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Pomigliano, il Pd e la striscia rossa

A Pomigliano la partita sui diritti fondamentali. E il Pd che fa? Tentenna, of course: cede, rilancia, insegue i miti incarnati da Berlusconi e la Lega: pragmatismo e benessere (e analfabetismo). E i diritti dei lavoratori? Buonanotte!

Ieri guardavo di sfuggita Camera Cafè. Luca Bizzarri, che interpreta un sindacalista arrivista e cinico, s’inventava un magheggio catastale per attaccarsi al cavillo e far guadagnare per sé e i suoi colleghi un contributo per le trasferte extra-urbane. Un confine cartogeografico, di qua il comune di là la provincia: una striscia rossa.
 
Poi c’è la storia dell’accordo di Pomigliano tra Fiat e sindacati, accettato da tutti meno che dalla Fiom. C’è il bagaglio dei diritti base raggiunto con le lotte politiche e sindacali del ‘900 che rischia di venir scippato, in ottemperanza alla sciamannata logica della massimizzazione estrema del profitto, divenuta adesso quasi forzata, in virtù di una sciagurata congiuntura economica, di una sleale concorrenza dei paesi emergenti in grado di fornire forza lavoro priva di senso di sé e pretese monetarie.
 
Perché a Pomigliano si va perdendo quello: un balzo rovinoso all’indietro, che il governo già promette di fare a modello: la serialità nella sottrazione dei diritti fondamentali del lavoratore, con la minaccia della delocalizzazione e della pancia vuota. Perché del diritto allo sciopero, di straordinari ad libitum, di dilatazione di orari di lavoro, dell’appiattimento delle pause pranzo si sta parlando. Roba dell’altro mondo, roba da libri di economia politica, sottolineati coi colori.
 
Perfetto: secondo Bersani - pur essendo una via eccezionale che non avrebbe da ripetersi – l’accordo andava trovato. Secondo Fioroni “bisogna evitare che si continui a promettere il sol dell’avvenire e nel frattempo si lascia la gente al buio e al freddo”, come se quel sole fosse il superfluo dei diritti costutuzionali. Enrico Letta s’accoda alla Cisl, addossando alla Fiom, preventivamente, qualsiasi colpa. Un trittico da urlo.
 
Ecco: temo che le reazioni dentro al Partito Democratico sulla vicenda – oltre al totale disinteresse di chi appare, ed è, totalmente avulso dalle logiche sociali che non portino a crostate familiari di varia foggia (si veda l’ultimo) – siano improntate a una scelta di carattere propagandistico. Un sì e no (c’è molta contraddizione, nel partito, sul tema) che impedisce loro di esporsi, o rappresenta semplicemente la volontà di piegarsi all’ingerente. O ad altro: perché – è la mia sensazione – temo (ancora) che ai lavoratori stessi, la maggior parte, dei loro diritti non interessi granché – e il referendum del 22 potrebbe testimoniarlo. Attanagliati dalla fame o dal bisogno, certo sorpresi in una profonda crisi d’autocoscienza, figlia d’un sostanziale analfabetismo di ritorno.
 
Perché di questo si tratta. C’è nella dinamica mondiale, la globalizzazione e tutto, questa sperticata ricerca della redditività forzata. Ma c’è anche, da noi, l’imbarbarimento intellettuale e generalizzato, che ha ibridato i lavoratori all’adempimento delle funzione prime, senza l’assillo degli orpelli “ideologici“. Analfabetismo civile. La cultura pragmatica leghista del “mi penso a laurà”, quella berlusconiana del benessere. E il Pd a rincorrere. Del resto alla socialdemocrazia questa classe dirigente non c’ha mai saputo giocare. Con tanti saluti alla striscia rossa. Quella vera.
U‘

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