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Ordinaria amministrazione criminale: “Quelli sono stati gli ultimi voti truccati…”

L'ingerenza della mafia tirrenica nelle amministrative del maggio 2007 in provincia di Messina

La mafia non è fatta solamente di «ordinaria amministrazione criminale», ma anche e soprattutto di rapporti con il potere. Mafia e politica si sono sempre cercate e “annusate”, pronte l’una a servirsi e sfruttare l’altra per i propri tornaconti.

Complicità politiche che le indagini della magistratura continuano a fare emergere, mettendo in luce come, sempre più raramente, i boss si lanciano nella competizione elettorale per una scelta ideologica. Le leve che li spingono sono ben altre: gli esponenti dell'organizzazione criminale puntano a creare solidi canali di collegamento istituzionale per controllare l'utilizzo delle risorse pubbliche, a tal fine stipulano patti occulti in un'ottica di scambio voti-favori con soggetti esterni all'organizzazione. Fenomeno che interessa sia le grandi realtà, che i piccoli centri, come quello di Furnari, nel messinese.

Quel pactum sceleris

La vicenda è quella del processo Torrente, che si sta dibattendo davanti al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto.

Secondo l'accusa – rappresentata dal sostituto della Dda Angelo Cavallo – in occasione della campagna elettorale per le elezioni amministrative del maggio 2007, il candidato sindaco Salvatore Lopes avrebbe ottenuto l'appoggio della cosca dei mazzarroti, una delle articolazioni della famiglia mafiosa barcellonese, riconducibile a Cosa nostra siciliana.

L'opaco “interesse” manifestato dai mazzarroti – in particolare dal boss emergente Tindaro Calabrese – per quelle elezioni era già emerso nell'ambito dell'operazione “Vivaio” dell'aprile del 2008. L’imponente mole delle intercettazioni telefoniche e ambientali di quell'indagine aveva evidenziato «il particolare attivismo» del Calabrese proprio nella competizione svoltasi a Furnari.

«Nelle elezioni di Furnari – si leggeva nell'ordinanza del gip Alfredo SicuroCalabrese Tindaro ha appoggiato la lista capeggiata da Salvatore Lopes, contrapposta a quella di Mario Foti nella quale era candidato anche Bonanno Santi» (imprenditore furnarese – recentemente condannato in primo grado a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa nel processo “Zefiro” – ritenuto dagli inquirenti “socio” occulto dell’ex capo dei mazzaroti Carmelo Bisognano, con il quale avrebbe intessuto intensi rapporti di lavoro e di amicizia. Rapporti intrattenuti, dopo l’arresto di Bisognano, con il nuovo capo Tindaro Calabrese).

Nell'ordinanza si leggeva ancora di come Calabrese – intercettato nella sua auto con il sodale Leonardo Arcidiacono – commentava «l'esito delle elezioni favorevole per la lista di Lopes da loro sostenuta. In questo contesto Calabrese riferiva all'amico di essersi rivolto a tale N.P., vicino di casa di Bonanno, il quale era apertamente schierato con la lista di Foti… Calabrese aveva invitato P. a non votare prima di parlare con lui… quando si era incontrato con il predetto gli aveva “suggerito” di dirottare i dodici voti che controllava sulla lista di Lopes, salvaguardando il proprio voto per Bonanno… tale sollecitazione non era stata accolta di buon grado da P. il quale, solo dopo essere stato insultato da Calabrese, si era risolto ad assecondarlo».

Il gip riporta come «tali voti, a detta di Calabrese, erano risultati decisivi per come egli si era premurato di far sapere a Lopes Giulio, fratello del sindaco, “perché dodici voti… quelli sono i voti con i quali abbiamo vinto… quelli sono stati gli ultimi voti truccati… e infatti io gliel'ho detto a Giulio”».

Sempre Calabrese in un'altra intercettazione vantava il proprio attivismo.

Lo scioglimento per mafia

«La lista Lopes – concludeva il gip – ha alla fine prevalso su quella di Foti per diciassette voti, giustificando le affermazioni di Calabrese e Arcidiacono circa la decisività del loro contributo alla causa del neo sindaco».

A quell'indagine seguirono prima l'invio da parte del prefetto di Messina di una commissione di accesso agli atti amministrativi del Comune di Furnari, la cui relazione conclusiva portò – nel dicembre 2009 – allo scioglimento degli organi amministrativi per infiltrazione mafiosa nella gestione dell'ente, e poi l'operazione antimafia “Torrente” nel novembre dell'anno successivo nel corso della quale venne arrestato l'ex sindaco Salvatore Lopes che, secondo l’accusa, una volta eletto avrebbe subito ricambiato il favore piegando «scientemente l’azione amministrativa – come scriveva il gip Micali nella sua ordinanza – della cui direzione era stato investito al precipuo fine di saldare il debito assunto» concedendo appalti per lavori pubblici e concessioni per l’apertura di attività commerciali. Il “patto” prevedeva la spartizione tra le imprese “amiche” delle somme urgenze affidate dopo l’alluvione del dicembre 2008 nei comuni di Mazzarrà Sant’Andrea e Furnari.

