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Perù: speculatori demoliscono una piramide vecchia di 5000 anni

Una delle piramidi del complesso di El Paraiso sarebbe stata demolita da "ignoti", fermati solo dall'opposizione di testimoni dal fare lo stesso con altri monumenti del luogo. Gli archeologi incolpano del fatto la Compañía y Promotora Provelanz E.I.R.L e Alisol S.A.C Ambas, contro le quali è stata aperta un'istruttoria. Il fenomeno della privatizzazione e svendita del centroamerica sembra però continuare imperterrito.

Con i riflettori delle autorità peruviane sul caso, almeno parte delle istanze degli archeologi ha trovato spazio. L'accusa di aver demolito la struttura si è infatti focalizzata proprio sui costruttori interessati all'area, che avrebbero proceduto nel weekend a smantellarla tramite l'uso di macchinari di scavo. Gli archeologi non hanno atteso oltre per commentare l'accaduto, mettendo in evidenza come l'episodio abbia generato un "danno irreparabile".

Il complesso che ospitava la struttura alta sei metri e ormai distrutta rappresenta infatti uno dei luoghi cardine della storia dei popoli precolombiani, antica di 4000 anni e datata attorno al terzo millenio avanti cristo. Utilizzata forse come luogo di culto, avrebbe significato - e significava fino ad ora - un potente strumento al fine di penetrare nel cuore di una delle culture più fortemente strutturate e complesse con le quali le spedizioni europee poterono confrontarsi (alla loro maniera) fin dal XV secolo, quella degli Incas. Una società gerarchizzata che, fondata nel XIII secolo viveva all'arrivo di Pizarro il suo periodo di massimo splendore (metà del '500).

Un'eredità che - come accade anche in Italia - serviva a spiegare la complessa evoluzione di una cultura millenaria. Ormai persa - a quanto spiegano gli archeologi - e per molte buone ragioni: ben 64 ettari di terreno parzialmente liberati da complicazioni burocratiche. Che di fronte ad un'autorità debole significa per un qualsivoglia speculatore un rapporto decisamente allettettante tra i rischi giudiziari e i possibili benefici. Non è dunque un caso che mesi fa un fatto del genere si sia verificato in Belize, stavolta a danno dei Maya. Ma soprattutto che un crescente timore stia colpendo il paese - e un po' tutto il centroamerica - che l'atto di svendita sia ormai irreparabilmente firmato.

A spiegarlo in un lungo report è Maximo Torero, senior researcher del Grupo de Análisis para el Desarrollo. All'interno del progetto "What are the Costs and Benefits of Privatization in Latin America", Torero sottolinea come il processo di privatizzazione in Perù sia ormai un elemento consolidato dell'economia nazionale, risalente addirittura all'agosto del 1990. Probabilmente colpito dalla rivoluzione causata dalla fine del mondo bipolare al sistema delle relazioni internazionali - in particolare panamericane - il Perù si è trovato in una situazione difficile. Svendere, specie per il contingente bisogno di liquidità, era effettivamente forse l'unico metodo capace di fungere da leva per trovare amici potenti capaci di proteggere il paese in un contesto geopolitico brutale e mutevole. Con le conseguenze di ogni rapido processo di privatizzazione: corruzione, disoccupazione, peggioramento dei servizi.

È qui che arte monumentale, economia e politica internazionale si intrecciano. Indicativo al riguardo è infatti che un vecchio articolo del New York Times datato 19 aprile 1993 ci ricordi che quelle linee ferroviarie citate qua e là tra i documenti conducono direttamente al celeberrimo sito di Machu Picchu. Così com'è indicativo che sedici anni dopo, nel 2009 ancora la Reuters ci sbatta in faccia la rabbia dei lavoratori marittimi peruviani. Per cosa? Ancora a causa della privatizzazione. Un processo dunque inesaurito, che ancora colpisce il paese e lo influenza nelle sue scelte, e che oggi porta il complesso di El Paraiso ad essere sventrato. Le autorità non sembrano però pronte a retrocedere, ma certo il tranquillo senso d'impunità dei costruttori non fa ben sperare.

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