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Ospizio "Italia"

 

Che l’età media degli italiani sia salita, non può che far piacere ad ognuno di noi. L’aspettativa di vita aumentata, insieme a cure farmacologiche che in molti casi ne migliorano anche la qualità, è sicuramente uno dei must dei nostri tempi.

 

Solo una manciatina di anni fa, si moriva non solo molto prima ma anche in condizioni organiche peggiori, oltre ad un aspetto fisico molto più decadente rispetto agli attuali anziani che in molti casi, fanno ombra a molti giovani che lo sono solo sotto il profilo anagrafico.

Bene. Una buona notizia. Ma che diviene cattiva, nel momento in cui – come spesso accade – al rialzarsi dell’età media nazionale, non corrispondono poi soluzioni a sostegno di una società che, numeri alla mano, denota appunto una comunità anziana e spesso messa nella non possibilità di accedere alle cure e a quelle agevolazioni che farebbero degli anziani un punto di forza della nostra nazione e non un peso da smantellare con metodi a volte simili a quelli usati per perpetrare un genocidio.

Sono molti i criteri che, di fatto, non sostengono una società mutata come la nostra. Criteri che, se ripensati, farebbero della nostra nazione un Paese teso ad esaltare questo cambiamento sociale che sfocia poi anche nei settori economici e politici. Intanto, un po’ di cifre, per comprendere meglio il fenomeno.

Gli ultra 65enni in Italia sono circa 12,3 mln (dati Istat 2011) e circa 16.000 di essi sono ultracentenari. C’è poi un’ulteriore sotto classificazione rappresentata da oltre 2mln di anziani non autosufficienti.

A questo fenomeno in costante crescita, si è abbinato un secondo fenomeno: quello della riconversione di strutture sanitarie private in RSA, le Residenze Sanitarie Assistenziali, che oggi – nel settore privato dedicato all’assistenza sanitaria – rappresenta un vero business. I presidi residenziali socio -assistenziali e socio sanitari, dedicati alla terza età, sono circa 13.500 per un totale di circa 430.000 posti letto occupati per la quasi totalità.

Come sappiamo però, questi presidi non possono essere sempre considerati riabilitativi – come prevedono le Leggi in vigore attualmente - poiché in molti casi al loro interno il personale si limita a quell’assistenza minima che viene a volte erogata persino da personale non autorizzato ed è anche abitudine comune non garantire la presenza di un medico geriatra che – sempre norme in vigore alla mano – dovrebbero invece essere presenti nelle strutture da un minimo di quattro ad un massimo di sei ore al giorno. Da qui, le molte denunce evidenziate anche attraverso la Commissione Marino che ha portato alla luce molti casi limite di maltrattamenti o errori sanitari altrimenti evitabili.

Al di fuori delle strutture dedicate agli anziani non autosufficienti o di coloro che, senza più alcun parente e a volte persino senza un alloggio stabile, sono costretti al ricovero, restano tutti quegli anziani che riescono a rimanere a casa propria, magari col supporto di una badante o di un aiuto domestico.

In questo ultimo caso, oltre a quei fortunati cittadini anziani ancora in grado di badare a se stessi autonomamente, bisogna pensare a tutti coloro che – pur non essendo autosufficienti – rimangono a casa propria o si trasferiscono a casa di un parente prossimo.

Questo “esercito” di cittadini e contribuenti, genera quotidianamente un sistema di entrate e uscite, dato dal fatto che da un lato essi sono contribuenti diretti e dall’altro vengono assegnati alle voci di spesa nei bilanci dello Stato. La voce di spesa dedicata agli anziani, parte dalle pensioni erogate mensilmente a tutti quei servizi socio-assistenziali cui l’anziano ha normalmente necessità di accedere.

