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Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti 2013

La Corte esprime il rischio di corto circuito fra obiettivi stringenti di finanza pubblica e tenuta del quadro economico.

Pesanti riflessi sulla gestione delle politiche di bilancio a causa della crisi economica e finanziaria hanno portato in Italia, nel periodo 2009-2013, la mancata crescita nominale del Pil a superare i 230mld di euro. Le manovre correttive hanno fatto risparmiare 40mld di euro ma l’incidenza delle spese sul Pil è cresciuto al 51,2%, con un indebitamento netto superiore di 50mld di euro rispetto all’obiettivo originario. Parte da qui l’analisi elaborata dalla Corte dei Conti con il Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica.

Nell’orientare le leve del bilancio pubblico oltre l’austerità, occorre conservare la consapevolezza che il livello crescente del debito pubblico non consente di abbandonare il rigore del risanamento, e la Corte dei Conti avalla l’indicazione dell’Europa fatta all’Italia sul fatto che al nostro Paese servano stimoli per crescere di più e non deroghe per spendere di più. Per la Corte dei Conti, il riesame della spesa deve essere ripensata in ottica di lungo periodo, rivisitando i modi di produrre i servizi pubblici più efficienti con risparmi di spesa, analisi di costo, potenziando i sistemi di contabilità pubblica e svolgendo una più accurata selezione dei beneficiari degli interventi economici.

Il Rapporto fornisce elementi di analisi sui risultati del 2012 e sull’eredità che questi trasmettono alle prospettive di breve periodo e alle scelte di Governo e Parlamento. È passato un 2012 nel quale si è evidenziato un quadro fragile in termini di crescita e di finanza pubblica. Secondo la Corte dei Conti l’Italia presenta un andamento corrente della propria finanza pubblica (indebitamento netto e avanzo primario) migliore rispetto ai paesi in crisi, mentre è critico l’indicatore del rapporto fra debito e prodotto. Il peso del debito accumulato richiede all’Italia un tasso di crescita nominale del Pil ben maggiore di quello che è il tasso di crescita potenziale della nostra economia.

Fattori complessi evidenziati dalla Corte contabile sono evidenziati nelle ripercussioni dei molti interventi correttivi che dal 2008 a oggi ammontano a 140 miliardi di euro, 30mld dei quali avranno effetti nel biennio 2013-2014; c’è una spesa troppo elevata in quota di Pil; i confini all’interno dei quali ricollocare la fornitura dei servizi pubblici, più snelli nell’intendimento della riforma federalista e, invece, afflitti da duplicazioni e da un aumento dei costi di produzione. Per la magistratura contabile si tratta di squilibri, distorsioni e questioni strategiche che non sono stati affrontati con sistematicità. L’azione sulla spesa deve essere consolidata recuperando un principio di maggiore selettività, coniugando i risparmi con una maggiore qualità della stessa.

Per la Corte dei Conti, la proposta di revisione del Patto europeo potrebbe essere estesa a progetti d’investimento. Gli Stati assumerebbero l’impegno ad attuare interventi mirati e condivisi, in tempi e modi certi, a fronte d’incentivi temporanei e flessibili. D’immediata percorribilità è la scelta di aumentare l’equità distributiva del prelievo, ridurne le complicazioni, selezionare le combinazioni di tributi che possano trasmettere maggiori impulsi sulla crescita e sulla competitività. Sembra alla Corte che la pratica delle agevolazioni fiscali implica la definizione, chiara e trasparente, degli obiettivi ispiratori dell’eventuale riforma. La praticabilità di un riordino delle agevolazioni va inserita in una più generale riforma fiscale.

Il Rapporto approfondisce il tema del federalismo. Il passaggio al federalismo, con obiettivi di responsabilizzazione ed efficienza nella gestione degli enti decentrati, doveva avvenire senza aggravi impositivi per la collettività ma nella realtà non ci sono tracce di compensazione fra fisco centrale e fisco locale. Con l’attuazione del federalismo “si è registrata una significativa accelerazione sia delle entrate di competenza degli enti territoriali, sia di quelle delle Amministrazioni centrali”. “L‘aumento delle entrate locali risponde alla necessità di compensare il venir meno dei trasferimenti centrali o di adempiere percorsi di risanamento comunque concordati con il livello centrale”.

Un’analisi del ritardo nei pagamenti della pubblica Amministrazione evidenzia un comportamento amministrativo deviante e patologico, con tempi di pagamento anche sopra i 180 giorni. La Corte individua “le radici della patologia connesse ai vincoli di bilancio, alla complessità di norme e procedure, ai diversi sistemi contabili, le Amministrazioni pubbliche non hanno una sistematica e organizzata documentazione sui crediti dei propri fornitori e sulle fatture associate e a causa delle insufficienze dei sistemi di contabilizzazione delle transazioni”.

Il Rapporto elaborato dalla Corte dei Conti s’interroga anche sulla capacità degli interventi proposti di superare ostacoli e distorsioni evidenziate nel tempo e la posizione debitoria di Stato, Sanità ed enti locali. Con riguardo agli Enti locali, il ritardo dei pagamenti accumulato dagli enti del servizio sanitario è ricondotto agli “investimenti fatti nel passato per importi non coerenti con le disponibilità finanziarie degli enti e/o mancate erogazioni da parte delle Regioni di somme da queste incassate quale contributo dello Stato al finanziamento della sanità o di cui era prevista la somministrazione a copertura (a carico della Regione) dei risultati economici annuali del settore sanitario regionale”.

Per la Corte ci deve essere un impegno di tutte le Pubbliche Amministrazioni nell’introdurre una valutazione tra i criteri propri dell’esercizio della discrezionalità amministrativa nel settore degli investimenti e l’adeguamento delle proprie strutture. È necessario anche definite forme e metodi di consultazione pubblica con le popolazioni locali e le associazioni portatrici d’interessi diffusi per acquisire il consenso e la ripartizione delle responsabilità nei progetti di grandi opere infrastrutturali.

Il processo realizzativo di opere pubbliche e d’investimenti qualificati come necessari, deve poter contare su un quadro di risorse certo e stabile. La scarsità di mezzi finanziari non può giustificare de-finanziamenti in corso d’opera o ritardi, oltre il limite del fisiologico, nell’individuazione delle coperture finanziarie. La certezza di tempi e costi delle opere pubbliche è conseguenza diretta di accuratezza e completezza progettuale, che deve essere valutabile e controllabile secondo parametri obiettivi, da strutture pubbliche adeguate e competenti.

Bisogna avanzare una corretta utilizzazione delle finanze pubbliche per l’accrescimento della persona e lo sviluppo della solidarietà sociale volta al bene comune. Vigilare sull’uso delle pubbliche risorse all’interno di uno sforzo di risanamento del Paese non può svincolarsi dal processo d’integrazione europea e deve innestarsi su competenze ed esperienze già maturate in pratiche consolidate.

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