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Omosessualità, adozione e famiglia | L’uguaglianza della differenza, uno studio

Un nuovo studio sulle adozioni da parte di coppie omosessuali.

di Gianluca Liva

Lo studio ha coinvolto 106 famiglie, di varia estrazione e composizione, di cui 27 formate da genitori lesbiche, 29 da genitori gay e 50 da genitori eterosessuali. Tutte le famiglie sono state selezionate attraverso cinque agenzie private d’adozione che operano regolarmente negli Stati Uniti.

I dati sono stati raccolti in due momenti distinti, entrambi ritenuti da un’ampia letteratura eventi fondamentali dello sviluppo infantile: il primo (Wave 1) quando il figlio o la figlia adottiva si trovava in età prescolare, il secondo (Wave 2) cinque anni dopo, con l’inizio delle scuole elementari. La raccolta dati è avvenuta tramite la compilazione da parte dei genitori e degli insegnanti di questionari volti a verificare se i cambiamenti nello sviluppo comportamentale potessero essere ricondotti alla composizione della famiglia e quali fattori osservati durante la prima analisi avrebbero potuto predire situazioni riscontrate al momento della seconda analisi.

I questionari sono stati preparati seguendo le più scrupolose linee guida e si basano su indicatori standardizzati, ampiamente utilizzati e che già si sono dimostrati ottimi rivelatori del grado di “salute” di un nucleo famigliare. Nel caso specifico la dottoressa Farr ha analizzato lo sviluppo comportamentale dei bambini, lo stress genitoriale, lo sviluppo del rapporto di coppia tra genitori e il buon funzionamento della famiglia.

I risultati sono apparsi subito chiari. Lo sviluppo del comportamento non è influenzato dall’orientamento sessuale dei genitori. In più gli elementi di stress riscontrati durante la prima analisi si sono dimostrati predittivi di successivi problemi comportamentali in egual modo nelle famiglie omogenitoriali e eterogenitoriali.

Studi di questo tipo non sono una novità. Lo è il metodo adottato dalla dottoressa Rachel H. Farr, che, intervistata da OggiScienza, ha chiarito alcuni dubbi e illustrato il suo metodo. Le risposte date ai questionari non potrebbero essere state influenzate da molteplici fattori?

«Con i self-report avere dei bias è sempre una possibilità. Tuttavia abbiamo inserito volutamente una serie di valutazioni per migliorare il rigore dei nostri risultati. Per esempio abbiamo i dati delle insegnanti dei bambini e delle bambine in questione che si sono aggiunti ai report dei genitori. A ciò si sommano i dati forniti dagli stessi bambini e dall’osservazione diretta delle interazioni famigliari. Dall’incrocio sistematico di queste fonti otteniamo un metodo di valutazione che aiuta a contrastare qualsiasi limitazione del questionario auto-compilato. In aggiunta i nostri risultati appaiono rigorosi anche alla luce del modo con cui abbiamo reclutato il nostro campione, in collaborazione con cinque diverse agenzie d’adozione».

La ricerca del team coordinato dalla dottoressa Farr è unica sotto molti aspetti. «Innanzitutto abbiamo comparato simultaneamente tre gruppi di genitori – madri lesbiche, padri gay, genitori eterosessuali. La famiglia composta da due padri non è mai stata sufficientemente rappresentata nei lavori precedenti.», spiega Rachel Farr, «In secondo luogo il nostro è uno studio longitudinale e coinvolge un numero relativamente grande di famiglie che sono state seguite per lungo tempo. Si tratta, infine, di famiglie adottive accertate. Nessuno dei risultati può essere spiegato con una connessione biologica tra genitori e figli».

La ricerca evidenzia anche un aspetto poco indagato e che potrebbe essere una delle principali fonti di stress per le famiglie omogenitoriali. Si tratta della discriminazione e del clima di disapprovazione nel quale ancora oggi alcune persone omosessuali che decidono di avere una famiglia sono costrette a vivere. La discriminazione spesso non colpisce direttamente i genitori ma il bambino adottato, accusato di crescere in una famiglia innaturale. Alcuni gruppi di ricerca si sono mossi in questa direzione (Bos & Gartell, 2010; Crouch, Waters, McNair, & Powell, 2015; Welsh 2010) ma mancano ancora studi ad ampio raggio.

