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Parasubordinazione e/o precarietà?

Spesso commentata da chi non l’ha conosciuta? A voi la parola!

Chi legge il mio blog si domanderà a cosa miri un titolo simile. Ebbene, questi anni di esperienza nel settore della consulenza del lavoro e degli studi giuridici mi hanno portato, spesso, a varie riflessioni. Certo, a seconda degli approfondimenti e dei momenti storici mi sono trovato dapprima a non apprezzare pienamente il d.lgs. 276/03 (più che altro per la terminologia poco ricercata e non già per il contenuto), fino a riconoscere l’importante tentativo di limitare l’abuso dei Co.Co.Co. mediante la riconduzione a progetti o programmi di lavoro o fasi di essi (perché va riconosciuto, il tentativo è nobile). 

Ma andiamo oltre. Normalmente sento colleghi parlare positivamente di questa riforma, di questa “flessibilizzazione” e devo condividirne alcuni aspetti: l’irrigidimento del mercato del lavoro ha chiesto, e in parte ottenuto, un processo di flessibilizzazione. Peccato però che anche qui ci sia stato l’abuso, mediante la creativa redazione di progetti che nascondono, in modo assolutamente evidente, attività di lavoro subordinato. Si pensi ad esempio a pedagogisti presso scuole con progetti legati al ragazzo seguito (progetto?), assistenti alla persona presso strutture sanitarie con progetti legati alla persona assistita (progetto?), panettieri col progetto legato alla singola commessa (programma di lavoro?), ecc. Dunque, da professioni intellettuali ad attività artigianali; dal progetto intellettuale al progetto edile (ah sì, ho sentito di contratti a progetti anche in edilizia per mansioni tipicamente dei lavoratori subordinati e non certo di collaboratori autonomi).

E l’autonomia del collaboratore dove finisce? Talvolta non ci si preoccupa nemmeno di lasciarla tra le righe, fissando nei contratti orari di lavoro fissi con disciplina del rapporto rigida e quindi facilmente riconoscibile come lavoro dipendente (se poi ci mettiamo il caso del Committente che irroga un provvedimenento disciplinare al Collaboratore, il gioco è fatto! E la causa vinta, naturalmente).

Contratti a progetto che a volte meriterebbero piuttosto la denominazione di lavoro dipendente a tempo determinato, cioè con contratto a termine, ossia il più grande abuso di cui ho avuto riscontro. Se la normativa vigente (d.lgs. 368/01) prevede la sussistenza di ragioni oggettive per la stipula di un contratto a termine, la prassi è quella di indicare ragioni fasulle o generiche nel contratto allo scopo di non “sposarsi” con un dipendente. Almeno allunghiamo il periodo di prova, no? Ed ecco allora che sempre più senso assumono le proposte di Ichino sull’allungamento del periodo di prova o, ancor meglio, la libera recedibilità dal rapporto di lavoro seppur in un sistema di garanzie e tutele sostanziali ma meno rigide. Perché è questo di cui il mercato potrebbe aver bisogno. Tanto diciamocelo: se un lavoratore lavora bene, non viene lasciato a casa. Ne sono convinto! Ne ho avuto conferma e visione in più aziende. E chi non lavora bene o non si comporta bene, non c’è disposto legale che tenga: e il rapporto finisce.

 
 
 

 

 

Ma non soffermiamoci su questi aspetti. Il mio obiettivo è un altro. Quando politici e professionisti parlano di questi contratti di lavoro flessibile, non sanno una cosa (spesso perché loro non hanno mai lavorato con un contratto simile o, peggio, non hanno mai nemmeno svolto attività di lavoro dipendente).

Il contratto di lavoro flessibile, comodo alle aziende, è scomodo ai lavoratori non soltanto per la data di scadenza, ma perché non permette l’accesso a soluzioni di mutuo fondiario, non permette la visione a lungo termine di progetti personali, non permette la realizzazione professionale, ecc.

A questo proposito vorrei aprire uno spazio dove ognuno possa raccontare il proprio pensiero o, se ne ha voglia, la propria esperienza. A voi la parola! In un prossimo post potrò rielaborare questo discorso tirando le somme proprio sui vostri commenti. Fatevi avanti!

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