come lo furono Volontè e Mastroianni, ma di nomi se ne potrebbero fare a decine) non sembrano più quelli di una volta.

I confini di tutto, oggi, sono più incerti, l’accadere degli eventi ci appare più piatto e più triste, e il cinema dei nostri giorni, il cinema d’autore, non può far altro che registrare le angosce del nostro tempo, l’affievolirsi della speranza in un mondo migliore e il venir meno dell’ottimismo.

Un ottimismo che nonostante tutto era così fortemente sentito, tanto per dire, nel secondo dopoguerra, quando il nostro Paese si dibatteva tra le grandi difficoltà legate alla necessità di ricostruzione delle città e al riassestamento di un territorio martoriato dalla guerra e i conseguenti gravissimi problemi economici che da tali circostanze derivavano.

La speranza di un avvenire migliore appariva ancora più accentuata durante gli anni del boom economico. Rispetto a quei tempi, che a noi oggi sembrano così lontani, il cinema si presenta ai suoi potenziali fruitori molto diversamente e ciò si verifica nonostante nelle sale si registri la presenza costante di produzioni di alto livello.

Siamo quasi certi che i tempi del grande cinema italiano non torneranno tanto presto.

Di quei tempi, dei grandi attori di cui abbiamo parlato e di grandi registi come Antonioni, Comencini, Fellini, Germi, Leone, Monicelli, Visconti, Zampa, e via elencando avremmo oggi un gran bisogno. Per questo ci mancano, per questo continuiamo nostalgicamente ad amarli.

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