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Ottobre 1974 - ottobre 2014: 40 anni di Club terapeutici in Ticino

Nell’ambito dell’approccio organizzativo e scientifico gli anni recenti hanno probabilmente risentito dei cambiamenti economici e politici facendo perdere visibilità alla questione della psichiatria che sembra essersi rinchiusa su se stessa. Le preoccupazioni sembrano concentrarsi essenzialmente sugli aspetti tecnici ed amministrativi, si discute degli equilibri fra pubblico e privato, del fabbisogno di posti letto, della dotazione di personale, ma gli aspetti concettuali di fondo non suscitano alcun dibattito.

 

Sembra quasi che la copertura legislativa diventi un comodo paravento per l’inattività concettuale, mentre la psichiatria non dovrebbe mai trovare soluzioni definitive, ma rivedere continuamente i suoi presupposti, i suoi rapporti con il mondo sociale, il suo concreto modo di operare.

In questo contesto riveste particolare interesse l’esperienza, che compie questo mese quarant’anni, realizzata dal Club ’74 in Ticino nell’ambito della collaborazione con l’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale.

All’inizio degli anni settanta si costituì infatti nel nostro Cantone, all’allora Ospedale Neuropsichiatrico Cantonale di Mendrisio, un primo nucleo di attività socio-ergoterapiche, sotto la guida di Ettore Pellandini, secondo il modello della Psicoterapia Istituzionale francese che, con la stretta collaborazione degli ospiti e degli operatori, sfocerà nell’ottobre del 1974 nella costituzione di un Club Terapeutico dei Pazienti, il Club ’74. Dal punto di vista teorico il Club è un concetto di lavoro che fa riferimento all’Altro sociale, un luogo di incontro, un’istanza reale che tramite uno statuto pubblico permette di proporre, organizzare e realizzare diversi momenti e attività inserite nel circuito della parola, di soggettivazione dell’altro, troppo spesso considerato solo “oggetto bisognoso di cure”.

In questo contesto l’Assemblea dei pazienti viene riconosciuta quale istanza socioterapeutica da uno statuto che prevede pure un Comitato e un Segretariato. Il Segretariato rappresenta l’organo operativo i cui compiti sono di coordinare le attività socioculturali, di redigere il giornale, di organizzare l’accoglienza dei nuovi ospiti, di gestire un proprio budget e di sovvenzionare le attività che mensilmente ogni unità terapeutica-riabilitativa (UTR) organizza.

I concetti di lavoro che fanno riferimento all'Altro sociale e ai luoghi di incontro non possono che svilupparsi in un ambiente che favorisca la relazione e che diventi esso stesso istanza terapeutica privilegiata, assumendo la connotazione di spazio terapeutico per il reinserimento, e per la presa a carico, dei vari aspetti sociali e relazionali da parte dei diversi operatori coinvolti. Le varie categorie di utenti con cui l'operatore sociale o sanitario si trova sempre più confrontato avvengono in situazioni di relazione complessa per la quale è necessario progettare e attivare programmi diversificati il cui obiettivo principale sia il ripristino e la riabilitazione della parola.

Interlocutore privilegiato, il Club è così nelle condizioni di creare un circuito di relazione che rende il paziente meno folle in quanto finalmente “soggetto” e quindi non più impotente di fronte alle differenti forme di alienazione sociale che provocano effetti di estraniazione e di esclusione. C’è un concetto fondamentale che Tosquelles, il padre della Scuola di psicoterapia istituzionale, ha ripetutamente ribadito nei suoi scritti. Ci sono due assi fondamentali su cui si basa questo movimento: l’asse sociologico attraverso tutta l’analisi del contesto ambientale, le situazioni culturali,la situazione socioeconomica dove si sviluppa l’esperienza da un lato, e dall’altro lato l’asse psicoanalitico, quindi con tutto quello che partendo da Freud, Lacan, Bion, Winnicot, può essere sviluppato sul piano terapeutico.

Che il club debba essere adatto a coloro che sono destinati a frequentarlo sembra tanto più evidente, in quanto sono loro che gli daranno la sua fisionomia; quindi, innanzitutto, se vogliamo parlarne lo possiamo considerare quale luogo di incontro. Luogo di incontro nato in un primo tempo all’interno degli ospedali psichiatrici che erano luoghi dove in pratica la parola del paziente non esisteva, o esisteva in modo del tutto formale, ma non esisteva soprattutto il diritto alla parola. Storicamente, e questo ancora oggi lo si ritrova in alcuni testi legislativi, il malato mentale è stato considerato la persona incapace di intendere e di volere

Il Club è quindi soprattutto un concetto che ha queste due caratteristiche fondamentali: da una parte creare degli spazi di incontro e dall’altra parte dare, ridare, e oggi direi conservare, il diritto alla parola di una categoria di soggetti, di persone, che per lungo tempo per ragioni storiche e per ragioni sociali sono spesso stati emarginati e quindi avevano perso questo diritto. Struttura per sua natura aperta il Club garantisce la libertà di relazioni, la nascita delle possibilità, dell'originalità e della spontaneità delle iniziative.

Inoltre complessificando così la realtà, anche attraverso la prassi burocratica creata ad hoc, realizza l'istituzionalizzazione di rapporti complementari favorendo le referenze transferenziali e istituendo la dimensione gruppale tra tutte le figure dell'istituzione, pazienti compresi. In questo contesto il ruolo dell'operatore si esprime attraverso la coordinazione delle proposte del Comitato dei Pazienti delle sue commissioni, delle riunioni intersettoriali, delle assemblee generali e del suo giornale Insieme, intervenendo sull' "ambiente istituzione", comune a operatori, pazienti e visitatori, che rappresenta perciò uno dei punti focali per un recupero di una qualità di vita relazionale e affettiva.

Il Club è come un’istanza di mediazione tra il paziente e l’istituzione, il terzo mediatore tra curante e curato, è un organismo associativo dotato di autonomia decisionale che organizza e gestisce una serie di attività all’interno dell’istituzione. Costruire un club terapeutico significa che ognuno vi partecipi con il proprio interesse e che ognuno prenda la sua responsabilità nei suoi confronti.

Riconoscere le differenze, riproporre una ridistribuzione delle opportunità, circoscrivere le cause dei disturbi, riequilibrare gli effetti del disagio, sono compiti che la psichiatria deve affrontare tenendo presente che le risposte univoche e pragmatiche allargano spesso il fossato tra il "normale" e il "diverso" producendo effetti di alienazione e separazione e in questo senso il Club ’74 ha ancora molto da fare quale strumento privilegiato nella lotta al pregiudizio di irresponsabilità dei malati.

Andrea Mazzoleni, Socioterapeuta

ottobre 2014

Foto: Club '74/Flickr

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