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Perché la Lega si è rimessa a sbraitare

Ma se non usasse i fischietti in Aula, se non esponesse striscioni con scritto «governo ladro», se non avesse rispolverato il parlamento padano e giurato di battere moneta padana, se non urlasse al colpo di Stato, se non minacciasse lo sciopero fiscale, se non dicesse a Monti di dimettersi perché altrimenti i tartassati lo vanno a prendere a casa, se un suo deputato non avesse parlato a Montecitorio con gli abiti da operaio di fabbrica – se non avesse sparato insomma tutte queste cartucce dell’armamentario secessionista-populista-folkloristico, chi avrebbe notato la Lega, ora che è una forza di opposizione isolata che si aggira intorno all’8%?

Nessuno. Per questo alza la voce: per farsi notare. Non è una strategia politica, ma mediatica. E di sopravvivenza, non di rilancio. Se fosse vero il contrario, si impegnerebbe per completare il federalismo, non per ottenere una fantomatica indipendenza di cui non si capisce nemmeno il significato. E per garantirsi i voti necessari a farlo, invece di inimicarsi l’unico partito (il Pdl) che potrebbe davvero darglieli.

E’ il triste destino di chi, dopo essere stato sotto la luce dei riflettori, si accorge di essere uscito dal cono di luce. E, resosi conto di non avere una seconda chance né il talento che serve per riguadagnare la scena, si mette a urlare e strepitare come morso da una tarantola. Così ci costringe a guardare, ancora per un attimo. Prima di lasciarlo nel buio, ai suoi fantasmi.

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