• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tribuna Libera > Quel Nulla nell’intimo di ogni essere

Quel Nulla nell’intimo di ogni essere

Ragionando - per confutarla - sulla curiosa “convergenza” tra il pensiero di Martin Heidegger e la mistica della Kabbalah spagnola medievale, ipotizzata da Donatella Di Cesare, è necessario soffermarsi anche su una particolare frase di Gershom Scholem, antesignano degli studi sul misticismo ebraico, ripetuta qualche mese fa anche dal matematico Paolo Zellini, in un articolo titolato La mistica, pubblicato da Repubblica.

Scholem indicava nel «nulla nell’intimo di ogni essere» la verità antropologica della mistica ebraica; la frase, anch'essa riferita alla Kabbalah, apparentemente interpretabile come una sorta di mancanza originaria, di vuoto ontologico proprio di ogni essere, lascia aperte possibilità interpretative ben diverse.

Per capire meglio che cosa lo studioso intendesse è dunque necessario andarsi a rileggere quello che scriveva circa la concettualizzazione cabalistica che aveva accolto, «secondo una prospettiva del tutto originale, la dottrina aristotelica dei tre principi dell’essere».

E riassumeva così questo passaggio: «Ogni cosa consta, diceva Aristotele, di materia, forma e non-essere. Questo terzo principio, la steresis, significa: non tutto ciò che una cosa per sua natura può diventare, è già. C’è una serie, una sequenza delle forme, e ogni forma realizza qualcosa di ciò che la materia può diventare. Non tutto può diventare tutto. Un pezzo di legno non può diventare ferro, ma certo può diventare un’asse (...) così, in ogni cosa, al di là della sua materia e della forma in essa già realizzata, è nascosta anche la forma non realizzata. Questo è quanto s’intende nel discorso aristotelico sulla privazione».

Nel pezzo di legno è nascosta insomma la forma non realizzata - il non-essere - dell'asse.

Poi lo studioso tedesco specificava il senso della steresis nella mistica ebraica: «Ma i cabbalisti hanno concepito questo non-essere appunto come quel nulla che si nasconde nell’intimo di ogni cosa. Là dove le forme mutano in materia, cioè in ogni processo vitale: in questa trasformazione insorge sempre il nulla».

A leggere la sintesi di Scholem saremmo portati a pensare quindi che nella Kabbalah non si parli di un nulla immutabile dell’essere, di una irrimediabile mancanza propria di ognuno, ma di quel non essere ancora", foriero, proprio perché essere in potenza, di ogni possibile trasformazione, di ogni processo creativo: ciò che ancora non è (Ayin, secondo la terminologia ebraica) può diventare ciò che è (Yesh). E quindi dal nulla all'Io (Anì).

I cabalisti, rifiutando l’ascetismo, rifiutavano di trovare l’Uno nel mistico Nulla per cercare il fondamentale Uno originario nel rapporto uomo-donna, nella sua realtà carnale fino «a prescrivere per lo sposo l’obbligo di dare piacere alla propria compagna», scrive Scholem, permettendo quindi alla donna di realizzare se stessa come soggetto del rapporto e non come la donna-oggetto di tanta tradizione occidentale.

Ecco che Heidegger indica invece nell’angoscia «la disposizione fondamentale che ci mette di fronte al nulla», tematica su cui Donatella Di Cesare interviene: «ciascuno sa bene che cosa sia il nulla, perché nelle vicende quotidiane, quando si trova nel mezzo degli enti, lo assale l’angoscia, l’Angst, che non è semplice paura di qualcosa, di determinato, ma è angustia del nulla. Tutto sembra allora affondare in una sorta di indifferenza. L’ente nel suo insieme si allontana, dilegua, lasciando affiorare il nulla».

È evidente che non si tratta della verità dell’essere umano; l’angustia del nulla non è di “ciascuno”, ma solo di chi è assalito dall’Angst per aver perduto, così ci dice la psichiatria, il rapporto con la realtà. È qui che tutto affonda in quella che viene chiamata "indifferenza", una sostanziale grigia anaffettività che porta a "dileguarsi" poi nel nulla che, conseguentemente, affiora. 

La perdita di rapporto, l'annullamento che determina l'angoscia, è palesemente l'opposto della fondamentale centralità del rapporto uomo-donna pensata dai mistici del giudaismo spagnolo medievale.

Quanto di più creativo, quando sfugge - come si direbbe a leggere certi testi cabalistici come la Lettera sulla santità - al doppio inganno della materialità più ottusa o della spiritualizzazione più astratta.

L'essere che non è più, perché arresosi al nulla, è l'esatto contrario di ciò che ancora non è, ma che ha tutte le possibilità di diventare "ciò che è": mantenere il filo rosso che lega l'uomo alla donna traccia una diversità non trascurabile tra la logica cabalistica e la sessuofobia demonizzante del cristianesimo. O il tipico Nulla della mistica di Meister Eckhart di cui Martin Heidegger era appassionato cultore.

Nonostante gli sforzi di Donatella Di Cesare appare quindi del tutto incongruo affiancare le ardite riflessioni della Kabbalah all’agghiacciante filosofia dalle caratteristiche note mistico-religiose del "mago" di Messkirch, ex studente di teologia cattolica, ex rettore dell’Università di Friburgo e membro mai ravveduto del partito nazionalsocialista.

Cioè di quell'ideologia che pensava le donne solo come macchine da riproduzione, utili a "sfornare" il giusto quantitativo di uomini necessari al sistema bellico tedesco.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità