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Pakistan, annullato il 78 per cento delle condanne a morte

Secondo un rapporto dell’organizzazione non governativa britannica “Reprieve”, che ha preso in esame 310 condanne a morte emesse in Pakistan dal 2010 al 2018, nel 78 per cento dei casi il verdetto è stato annullato dalla Corte suprema.

Oltre tre condanne a morte su quattro, in altre parole, non hanno ricevuto il via libera: la Corte suprema ha ordinato un nuovo processo, commutato la condanna o addirittura prosciolto il condannato.

Tra i motivi che hanno spinto la Corte suprema pachistana ad annullare le condanne a morte, si citano testimonianze inverosimili, confessioni involontarie o ritrattate, prove insufficienti o manipolate e l’assenza di un movente.

Ce n’è anche per le indagini della polizia, giudicate in molti casi non affidabili a causa di prove di colpevolezza dubbie, manipolate o addirittura fabbricate.

Meno male che c’è la Corte suprema, si potrebbe dire. Ma che dire di uno stato che ha il braccio della morte più popolato al mondo (8000 detenuti in attesa di esecuzione), che dalla fine del 2014 ha eseguito almeno 418 condanne a morte e che continua a emetterne sapendo che tre volte su quattro si sarà sbagliato?

Questo articolo è stato pubblicato qui

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