Il processo Torrente

Nel 2011 la Dda chiede il rinvio a giudizio e il processo – iniziato il 12 gennaio 2012 – vede imputati oltre all'ex sindaco Lopes che, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, ha chiesto il giudizio immediato; il boss Calabrese; l’imprenditore turistico di Portorosa Leonardo Arcidiacono; il guardiacaccia Sebastiano Placido Geraci; l’imprenditore edile Roberto Munafò; il boss, oggi collaboratore di giustizia, Carmelo Bisognano e la sorella Vincenza. Munafò avrebbe affidato i lavori pubblici che si era aggiudicato proprio all’impresa dei fratelli Bisognano.

Nel corso delle ultime udienze sono stati ascoltati il vicequestore Rodolfo Savio, componente di quella commissione che, rispondendo alle domande del dottor Cavallo, ha riassunto le tappe degli accertamenti effettuati – e riscontrati negli atti – dalla commissione, in particolare il positivo esito dell’intervento di un appartenente al gruppo dei mazzarroti per sostenere l’elezione del sindaco di Furnari troverebbe conferma nell’assegnazione dei lavori di somma urgenza conseguenti agli eventi alluvionali verificatisi nel territorio del comune di Furnari nel dicembre 2008 e nel gennaio 2009.

Al riguardo è stato rilevato che, in tale circostanza, il sindaco aveva scelto direttamente le ditte che dovevano effettuare i lavori di ripristino della viabilità e delle condizioni di sicurezza, gran parte dei quali furono eseguiti da imprese che presentano elementi di collegamento con soggetti coinvolti nell’operazione “Vivaio” o comunque con precedenti anche per associazione mafiosa, e che l’assegnazione degli incarichi in alcuni casi è avvenuta senza tener conto dell’iscrizione alla Camera di commercio e del tipo di attività richiesta.

Sono stati poi ascoltati i collaboratori di giustizia Gullo, Truscello e Bisognano che, tra le altre dichiarazioni rese, ha raccontato anche di un incontro particolare avvenuto il 13 febbraio del 2009 (in quel periodo Bisognano era in libertà e non in carcere, ndr) con l'allora sindaco Lopes. I due s'incontrarono per caso a Furnari, e parlarono a lungo.

Il sindaco Lopes aveva confidato di essersi recato in mattinata a Messina dove aveva ricevuto notizie ben poco confortanti circa la possibilità di dare corso a nuovi lavori attraverso lo strumento delle ordinanze di somma urgenza («eh non ne possiamo fare più… oggi ho parlato, oggi sono stato a Messina»). Nell'occasione, però Bisognano sembrava piuttosto mosso da ben altra urgenza.

«Io – racconta Bisognano –, una volta appurate tutte le vicissitudini circa le elezioni del 2007, mi innervosii e cercai di chiarire la questione con lui: volevo far capire al sindaco che lui, comportandosi in quel modo, non aveva ben capito chi fosse il vero referente dell'organizzazione mafiosa sul territorio, nel senso che ero io e non Calabrese Tindaro ad esserlo. Quando io uso l'espressione “non dobbiamo fare confusione con i ruoli”, rammentavo al sindaco che l'unico referente dell'organizzazione mafiosa sul territorio ero io, e non Calabrese Tindaro. Quest'ultimo, infatti, durante la mia detenzione, aveva soltanto assunto la veste di “reggente” e non poteva arrogarsi un'autorità che non gli competeva. Io “insultai” il sindaco che si era sottoposto a quel tipo di mercificazione con calabrese Tindaro, consentendo che costui lo sostenesse in modo così spudorato».

I due parlarono di un “impegno” in relazione ad alcuni lavori pubblici, concetto spiegato dal Bisognano: «Quando il sindaco mi rivolse la frase “comunque se passa tutti a te pensiamo, per ora siamo al…”, costui si riferiva al fatto che qualora in futuro ci fossero stati degli altri lavori da assegnare direttamente con la procedura della “somma urgenza”, a causa dell'alluvione che si era verificata in quel periodo, era ben disponibile a tenermi in considerazione, al contempo, egli riconosceva il mio ruolo di capo dell'organizzazione sul territorio, al posto di Calabrese Tindaro».

Dopo la sospensione feriale (dal 1 agosto al 15 settembre) il processo riprenderà con l'udienza del 22 ottobre 2015 per l'audizione del perito della corte sulle trascrizioni delle intercettazioni e l'esame dei testi delle difese.

(Foto: Michele Amante/Flickr)

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