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Paolo Crepet sotto "processo virtuale"

Naturalmente un "processo virtuale" quello che si è celebrato nell’aula del consiglio comunale di Tarquinia, un appuntamento annuale che accompagna la fase finale del “Premio Tarquinia Cardarelli”.

Come nelle passate edizioni, l’imputato del processo è un protagonista della cultura e della comunicazione del nostro paese. In precedenza era toccato, tra gli altri, a Enrico Mentana e ancora prima a Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo del Corriere della Sera.

Presidente del tribunale è il critico letterario Massimo Onofri, organizzatore del Premio, il quale introduce il caso presentando al pubblico Paolo Crepet, l’imputato eccellente oggi alla sbarra. In qualità di psichiatra, superesperto del disagio giovanile e analizzatore del rapporto giovani adulti, è ora “accusato” di essere uno dei protagonisti della categoria che ha contribuito maggiormente alla spettacolarizzazione in televisione dei fatti più noti e crudi di cronaca nera, vedi il caso CogneAvetrana e altri.

Il pubblico ministero di questo originale processo, che si conclude con il verdetto emesso dal pubblico presente in aula, è Massimo Raffaeli, filologo, critico letterario del Manifesto e dell’inserto Alias, collaboratore della Stampa e di TuttolibriE si capisce presto che non sarà facile per Luca Telese, avvocato della difesa, ribattere all’accusa ben argomentata di Raffaeli, che accusa psicologi e psichiatri di non poter esercitare in modo professionale il proprio mestiere negli studi di Porta a Porta o altri luoghi simili.

Si tratta di un ambiente in cui si valutano persone e circostanze, spesso lontane dalla realtà in cui si sono verificati i fatti, addirittura senza i diretti protagonisti. Tutto sembrerebbe quindi avvalorare il sospetto che questi medici specialisti vengano ospitati nelle trasmissioni non per svolgere la loro funzione, impossibile in quelle circostanze, quanto per assicurare un ruolo che garantisca al pubblico a casa l’indispensabile credibilità e convalida delle chiacchiere in studio.

La scritta in sovrimpressione sullo schermo, che qualifica la professione dell’ospite, serve esattamente a questo. Raffaeli chiede quindi la condanna in quanto l’imputato, pur consapevole del tranello, si presta al gioco, diventando così complice di un mondo che ha tolto dignità alla morte, e laddove sarebbe stato più opportuno il silenzio, si è alimentato il pettegolezzo.


La difesa di Telese punta sull’assenza di prove concrete sostenendo che l'apprezzamento e successo delle opere dell’imputato, sono da considerare prove a discarico. L’autorità perduta, l’ultima opera di Crepet, è un tipico esempio dell’impegno del medico che fornisce un’analisi spietata di una società che sta andando in pezzi, dai bambini maleducati ai ragazzi indifferenti, giovani che non cercano un lavoro e non studiano, genitori che non trovano un ruolo da svolgere, alla ricerca di un rapporto con i figli, spesso considerati, sbagliando, amici.  

Secondo Telese, Crepet deve essere assolto perché utilizza la televisione come uno strumento per divulgare, un modo per spiegare fatti che non potrebbero essere compresi in modo diverso da un pubblico eterogeneo e impreparato. A questo punto la parola passa a Paolo Crepet che cita Basaglia, il primo a intuire le potenzialità dei mezzi di informazione per far sapere alla gente cosa succedeva nei manicomi. Persino i grandi fotografi erano stati invitati ad entrare in quelle strutture, dimenticate sino ad allora, e fotografare tutto, dall’Ospedale psichiatrico di Volterra agli altri. Erano tempi in cui il sindaco di Roma era Luigi Petroselli e l’assessore alla cultura era Renato Nicolini, persone con cui si potevano fare tanti cambiamenti.

Ritornando al “capo d’imputazione”, Crepet rifiuta le generalizzazioni. Non è lui ad aver fatto chiacchiere o preparato teatrini su fatti di cronaca. Il suo compito è quello di parlare con la gente normale non con gli intellettuali. Una strada seguita anche da Pasolini quando aveva scritto del delitto del Circeo, stilando un atto di accusa verso la società borghese.

Crepet avverte la necessità di amplificare le contraddizioni della società e la cosa che conta, non è tanto la elitarietà del mezzo scelto quanto la diffusione di quel mezzo. Cita come esempio il settimanale Di più con cui può parlare ad un milione di lettori di fatti spesso censurati. Quindi da Crepet arriva un rifiuto della spettacolarizzazione dei fatti di cronaca, cose che sembrano riguardarlo, per lui è irrinunciabile far capire alla gente cosa è successo e perché.

Il Presidente Onofri, prima di passare alla votazione del pubblico, afferma un po’ solenne, modificando l’epitaffio sulla tomba di Sciascia “ce ne ricorderemo di questo pianeta” in ”Ce ne ricorderemo di questo processo”, alludendo alla difficoltà di pronunciarsi pro o contro psichiatri e psicologi in tv, coinvolti spesso in questa spettacolarizzazione selvaggia non voluta.

E il pubblico infatti si divide tra colpevolisti e innocentisti in una valutazione diversa su come vengono percepitii i fatti di Avetrana o di Perugia, passati nei tritacarne televisivi. Alla fine assoluzione per l’imputato Crepet e autografi sui libri. Sembra che in tv non cambierà nulla, gli autobus carichi di turisti continueranno ad andare ad Avetrana. Chissà cosa ci troveranno.

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