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Quell’olio di palma prodotto col lavoro minorile e forzato (VIDEO)

Sul fatto che faccia male ai diritti umani, non vi sono dubbi. Almeno per quanto riguarda l’olio di palma proveniente dalle piantagioni indonesiane del gigante dell’agro-business Wilmar, fornitore di nove notissimi marchi di prodotti alimentari, cosmetici e di altro uso quotidiano: AFAMSA, ADM, Colgate-Palmolive, Elevance, Kellogg’s, Nestlé, Procter & Gamble, Reckitt Benckiser e Unilever.

A metterlo nero su bianco è il rapporto “Il grande scandalo dell’olio di palma: violazioni dei diritti umani dietro i marchi più noti”, diffuso da Amnesty International.

Per realizzarlo, Amnesty International ha intervistato 120 lavoratori di piantagioni di palma (una delle quali nella foto di Amnesty International/WatchDog) di proprietà di due sussidiarie della Wilmar e tre fornitori di quest’ultima nelle regioni indonesiane di Kalimantan e Sumatra. Questi sono i principali risultati:

– donne costrette a lavorare per molte ore dietro la minaccia che altrimenti la loro paga verrà ridotta, con un compenso inferiore alla paga minima (in alcuni casi, solo 2,50 dollari al giorno) e prive di assicurazione sanitaria e di trattamento pensionistico;

– bambini anche di soli otto anni impiegati in attività pericolose, fisicamente logoranti e talvolta costretti ad abbandonare la scuola per aiutare i genitori nelle piantagioni;

– lavoratori gravemente intossicati da paraquat, un agente chimico altamente tossico ancora usato nelle piantagioni nonostante sia stato messo al bando nell’Unione europea e anche dalla stessa Wilmar;

– lavoratori privi di strumenti a protezione della loro salute, nonostante i rischi di danni respiratori a causa dell’elevato livello di inquinamento causato dagli incendi delle foreste tra agosto e ottobre 2015;

– lavoratori costretti a lavorare a lungo, a costo di grave sofferenza fisica, per raggiungere obiettivi di produzione ridicolmente elevati, a volte usando attrezzature a mano per tagliare frutti da alberi alti 20 metri;

– lavoratori multati per non aver raccolto in tempo i frutti dal terreno o per aver raccolti frutti acerbi.

Otto su nove delle aziende sopra elencate fanno parte del Tavolo sull’olio di palma sostenibile (un organismo istituito nel 2004 dopo un grave scandalo ambientale) e sui loro siti o sulle tabelle nutrizionali dichiarano di usare “olio di palma sostenibile”. Complessivamente, l’olio di palma proveniente da tre delle cinque piantagioni indonesiane su cui Amnesty International ha indagato è certificato come “sostenibile”.

Ma come si può definire “sostenibile” un olio di palma prodotto col lavoro minorile e forzato?

Entrando nel dettaglio, le ricerche di Amnesty International hanno rintracciato olio di palma lavorato da raffinerie e frantoi proveniente dalle piantagioni esaminate, in sette delle nove aziende: AFAMSA, ADM, Colgate-Palmolive, Elevance, Nestlé, Reckitt Benckiser e Kellogg’s attraverso una sua joint-venture.

Le altre due, Procter & Gamble e Unilever, hanno confermato ad Amnesty International che usano olio di palma proveniente dalle piantagioni della Wilmar in Indonesia ma non hanno specificato esattamente da quale raffineria si riforniscono. Poiché Amnesty International ha rintracciato olio di palma dalle piantagioni oggetto della sua ricerca in 11 delle 15 raffinerie della Wilmar, è assai possibile che queste due aziende si riforniscano da almeno una di queste raffinerie.

Amnesty International ha chiesto alle aziende di chiarire se l’olio di palma dichiarato nel contenuto di una lista di prodotti provenga da attività della Wilmar in Indonesia. Due di loro, Kellogg’s e Reckitt Benckiser, hanno confermato.

Colgate e Nestlé hanno ammesso di ricevere olio di palma dalle raffinerie indonesiane della Wilmar. Il rapporto di Amnesty International collega queste raffinerie alle piantagioni che ha indagato. Colgate e Nestlé hanno però dichiarato che nessuno dei prodotti elencati nel rapporto di Amnesty International contiene olio di palma proveniente dalle piantagioni della Wilmar, tuttavia non hanno reso noto quali altri prodotti invece lo contengono.

Due altre aziende, Unilever e Procter & Gamble, non hanno corretto l’elenco dei prodotti fornito da Amnesty International. Le rimanenti tre, infine, hanno risposto in modo vago o non hanno risposto affatto.

C’è qualcosa che non va se nove marchi, che nel 2015 hanno complessivamente fatturato utili per 325 miliardi di dollari, non sono in grado di fare qualcosa contro l’atroce sfruttamento dei lavoratori dell’olio di palma.

Amnesty International avvierà una campagna per chiedere alle aziende di far sapere ai consumatori se l’olio di palma contenuto in noti prodotti come il gelato Magnum, il dentifricio Colgate, i cosmetici Dove, la zuppa Knorr, la barretta di cioccolato KitKat, lo shampoo Pantene, il detersivo Ariel e gli spaghetti Pot Noodle proviene o meno dalle piantagioni indonesiane della Wilmar.

I consumatori hanno diritto a ricevere queste informazioni.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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