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Pane&Rose: la saggezza delle donne

Torino, Italia. Se non ora, quando? Se non le donne, chi?

Cronaca in differita di una domenica di dicembre. Undici, numero primo e già denso di significati. Una giornata bella e fredda. C’è un po’ di rabbia, un po’ di indignazione ma c’è soprattutto dell’altro. In una piazza tutt’altro che piena riesco ugualmente a respirare, a toccare quasi, stati d’animo e sentimenti meravigliosamente femminili. Dico meravigliosamente perché mai prima d’ora li avevo percepiti in modo così nitido, e ciò è motivo di sorpresa e di meraviglia.

È femminile la volontà: di guardare oltre, oltre al rancore alla rabbia e allo sconforto del momento. È femminile la capacità di generare e rigenerare continuamente la vita: in senso fisiologico e materiale, ma anche in senso più alto, immaginando soluzioni e riuscendo a vedere possibilità di nuovi inizi. È femminile l’arte, nonostante i numeri degli artisti noti siano nettamente maschili (e maschilisti). È femminile, io credo, anche la capacità di riconoscere la bellezza, di avvicinare il mondo attraverso una conoscenza estetica e non solo analitica.

Infine, ciò che di migliore vi è stato in quella piazza in rosa, sono state la gratitudine per le donne che hanno preceduto le nostre lotte, e la consapevolezza di poterle vincere solamente insieme: donne e uomini, cittadini tutti. E poi un canto, nato per una lotta vecchia di cent’anni e lontana quanto l’America. Bread and Roses, Pane e Rose: questo chiesero le donne allora, con una saggezza che ha ancora molto da insegnarci. Pane e rose, perché “anche l’anima può essere affamata come il corpo”. Perché se si chiede giustizia la si chiede totalmente, per il corpo e per l’anima. Non solo lavoro e soldi sufficienti per soddisfare i bisogni fondamentali; ma condizioni accettabili, per poter avere tempo, e sensi non troppo stanchi, per fermarsi a godere della bellezza e del profumo di una rosa. E sorridere.

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