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Ogni cosa è illuminata, di Liev Schreiber

E torneranno i prati, come il titolo di un film di Ermanno Olmi, così sono tornati i prati in un paesino dell’Ucraina che non esiste più. I suoi poco più di mille abitanti ebrei vennero trucidati dai tedeschi nella seconda guerra mondiale, del paesino non resta niente e nessuno l’ha mai sentito nominare, solo un cerchio di sassi in riva al fiume, in memoria degli scomparsi.

A questo paesino si era diretto Jonathan (il romanzo da cui il film è tratto è di Jonathan Safran Foer) partendo dall’America: collezionava ogni cosa riguardante persone, la sua famiglia. Il viaggio ha origine da una foto di suo nonno ebreo in Ucraina, da dove partì per gli Usa prima della guerra, con l’intenzione di portarvi la moglie Augustine poco tempo dopo. Ad accompagnare questo “turista pagante” nel paesino scomparso dell’Ucraina c’è la strana coppia – anch’essa ebrea – di un suo coetaneo, Alex, e il nonno, che si proclama cieco ma che è sordo ,originari di Odessa: che differenza di vite tra le due nazionalità, proprio un confronto tra due mondi, eppure provenienti dallo stesso ceppo. Jonathan è nato negli Usa solo per caso.

E’ un viaggio della memoria anche per i due ucraini. Il nonno guida una vecchia Trabant familiare – è incredibile come l’anziano possa aver guidato così a lungo - ripercorre i luoghi della tragedia dove si era trovato e dov’era scampato per caso alla fucilazione. E’ un film sul passato, sempre attuale a rischiarare il presente, a far capire le proprie origini. Alex scriverà a Jonathan, tornato in America dopo questo viaggio, di essere stato felice di aver condiviso con lui, sconosciuto fino a poco tempo prima, qualcosa per cui vale la pena esistere, un ricordo comune dei propri avi.

Film ricco di parole anche esilaranti, soprattutto all’inizio, quando le due “civiltà” si confrontano e cominciano a conoscersi, derivanti da un linguaggio che il sedicente ”interprete” Alex, innamorato di tutto quanto è americano, usa per l’occasione. Ma che dopo volge a essenziale, scarno di parole, soprattutto quando il luogo che cercano finalmente si avvicina e ogni cosa diventa illuminata. Ricco di un’ottima fotografia, di particolari e di “trovate”, come la gallina che passeggia su un davanzale o la luna che nel viaggio il nonno guarda spesso (e si capirà più tardi perché, o cosa gli ricorda), o il segnale arrugginito e bucato dagli spari, di “comune denuclearizzato” accanto a una centrale atomica. O , ancora, il cane del nonno, chiamato Sammy Davis jr. jr. O l’anziana che vive sola e sperduta in quel posto di girasoli, sorella della Augustine scomparsa e che aveva conosciuto questo vecchio “autista”, a quei tempi. Le musiche, divertenti o tragiche a seconda dei momenti che i tre protagonisti vivono. Sono però il nonno e l’anziana donna le figure centrali del film, sono loro coi loro ricordi che disvelano ogni cosa.

Tutto appropriato, ben costruito, per essere un’opera prima del regista Liev Schreiber nel 2005, è un’ottima opera prima. Notevole l’interpretazione dei due anziani, l’uno infine felice di essere dov’era e l’altra - serena, non sa dopo tutti quegli anni che la guerra è finita – la quale ritiene che nulla possa disturbarla in una giornata come quella, in cui ha conosciuto i tre gitanti nel viaggio della memoria.

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