Conosciamo le difficoltà di accesso ai servizi socio sanitari, sappiamo come in molte regioni esse restino addirittura inaccessibili a molti, ma non si comprende realmente la ragione di queste difficoltà di accesso, se si pensa che – se fossimo nel solito mondo perfetto – proprio in virtù del fatto che l’età media in Italia è aumentata ed è in aumento, parallelamente si doveva e si dovrebbe strutturare un sistema di sostegno agli ultra 65enni in maniera più lineare, rendendo semmai più facilmente accessibili quei servizi che, una volta messi a regime, metterebbero gli anziani nella condizione di vivere di più ma meglio, e lo Stato nell’effettiva condizione di risparmiare parecchio denaro.

Un esempio: un anziano autosufficiente, che soffra di patologie di vario genere date dall’età, se ha difficoltà ad accedere ai servizi assistenziali pubblici, si ammalerà il doppio delle volte, costringendosi ad un numero più alto di ricoveri e cure prolungate che costeranno alla comunità molto più che se avesse potuto accedere agevolmente ed in tempi brevi agli esami diagnostici o a progetti mirati di assistenza.

Quello stesso anziano, se messo nella condizione di vivere la terza età in maniera costruttiva e non distruttiva, potrebbe ancora essere utile alla società magari reinserendolo in programmi di volontariato, provocando così un doppio effetto benefico: quello di generare un flusso assistenziale gratuito e quello di mettere l’anziano nella condizione psicologica di essere ancora un essere umano proattivo anziché perdutamente destinato all’isolamento progressivo, con tutto ciò che questa condizione porta con sé.

Non siamo nel mondo perfetto purtroppo, gli anziani vengono individuati come una sorta di granello nell’ingranaggio pseudo-perfetto degli adulti attivi, che attualmente sono meno attivi di molti anziani che supportano nella realtà dei fatti, molti adulti caduti in disgrazia, provocando quell’effetto a catena tanto caro al sistema che nega il welfare accollandolo impropriamente e nei modi più bizzarri a quel nuovo welfare familiare che sta attualmente sostenendo gran parte della popolazione.

Così, se da un lato le istituzioni non sostengono gli anziani in un percorso di riabilitazione sociale e sanitaria, dall’altro imponngono loro la grande missione di sostenitori sociali dei più giovani, che a loro volta, se lavorano, versano un contributo alla pensione dei loro congiunti anziani e non a se stessi. Un perverso controsenso.

Ci ritroviamo quindi a tutti gli effetti costretti a vivere in un Paese dove la vecchiaia invece di essere riconsiderata e ripensata per un collocamento che renda questa condizione un punto di forza, minaccia l’anziano sotto ogni punto di vista, rendendo di fatto l’intera comunità vittima di un errore: vivere in un Paese di anziani dove gli anziani vengono spremuti, costretti a sostituirsi al welfare e poi non considerati nel momento in cui si parla di assistenza socio sanitaria.

Un enorme ospizio dai contorni inquietanti: non si capisce più chi è il sostenuto socialmente parlando e chi è da sostenere. Il classico caos allarmante, in cui ogni criterio di raziocinio viene negato. Perché si sa, nel caos, tutto il peggio che possa venirci in mente, è reso possibile.

Se fossimo nel mondo perfetto, molti anziani ancora in gamba potrebbero persino rimettersi in gioco ad esempio organizzandosi in gruppi per mantenere efficienti i quartieri, cacciando fuori ognuno le proprie pregresse abilità lavorative. Avremmo ottimi carpentieri, elettricisti, idraulici… Tutti al servizio della propria comunità. A costo zero. Pensate quanto porterebbe in valore umano, sociale ed economico un progetto del genere. Ma si sa, siamo in Italia, dove il sistema preferisce oltraggiare la parte che sostiene il paese – gli anziani – e rendere impossibile mettere in atto qualsiasi progetto sociale che non rientri nei parametri delle normative in vigore, preferendo far morire apaticamente i cittadini, il sistema paese, la comunità intera.
 
Gli unici anziani che vengono sostenuti, premiati, avvantaggiati, nel nostro Paese, sono coloro che fanno parte di quella sezione umana distante anni luce dal cosidetto "cittadino comune". Certi "palazzi" ne sono zeppi. Altri anziani, altro che ospizi... Mi sfugge sempre il motivo ultimo di tutto questo. Un limite generato dentro di me dal troppo raziocinio, probabilmente…
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