È un grave problema ma, secondo la dottoressa Farr, negli Stati Uniti le cose stanno cambiando. «Il demografo Gary Gates ha dichiarato nel 2015 che l’opinione degli americani è diventata crescentemente favorevole all’adozione da parte di gay e lesbiche. Nonostante ciò sono ancora in moltissimi ad avere un giudizio negativo. La discriminazione si riflette sull’attuale legislazione di alcuni stati. Per esempio in Missisippi è entrato in vigore a luglio 2016 l’House Bill 1523 che fa leva sul concetto di libertà religiosa. Secondo questa legge è permessa la discriminazione contro gay e lesbiche sulla base delle proprie convinzioni religiose o morali». Una situazione sfaccettata, riflesso del sistema di governo federale statunitense. Infatti, prosegue Rachel Farr «negli ultimi decenni il dibattito legale e le decisioni che hanno riguardato l’adozione di bambini da parte di adulti si è sviluppato molto più a livello statale che federale. Per esempio lo stato della Florida ha vietato l’adozione fino al 2010. Altri stati hanno avuto leggi variabili o politiche che hanno limitato le possibilità d’adozione. Solo di recente ci sono state parecchie conquiste legislative a livello federale. Penso all’eguaglianza dei matrimoni tra le persone dello stesso sesso, decisa dalla Corte Suprema nel giugno del 2015 e la legislazione federale che supporta il riconoscimento delle adozioni, entrata in vigore nel marzo del 2016».

I primi studi sulle famiglie composte da genitori risalgono a qualche decenio fa (Osman, 1972) e una rassegna di tutta la letteratura scientifica in merito è stata redatta da Jimi Adams, Ryan Light nel 2015: la comunità scientifica è da molti anni d’accordo nell’affermare che non esistono differenze tra figli di genitori omosessuali e figli di genitori eterosessuali.

Un verdetto unanime? Quasi, se teniamo conto di una memorabile eccezione. Un articolo del 2012 di Mark Regnerus, professore di sociologia all’Università del Texas, presentò i risultati frutto del “più esteso lavoro di ricerca condotto sui figli di genitori gay”. I risultati evidenziavano come la grande maggioranza dei figli cresciuti da genitori gay presentasse gravi problemi comportamentali. Le critiche non tardarono ad arrivare e miravano soprattutto al metodo utilizzato da Regnerus per selezionare il campione per lo studio. Il ricercatore coinvolse quasi 3.000 persone, chiedendo loro se il padre o la madre avevano avuto un qualsiasi rapporto omosessuale, di ogni natura e durata. In caso affermativo l’intervistato veniva catalogato come “figlio di genitori gay”. La ricerca divenne la “prova scientifica” in mano a tutte le realtà che si oppongono alle adozioni gay. Peccato che fosse «metodologicamente del tutto imperfetta al punto che il giornale che la pubblicò prese le distanze dall’autore. In più i risultati sono stati prima smentiti dalla comunità accademica e poi distrutti nelle aule di tribunale», precisa Rachel Farr, «più di 30 anni di ricerca mostrano che non c’è alcuna evidenza nelle affermazioni di Regnerus.

Al contrario, la letteratura ha consistentemente dimostrato che attraverso età e contesti di sviluppo diversi i bambini con genitori dello stesso sesso crescono in pari con i figli di genitori eterosessuali. Una tale evidenza empirica può aiutare a muovere il dibattito pubblico in avanti e a informare i decisori politici dato che la genitorialità gay e lesbica rimane una questione controversa sia nel nostro paese che in molti altri posti nel mondo. Le ricerche longitudinali sullo sviluppo dei bambini e sulle relazioni famigliare sono cruciali per informare la popolazione e per affrontare il dibattito».

Il lavoro di Rachel Farr e del suo team non è ancora concluso.

«Pianifichiamo di continuare a seguire queste famiglie nel tempo. La prossima raccolta dati avverrà quando i bambini e le bambine adottate saranno adolescenti. Nel frattempo, nel mio FAD (Families, Adoption, and Diversity) Lab all’Università del Kentucky e in collaborazione con i colleghi della University of Massachusetts Amherst e della University of Virginia, stiamo attivamente lavorando per pubblicare una varietà di altre scoperte che sono emerse da questo progetto longitudinale. In estrema sintesi: ciò che succede nella famiglia conta molto di più della sua struttura. Al momento, alla luce dei risultati, il messaggio che possiamo dare è che tutte le famiglie dovrebbero focalizzarsi nel creare un ambiente famigliare sano e tranquillo dove ci sia una relazione amorevole sia con i propri bambini che con il proprio partner. Più facile a dirsi che a farsi!».

@gianlucaliva

Leggi anche: Gli adolescenti e l’omosessualità

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.

 

Crediti immagine: Stephan Hochhaus, Flickr

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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